Il Novecento è stata la primavera delle dittature (Hitler in Europa, Pol Pot in Cambogia, il fascismo in Italia, il franchismo in Spagna, Mao in Cina, la giunta militare in Argentina….l’elenco potrebbe continuare a lungo) ma ai fini di questa riflessione prenderemo ad esempio la dittatura Rossa sull’Unione Sovietica, perchè forse più di tutte si presta al discorso che proveremmo a svolgere.

Questa dittatura infatti andò avanti fino all’inizio degli anni novanta e, quando improvvisamente cadde, fu una sorpresa per tutti gli osservatori politici dell’epoca. La totalità dei giornalisti e degli esperti era convinta che non sarebbe mai crollata a meno di una nuova guerra, l’ultima del millennio e forse l’ultima dell’umanità. E invece la roccaforte rossa si sbriciolò su se stessa, sulle sue menzogne, sui suoi fallimenti. Ne emerse un popolo enorme che si affacciò per la prima volta su un mondo completamente nuovo, del tutto diverso da quello che aveva appena vissuto. Infatti fino a quel momento il popolo sovietico aveva vissuto nella convinzione che la loro vita, il loro modello politico, fosse il migliore possibile. Erano stati convinti ad arte che i loro sacrifici, la loro miseria, la loro povertà, persino la loro paura delle forze di sicurezza, fossero il modo migliore per sopravvivere alle avversità della vita. Anzi erano stati convinti che tutto quanto vivevano fosse l’unica alternativa possibile. Poche notizie spesso distorte arrivava da oltrecortina, dal “mondo esterno”. Giusto nelle propaggini più lontane dal controllo di Mosca, come Praga, poteva arrivare qualche influsso esterno. Nel caso di Praga, nel 1968, con le contaminazioni culturali che venivamo dall’Europa e dall’America, iniziò un complesso movimento di liberalizzazione, prima culturale e poi politico, passato alla storia con il nome di “Primavera di Praga”. Il tutto terminò con l’arrivo dei carrarmati rossi che paralizzarono la città, occupandola, ponendo così fine alla “crisi” nell’arco dello stesso anno. Praga divenne davvero libera solo decenni più tardi, anche se per alcuni mesi sperimentò la bellezza di un diverso modo di vivere.

La narrazione, che ai fini di questo articolo chiameremo “Staliniana”, su cui si è retta l’intera Unione Sovietica per quasi un secolo si fonda essenzialmente su due punti molto semplici e al contempo molto efficaci: 1) far credere al popolo che le sue condizioni di vita siano le migliori possibili al mondo viste le circostanze storico-culturali; 2) non far trapelare nulla sui modelli alternativi al proprio, per non compromettere la narrazione di cui al punto 1).

In tal modo il popolo continuerà a sopravvivere, in alcuni casi fiducioso del proprio governo, in altri casi sconsolato ma senza alternative valide, in entrambi i casi senza ribellarsi.

Proviamo allora a chiederci: come ci si può difendere da una “narrazione di stampo staliniano”, volendola definire così?

Prima di provare a rispondere ad una domanda così complessa, mi permetto di fare un parallelismo con il presente del 2020. Dopo una dura prima ondata di coronavirus tra Marzo-Maggio 2020 arriviamo ad oggi, 17 ottobre 2020, momento in cui si prospetta una seconda ondata. I media e il governo non fanno che ribadire i nuovi imperativi categorici: distanziamento sociale come nuovo galateo; mascherina anche all’aperto come nuovo paradigma di sicurezza; potenziali chiusure come unica soluzione in caso di innalzamento dei contagi, minacce di coprifuoco e lockdown sempre più concrete….. La narrazione sui rischi e sulle precauzioni indiscutibili è ormai inarrestabile. Le poche voci contrarie che provano a sollevare domande vengono ridicolizzate; coloro che osano protestare vengono bollati con l’orribile parola negazionista; e coloro che provano ad esercitare una mirata disobbedienza civile circa le mascherine all’aperto vengono dichiarati pericolosi per la società e responsabili diretti delle conseguenze delle prossime misure.

Pertanto con bene a mente lo scenario attuale, torniamo alla domanda di cui prima: come difendersi da una narrazione staliniana?

