Quante volte sentiamo questa parola in televisione o su internet e la leggiamo sui giornali o sui social network, utilizzata per lo più per definire il modo odierno di fare dibattito politico e pubblico in Italia? Comprendiamo appieno il senso di questa parola e le sue implicazioni pratiche?

Nessuno ha mai fornito la definizione di questa parola, nessuno ha spiegato la fenomenologia comportamentale dietro questo atteggiamento diffuso, quindi ciò che possiamo fare (e mi propongo di fare in questa breve riflessione) è una ricerca empirica, basata sull’osservazione, la registrazione e la comparazione dei dati che le amenità del dibattito pubblico ci pongono dinanzi.

Possiamo ragionevolmente accettare che quello della polarizzazione sia un habitus, un costume sociale, una consuetudine che porta un individuo a conformare il proprio comportamento e il proprio modo di pensare a un qualcosa, in questo caso a un polo. Polo, poi, fa parte di una terminologia fisica che si utilizza nell’elettromagnetismo e nelle scienze della terra per indicare un punto più o meno esteso di attrazione. Estesa a metafora, la parola in politica funziona benissimo, poiché ogni parte politica, ogni partito e leader, si adopera per attrarre a sé la maggior quantità di elettori per poter ottenere quel consenso necessario ad ottenere la maggioranza nelle Camere e, quindi, il potere di governare. Sin qui nessun problema si pone nella ricerca. Allora dov’è che si incappa nella negatività che traspare dall’accezione che i personaggi pubblici sembrano conferire a questo atteggiamento diffuso? Il problema, evidentemente, non sta affatto nella definizione bensì nella sua traduzione pratica, ovvero nella contaminazione con agenti esterni che inevitabilmente accade quando il principio entra nella nostra vita comune. Il nostro compito, ora, è ricercare questo agente esterno che fornisce le ragioni di coloro che tirano in ballo questo termine in accezione negativa.

Possiamo partire dai luoghi della polarizzazione, dal “dove” la rintracciamo maggiormente, e la risposta più immediata che ci viene in mente include due luoghi essenzialmente: i social network e la pubblicità. Messaggi brevi, fortissimi, molto radicali e impressionanti posti in spazi ristretti che vanno dal piccolo banner al tweet, da un wall of text su una storia di Instagram (il quale più lungo sarà e meno sarà letto e, comunque, è fortemente limitato nello spazio) a una condivisione di articoli e post con capslock e amenità simili. Chiunque, anche il più refrattario ai nuovi metodi di comunicazione e diffusione di messaggi e alle nuove tecnologie conosce questo meccanismo e lo sfrutta al meglio per manifestare al prossimo il proprio campo magnetico. Anche qui, la metafora fisica funziona benissimo: la polarizzazione funziona, infatti, per attrazione e repulsione, non si fonda sulla reciprocità. Il problema, però, è che la vita umana si fonda sulla reciprocità: pensiamo anche solo alle relazioni, agli affetti, agli scambi di idee e di beni che sono rispettivamente alla base del progresso e del commercio. Non serve scomodare Martin Heidegger per comprendere che è essenziale al nostro Esserci (che non è altro che l’essere qui e ora dati nella nostra storicità) il “commercio” con il Mondo-Ambiente (Umwelt) e, conseguentemente, con gli altri Esserci (Mitsein). Non essendo, quindi, parte dell’umano questo atteggiamento poiché non gli è essenziale, la causa non si può riscontrare nella natura umana. La questione sembra configurarsi come un cambiamento dell’umano, un adattamento causato da altro, e questo a mio avviso rende la polarizzazione una conseguenza, non una causa, e che quest’ultima sia un qualcosa di più profondo, di radicale e radicato nell’umanità odierna.

