Un anno e mezzo di pandemia, nuova normalità, green pass, restrizioni vecchie e nuove, ultime rivelazioni sulle origini del virus e sicurezza dei vaccini… A che punto siamo? La nostra prospettiva divergente
“Ogni lettore quando legge, è il lettore di se stesso. L’opera dello scrittore è solo una specie di strumento ottico offerto al lettore per consentirgli di discernere ciò che forse, senza quel libro, non avrebbe potuto intravedere in se stesso.” Marcel Proust
Per un attimo abbandoniamo la nostra realtà, dura e magnifica, e immergiamoci in un’altra dimensione, la dimensione della letteratura. Piccolo disclaimer, la letteratura non dobbiamo considerarla come un’evasione, come un modo per fuggire da una realtà sgradita, al contrario dev’essere vissuta come un momento di raccoglimento in vista della realtà. Un libro è come un’armeria dove soppesare e scegliere con cura le armi per affrontare la realtà. E’ paragonabile alla preghiera per i fedeli o alla meditazione delle filosofie orientali. Guai quindi a considerarla mera evasione o intrattenimento. Attraverso di essa otteniamo gli strumenti che poi meglio ci permetteranno di discernere la realtà, di leggerla e affrontarla di conseguenza. Questo approccio lo applicheremo in questo articolo alla letteratura ma è un discorso validamente applicabile anche al cinema, alla musica e a tutte le forme dell’arte attraverso cui l’uomo racconta se stesso.
Immergiamoci dunque nella Terra di Mezzo e per farlo aiutiamoci assaporando la sensibilità due grandissimi autori. Il primo è George Orwell, il mitico autore di 1984, il quale descrive con ineffabile maestria il momento in cui il protagonista del romanzo Winston Smith si accinge a leggere un libro, anzi, il libro, un testo proibito dal regime del Big Brother. Dopo pochi secondi di lettura, atto estremamente rivoluzionario nell’universo narrativo di 1984, Winston prende coscienza di ciò che si accinge a fare e si ferma per godersi l’attimo: “Winston smise per un attimo di leggere, soprattutto per assaporare il fatto che stava leggendo per davvero, comodamente e in piena sicurezza. Era solo, non vi erano teleschermi, nessun orecchio era incollato al buco della serratura. Lui stesso non avvertiva alcun impulso a guardarsi dietro le spalle o a coprire la pagina con la mano. La dolce aria estiva gli accarezzava la guancia. Da lontano provenivano ovattate grida di bambini; nella stanza non si udiva altro che il ronzio da insetto dell’orologio. Sprofondò sulla poltrona appoggiando i piedi sul parafuoco. Era la felicità, era l’eterno“.
Il secondo classico che può favorire la nostra immersione è Macchiavelli, il quale, in esilio nella sua casa di campagna in Val di Pesa scrive una lettera all’amico Francesco Vettori, ambasciatore fiorentino presso la corte romana del Papa Leone X. Macchiavelli è avanti con gli anni, estromesso dalla vita politica e non ha assistito agli eventi che nella sua vita si augurava di vedere. Le sue giornate trascorrono perlopiù nell’amarezza, alcuni piaceri li ricava nella caccia ai tordi o all’osteria con alcuni compagni. Ma l’unico momento davvero felice della giornata è alla sera, quando può finalmente dedicarsi alla lettura. Questi momenti di riflessione gli permisero di riflettere su se stesso e sui suoi tempi e infine si risolsero nella scrittura del Principe. Scrive all’amico “Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.“. Il testo, anche se scritto nell’italiano volgare del millecinquecento, lascia agevolmente comprendere che Macchiavelli prova la stessa estasi provata da Winston in 1984: l’ebbrezza di ritrovarsi in altri tempi e in altri luoghi, a vivere avventure, subire il fascino di idee e soffrire tragedie che arrivano da un altro tempo e da un altro spazio, e che hanno la forza e il potere di trasfigurare la nostra realtà.
Sporchiamoci le mani anche noi allora ed entriamo nella Terza Era di Arda, l’universo narrativo di Tolkien. Precisamente ci troviamo nella Terra di Mezzo, nella regione generalmente conosciuta con il nome di Contea Hobbit. Gandalf, antico e potente stregone, votato solennemente al bene illustra al piccolo hobbit Frodo le origini e la segreta potenza dell’anello da quest’ultimo ereditato. In esso si cela infatti un potere oscuro e antico, risiede l’anima stessa di Sauron, oscuro signore votato al male che ha già provato a trascinare nell’oscurità tutta la Terra di Mezzo millenni prima, nella seconda era. Chi possiede l’anello può tentare di fare proprio questo potere immenso e demoniaco, sfruttando per i propri fini l’anima infintamente potente di uno degli esseri più eccelsi del creato. Ma dal male non può nascere che il male ed è altamente probabile che chi usi l’anello finisca per essere inconsapevolmente usato da Sauron stesso. Solo un individuo dalla forza di volontà fortissima potrebbe avere la speranza di usare l’anello fuori dalla sfera di influenza di Sauron. Ma nessuno dei protagonisti del romanzo ha l’ardire di osare tanto e il fine dei personaggi sarà quello di distruggere l’anello, eliminando così la propaggine concreta del male sulla terra. Nel momento drammatico in cui Gandalf spiega la natura dell’anello all’incredulo Hobbit, quest’ultimo reagisce nel modo più umanamente comprensibile: offre l’anello al suo saggio amico Gandalf. A questo punto il mago reagisce in modo inorridito, rifiutando l’offerta con una decisione e una rapidità che rasentano l’ira, criticando duramente lo hobbit per averlo sottoposto a quella tentazione. Si scoprirà poi nel romanzo che solo un hobbit, per la sua innata predisposizione alla bontà e per la sua semplicità d’animo, potrà maneggiare l’anello senza caderne vittima, e comunque al costo di una sofferenza spirituale indescrivibile.