Potremmo provare ad applicare due rimedi. Il primo è il cogliere le contraddizioni del sistema narrativo. Ogni narrazione circa il punto 1) (far credere al popolo che le sue condizioni di vita siano le migliori possibili) è inevitabilmente fallace sotto molti aspetti, ma la sua forza sta proprio nel fatto che il popolo non può o non riesce a cogliere le incongruenze. Ma a volte il velo il che separa la narrazione staliniana dalla realtà si solleva e lascia intravedere qualcosa. Proviamo a fare degli esempi pratici:

A) Il Comitato Tecnico Scientifico in data 28 Aprile minacciava che con la prossima riapertura totale, ci sarebbero stati ben 151 mila malati in terapia intensiva entro metà giugno. Dette dichiarazioni destarono scalpore e vero e proprio panico in alcuni casi, proprio alla vigilia della liberalizzazione dei congiunti, avvenuta il 4 maggio. In verità il 15 giugno in terapia intensiva, secondo il bollettino della protezione civile, risultano 207 terapie intensive sparse su tutto il territorio italiano. Una cifra leggermente diversa da 151 mila. http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4900

B) Il 17 Giugno a Napoli per la vittoria della Coppa Italia contro la Juventus, migliaia di concittadini si riversano in una clamorosa esultanza per le vie e piazze della città. Un grande assembramento senza mascherine. Il caso attira l’attenzione e lo sdegno di tutta Italia, anche l’OMS si interessa della vicenda, prevedendo nuovi picchi e terapie intensive. A Napoli invece l’estate continua a scorrere tranquilla, senza nuove congestioni ospedaliere. Per un significativo aumento di contagi occorrerà aspettare metà settembre. A detta di molti osservatori quello del 17 giugno è stato il più grande assembramento in assenza di prescrizioni avvenuto in Italia dall’inizio della pandemia, ma apparente, non ha determinato nessun aggravamento della situazione sanitaria. Il bollettino di dieci giorni dopo, il 27 giugno, contava in Campania ben zero nuovi positivi e zero deceduti. https://www.vesuviolive.it/ultime-notizie/345751-coronavirus-campania-casi-27giugno2020/

C) Le proteste negli Stati Uniti. Dette proteste, scaturite dall’omicidio di George Floyd, iniziarono il 26 maggio e durarono a pieno regime per almeno tutti i dieci giorni successivi. Dodici grandi città hanno dovuto dichiarare il coprifuoco per fermare la violenza nelle strade, e ben 15 Stati federali hanno dovuto richiedere l’intervento della guardia nazionale a difesa delle infrastrutture governative. Centinaia di migliaia di persone in tutto il Paese hanno protestato e combattuto per strada senza alcun tipo di protezione e distanziamento. Tra le varie preoccupazioni di quei giorni concitati c’era anche quello relativo alla diffusione incontrollata del Covid. Se la pandemia era un problema abbastanza grave prima della morte di Floyd, tanto da costringere molti stati federali al lockdown, figuriamoci cosa sarebbe successo con un movimento di piazza così incontrollato E invece non accadde semplicemente nulla. La curva dei contagi di certo non si fermò, ma nemmeno aumentò. Continuò il suo corso, esattamente come prima delle proteste. Semmai alcune stime hanno ravvisato un leggero calo di contagi e ospedalizzati tra metà maggio e metà giugno. Su questo paradosso pochissimi media hanno indagato seriamente, e non vi sono state indagini ufficiali che consentano di motivarlo chiaramente a livello sanitario. https://www.wired.it/attualita/politica/2020/06/25/coronavirus-proteste-usa-contagi/

Un secondo sistema per provare a resistere alla “narrazione Staliniana” è valutare il livello di trasparenza dell’Istituzione da cui viene la narrazione. Se la narrazione è autentica e sincera, la trasparenza sarà totale. Gli unici errori in tal caso sono quelli commessi nella buona fede del governante. Allo scemare del livello di trasparenza inizia invece a salire il numero di errori volontari. Inizia un processo di sottrazione delle informazioni dal giudizio del popolo e dal giudizio dei fatti. All’aumentare della segretezza vi è una proporzionale diminuzione della realtà in essa contenuta.