Se c’è un qualcosa che ha reso immortale l’argomento di Cartesio «cogito ergo sum» è stata la dimostrazione razionale e logica della necessità dell’Altro per avere l’inconcussa certezza della propria esistenza. Se ben ricordate, Cartesio era giunto alla conclusione che anche dinanzi ad un inganno di un Genio Maligno si poteva essere sicuri del proprio Esserci, poiché a ben vedere proprio il persistente dubitare della veridicità del Genio presupponeva la certezza di un Io che dubitava e di un Dio o Genio Maligno che mi ingannava o meno. Anche togliendo qualunque riferimento o implicazione teologica, l’argomento continua a funzionare in quanto dimostrazione della necessità di una relazione logica, che diventa immediatamente ontologica, tra Io e Altro, tra A e B. Senza scambio, anche sotto forma di inganno, da solo l’Io non riesce a rendere ragione della propria esistenza, e la stessa sua sussistenza ontologica diventa un mero autoconvincimento assunto a priori come un dogma. Ecco, quindi, che emerge la caratteristica più essenziale della polarizzazione: l’atteggiamento dogmatico, l’accettazione acritica di principi prescritti, “irradiati” dall’alto di una posizione di vantaggio, da un pulpito non necessariamente fisico o politico. Appare evidente, dunque, che la radice della polarizzazione è una originale assenza di scambio e di confronto reciproco, che porta l’individuo alla ricerca di una comfort zone che trova, inevitabilmente, in un soggetto forte, sicuro e che possiede una risposta per ogni cosa. L’insicurezza, data dall’essere in qualche modo sradicati da se stessi, che l’individuo sente trova un autentico palliativo nel polo da cui si sente attratto, un polo in cui trova una moltitudine di altri individui attratti dalle medesime cose e con cui non può avere alcun tipo di scambio, poiché si condivide tutti le medesime convinzioni: all’interno del polo si ha niente di meno che quell’A=A che in tutta la storia della filosofia ha sempre dato l’illusione dell’identità. Difendere il polo, dunque, arriva a significare difendere la propria identità; questo porta gli individui a ripiegare in un atteggiamento che nel dibattito etico contemporaneo è riconosciuto come ipermorale, cioè consistente nella assunzione totale e dogmatica di principi a cui conformare comportamento, pensiero e visione del mondo, ritenendola superiore a tutto e, quindi, considerando come errato tutto ciò che non rientra in quella data visione.

Ciò che fa chi si avvale di questo comportamento diffuso tiene costantemente alimentato il polo, parlando di tutto e cercando di inglobare tutto il reale per poter dare risposte a qualunque cosa, rendendo così sempre più confortevole il polo da cui gli individui si sentono attratti. È qui, allora, che emerge l’accezione negativa della “polarizzazione”: nel meccanismo di costante auto-alimentazione che la caratterizza, la polarizzazione nega lo scambio, rimuove il confronto relegandolo a improduttivo se non addirittura dannoso per la sussistenza del polo entro il quale gli individui si sentono al sicuro, nutriti e coccolati come quando erano nel ventre materno.

La soluzione, allora, è ritrovare se stessi nel confronto, nell’aprirsi all’altro, mettendosi nei panni dell’altro e non assumendo che sia un minus habens perché non la pensa come noi, che sia stato cieco e sordo fino all’incontro con voi. Questa dimensione, a mio modestissimo avviso, manca oggi più che mai e manca dappertutto, rendendola necessaria come il pane. Non è una problema che riguarda solo una parte politica o una frangia della popolazione; questo problema ci coinvolge tutti più o meno indistintamente e impedisce, qui in Italia, di fare politica in modo serio e, soprattutto, responsabile. Manca nell’elettorato medio, manca nel Governo, manca nell’opposizione, manca nelle decisioni che si stanno prendendo in questo periodo di emergenza. Torniamo a riflettere, dunque; torniamo a confrontarci, ad ascoltare tutti per maturare decisioni più inclusive, che tengono conto dei più, e non che seguono le aspettative di una componente dirigente che assume su di sé tutto il peso della crisi come fossero novelli Sisifo. Ci siamo anche noi, ci siamo tutti e tutti vogliamo contribuire e collaborare.

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Comments to: La vita pubblica ai tempi della “polarizzazione”
  • 11 Maggio 2020

    Articolo molto interessante, grazie mille. Da quello che scrivi sembrerebbe che la grandissima possibilità di comunicazione attuale sia in verità un Torre di Babele in cui ognuno dice la sua, giusto? La mia domanda è: Secondo te, è un problema causato dalla tecnologia stessa che viene impiegata oppure la tecnologia è in un certo senso \”trasparente\” e il problema è da ricercarsi altrove?

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    • 21 Maggio 2020

      Ciao Rodolfo, grazie per il tuo commento e per lo spunto interessante che hai sollevato. Personalmente penso che non sia un problema causato dalla tecnologia odierna: basti pensare che banalmente oggi con internet si fa quello che si faceva ieri con la televisione e l\’altro ieri con la radio e il giorno prima con i giornali. I mezzi, di per sé, sono acritici; è sempre l\’essere umano che ne dispone ad essere critico e, quindi, la responsabilità è sempre sua. Dal mio punto di vista sbaglia chi dà la colpa ai social network o a internet o alla televisione senza guardare a chi ne fa uso e come. Il mio citarli nell\’articolo consiste nel presentarli come campi d\’indagine in cui osservare il problema nella sua gravità. L\’obiettivo della mia riflessione, infatti, è di sensibilizzare su una deriva che oggi è arrivata ad un certo stadio, certo, ma che non è iniziata oggi o ieri. Guardando al futuro auspico, forse anche in modo un po\’ utopistico e sognatore, me ne rendo conto, una umanità più incline al confronto costruttivo e sempre aperto, più disposta a cambiare idea piuttosto che a barricarsi acriticamente nella propria nicchia di \”devoti alla causa\” sempre pronti a fare \”strage mediatica\” di chi non aderisce al loro credo. Spero di averti risposto 🙂

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