Spesso però i lettori e gli esegeti di Tolkien si sono interrogati sull’esito della vicenda, nell’eventualità in cui Gandalf, cedendo alla “tentazione” avesse finito per accettare l’anello. In fondo le motivazioni per accettarlo c’erano ed erano anche numerose: poteva leggere la sua amicizia con lo hobbit quale chiaro segnale del destino, che lo aveva spinto fino a quel punto della sua esistenza proprio per riceverlo. Poteva giudicare inadatto il semplice hobbit ad un compito così tanto gravoso e assumersene il fardello, in uno slancio di eroismo. Sarebbe bastato un minimo di arroganza in più da parte sua, un minimo di sovrastima delle sue capacità, un minimo di paura in più delle variabili a lui esterne per portarlo ad accettare l’offerta. Dalla durezza con cui reagisce a Frodo è evidente la fatica sovrumana che ha impiegato per respingere questa offerta.
Ma cosa sarebbe accaduto? Sarebbe riuscito a “vincere” il potere demoniaco dell’anello e ad usarlo contro Sauron, o ne sarebbe stato vinto così asservendosi inevitabilmente al male e portando nella sua rovina tutta la Terra di Mezzo?
A rispondere a questo interrogativo fu lo stesso Tolkien, scrivendo un’apposita missiva ad una lettrice incuriosita. Nella missiva 246 del 1963 Tolkien afferma che Gandalf aveva in se il potere di vincere l’anello e attraverso di esso sconfiggere lo stesso Sauron. Infatti sia Ganfdalf sia Sauron nell’universo narrativo Tolkeniano sono due Maiar dello stesso tipo (tale nome indica ciò che nell’equivalente cristiano sarebbe una “classe angelica” quali sono ad esempio i Serafini, i Troni o le Dominazioni) e quindi sono di uguale potenza. Ma con una differenza fondamentale: Sauron, convertendosi al male ha perso parte della propria originaria potenza, consumata dall’eterno odio e rabbia che prova continuamente. Pertanto Gandalf sarebbe effettivamente più potente di Sauron e quindi in grado di usare l’anello. Il problema è ciò che avverrebbe dopo la sconfitta di Sauron. Secondo l’autore infatti un “Gandalf con l’anello” sarebbe stata un’ alternativa “far-worse than Sauron” ossia peggiore di gran lunga (nel gioco di parole inglese Tolkien rafforza un superlativo assoluto, come se noi dicessimo “molto peggiorissimo“) perchè userebbe tale potere per imporre il bene, un bene ai suoi occhi assoluto ed oggettivo, ma che agli occhi dei governati sarebbe apparso ingiusto e durissimo, snaturando quindi la stessa idea del bene, e facendo sprofondare la Terra di Mezzo in un oscurità peggiore della malvagità di Sauron.
Il male palesato, infatti, per quanto terrificante, ha un grande pregio: è oggettivamente sbagliato. Chi parteggia per esso può avere la consolazione di stare dalla parte del più forte, ma non potrà mai illudersi di stare dalla parte del giusto. Invece il bene che Gandalf avrebbe impersonato, in nome del quale avrebbe governato, sarebbe stato il bene della “Ragion di stato” davanti al quale sacrificare diritti e libertà, financo vite, fino a rendere il bene detestabile e il male indistinguibile dal sommo bene. Per questo tale scenario sarebbe stato far-worse than Sauron.
E’ arrivato il momento di tirare le fila di questo momento di riflessione e tornare alla nostra attualità di inizio estate 2021. Ricapitoliamo alcuni punti della nostra quotidianità:
- abbiamo accettato un coprifuoco di otto mesi in tempo di pace
- abbiamo accettato un altro anno di chiusure e lockdown intermittenti, attraverso il meccanismo delle regioni a colori
- stimo accettando l’idea di un “pass” per poter tornare a circolare liberamente tra regioni colorate e fuori dai confini nazionali
- dopo un anno e mezzo in cui ogni riflessione sull’origine artificiale del virus veniva cestinata e bollata come complottista sui media e censurata sui social, ora si inizia ad accettare senza alcuna seria e profonda autocritica una revisione di questa narrazione.
- iniziamo ad accettare l’idea di obbligo vaccinale per categorie via via crescenti, in nome della sicurezza collettiva e della ragion di stato
- Dopo settiamane di titoli in cui si sosteneva “Nessuna correlazione” tra vaccinazione e trombosi, ci si è limitati ad accertarla e aggiornare conseguentemente il bugiardino di astra-zeneca senza un effettivo mea culpa o revisione di una narrazione sbugiardata dai fatti, e si continua oggi a dare ascolto agli stessi organi di stampa con la stessa autorevolezza.
E’palese che nel nostro universo narrativo, quello della realtà, Sauron è il Coronavirus e sta venendo sconfitto, mentre Gandalf, in nome del supremo bene e della Giustizia sta governando con mano ferma il mondo, anello al dito.
augurandomi di sbagliare, Antonio Albergo.
Classe ’94, diplomato al liceo classico di Pescara Gabriele D’Annunzio, Laureato in Giurisprudenza alla Luiss di Roma e ora praticante notaio. Appassionato di cinema e viaggi, si divide tra la gestione di PensieroDivergente e lo studio notarile.
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