Anche qui ci permettiamo di riportare un esempio contingente. Come tutti ben sappiamo le redini d’Italia durante il lockdown sono state saldamente tenute dal nostro buon Conte con i suoi cari DPCM, ma, su sua dichiarazione, egli non faceva altro che attuare i diktat del “Comitato Tecnico Scientifico”. Si è creata dunque una nuova istituzione, di cui non si è mai del tutto chiarita la funzione giuridica nel nostro quadro costituzionale, i criteri di nomina e decadenza dei membri, il metodo di assunzione delle decisioni….. Nulla sostanzialmente. Durante il lockdown anche solo capire da quanti personaggi fosse composto e quali fossero i loro nomi era impresa macchinosa. Ad inizio estate però, con la ritrovata libertà, voci sempre più autorevoli iniziarono a chiedere di vederci chiaro intorno a questa nuova istituzione. Si scoprì così che tutti i verbali relativi a detto Comitato erano stati “secretati” dal governo. A tal punto tre avvocati hanno fatto ricorso al giudice, vista l’importanza nazionale e costituzionale su tali informazioni. Gli avvocati erano Enzo Palumbo, Andrea Pruiti Ciarello e Rocco Mauro Todero. Pertanto su detto ricorso, il Tribunale Amministrativo del Lazio il 13 luglio ordinò al Governo la desecretazione entro 30 giorni. Ciò però non piacque al Governo, il quale corse ai ripari e fece subito ricorso al tribunale superiore ossia il Consiglio di Stato, per bloccare l’ordine ricevuto. A questo punto il Consiglio di Stato, esaminata la questione, il 31 luglio, ha confermato anche lui la decisone di desecretazione, ma concesse al Governo più tempo per realizzarla (non si sa perchè). Dunque i verbali sarebbero dovuti diventare accessibili al pubblico entro il 30 settembre. Viste le polemiche che detta continua proroga iniziava a suscitare, il Governo il 6 agosto rispose in modo sorprendente: spontaneamente, pubblicò i verbali, inviandoli alla fondazione di cui facevano parte di tre avvocati, sperando così di chiudere la questione. Si trovano ora pubblicati proprio sul sito di detta fondazione (https://www.fondazioneluigieinaudi.it/i-verbali-del-comitato-tecnico-scientifico/.). Detta desecretazione è bastata di per sè a mostrare che molte delle dichiarazioni di Conte durante il lockdown non erano pienamente coincidenti con le indicazioni del comitato tecnico scientifico, mentre si era sempre detto il contrario. Ma la cosa più scandalosa fu che dei quasi 3 mesi di emergenza vennero pubblicati solo 5 verbali ossia il numero 12, 14 21, 39 e 49. Il problema è che il comitato tecnico scientifico si riuniva praticamente quotidianamente. Dove sono tutti gli altri verbali? Le stime parlavano almeno di altri 50 verbali. Come si può intendere anche dalla numerazione di quelli pubblicati, quelli “concessi” dal Governo erano solo alcuni esemplari di una lista ben più lunga. Ma ormai la questione ad inizio agosto si considerava tacitata: il popolo aveva avuto la soddisfazione della “desecretazione”, grande vittoria di Pirro, e la questione per il Governo era definitivamente chiusa. Fortunatamente a settembre una mozione parlamentare dell’opposizione ha chiesto di nuovo alla Camera la desecretazione immediata di tutti i verbali. Fu però bocciata dalla maggioranza governativa con 241 no contro 199 sì. Il testo della mozione era il seguente: “pubblicare, in maniera automatica, integrale e senza omissioni di sorta, tutti i verbali delle riunioni del Comitato tecnico scientifico, oltre quelli già a disposizione, posto che tale pubblicità è necessaria all’esercizio dell’ordinario controllo politico-democratico da parte dei cittadini e dei loro rappresentanti”. Infine sempre a Settembre, con apparente spontaneità, è finalmente arrivata la desecretazione totale. Sul sito governativo della protezione civile si possono trovare ben 95 verbali (altro che 5). Però molti di questi verbali sono tagliati, con nomi di persone e società coinvolte omessi. Quanto è stato tagliato? Non lo sapremo mai. Perchè non essere trasparenti durante l’emergenza ma solo dopo tutti questi mesi? Perchè questa strenua resistenza del Governo alla trasparenza, combattuta come una partita di scacchi, tra aule di tribunale, mosse, contromosse e finte?

Ebbene la riflessione di questa settimana termina qui. Come di solito si invita a non sottovalutare il virus e ad essere prudenti. Qui non si intende negarne l’esistenza, ma si intendono sollevare interrogativi e domande. Interrogativi su quanto poco ancora oggi ne sappiamo di questa malattia, e domande sulla sua gestione governativa. Sicuramente l’attuale governo italiano non è assimilabile alla dittatura rossa, sotto un punto di vista militare, politico ed economico. Rimangono due fenomeni ontologicamente distinti. Ma la retorica e la narrazione di queste due entità finiscono per assomigliarsi ogni giorno di più.

Se le armi della narrazione staliniana sono: 1) far credere al popolo che le sue condizioni di vita siano le migliori possibili 2) non far trapelare nulla sui modelli alternativi; le nostre armi di difesa saranno 1) interrogarsi sulle incongruenze della narrazione che inevitabilmente verranno fuori 2) valutare la trasparenza dell’istituzione da cui ci proviene la narrazione. Non è molto ma è già qualcosa. La caduta dell’Unione Sovietica ce lo insegna.

Antonio Albergo

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