Perdonalo Silvia, è che non pensa
cadde in un pozzo nel buio, era sera
da lì non si sente la tua sofferenza
di donna rapita, di te prigioniera.
Poi con la scusa della quarantena
né frena l’ira né prova più pena.

“Costretto dall’alto a chiudermi in casa
solo davanti alla mia frustrazione
mando il mio odio di cui è pervasa
a odiare qualcuno con precisione.
Mi gela l’anima, fuoco d’inverno
se non trova sfogo questo mio inferno.”

Effimera è la gioia di quel rito,
lascia un vuoto antico e sterile,
indefinito. Senz’altro è scritto
in un Salmo o altrove del servo vile
e della vite senza frutto: il male
è un fiume asciutto, cosparso di sale.

Frasi lontane, emozioni perdute
tornano in sogno in modo confuso
e poi immagini già dimenticate
sbiadite all’alba dal sole soffuso
di un altro giorno buttato (nel cesso).

Una capanna di paglia
appoggiata
in Somalia
sull’orlo dell’abisso
Lei
si aggrappa
a una roccia
no
è un libro
Quel Libro
Lei
non vuole cadere
nel vuoto
lo legge, (ci crede)
funziona
è salva
non vede
che l’ombra
si allarga
si nutre
di luce

Si sveglia spossato, stremato nel letto,
si scuote di dosso quel sogno imperfetto.

Perdonaci Silvia,
ci siamo scordati
che il pozzo ci arriva
soltanto alla vita,
lo sguardo che un tempo
era a caccia di stelle
è fisso sul fondo,
forse per sempre.

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