Perché è caduto il governo Draghi? E cosa ci aspetta adesso?

Cosa è accaduto, di preciso, al governo guidato da Mario Draghi? E cosa succederà adesso?

Cercare di riassumere cosa sia successo recentemente in Parlamento non è semplice.

Allo stesso modo, non è semplice tentare di analizzare quale significato possa insegnarci la parabola del governo Draghi ma per amore del ruolo che ha la storia, tenteremo ugualmente di dare inizio ad una riflessione.

Checché se ne dica, il “governo dei migliori” è stato tutto tranne che il “governo dei migliori”.

Paradosso della linguistica? Artificio retorico? Niente affatto: pura oggettività.

Le sfide che attendono il nuovo esecutivo sono complesse e sebbene non tutte siano la conseguenza dell’operato e della negligenza del governo Draghi, analizzare lucidamente la situazione è a dir poco doveroso.

Da quando l’ex governatore della Banca Centrale Europea si è insediato a Palazzo Chigi la mortalità in Italia è aumentata. Ora, discutere delle cause esatte comporterebbe più di un approfondimento ma il risultato appena ricordato non solo è l’opposto di quanto era stato promesso ma un’evidente prova del fallimento di tutte quelle politiche pseudo sanitarie che il governo ha imposto.

In altre parole: piuttosto che promuovere un’agenda di ampio respiro improntata ad un risanamento della sanità pubblica, “l’agenda Draghi” non solo non ha investito nell’ampliamento dell’offerta al cittadino ma ha addirittura aggravato una situazione già precaria penalizzando tutto quel personale sanitario che ha deciso di non vaccinarsi.

Discutere adesso dell’opportunità di imporre l’obbligo vaccinale al personale sanitario comporterebbe un nuovo approfondimento ma in questo preciso istante non è più possibile ignorare tre fattori: innanzitutto, le sentenze che stanno gradualmente smentendo la linea appena ricordata, la possibilità che anche un operatore sanitario possa trasmettere il Covid-19 e in un ultimo luogo l’incoerenza di chi pur avendo commesso un errore non è in grado di riconoscere lo stesso e non interviene per risolvere un problema.

Come se non bastasse, “l’agenda Draghi” si è resa colpevole non solo di un linguaggio duro nei confronti di alcuni cittadini italiani ma anche di un serio abuso della propria posizione con l’introduzione del cosiddetto “Green pass”.

Dimenticare le parole di Pierpaolo Sileri o Renato Brunetta a proposito dei “no vax” sarebbe un errore non di poco conto; allo stesso modo, sarebbe un errore non di poco conto dimenticare le menzogne che Mario Draghi ha pronunciato in pubblico a proposito di vaccini e “Green pass”, appunto, (“Il “Green pass” permette attività tra persone non contagiose”, “L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire”).

Sebbene quindi sia ormai chiaro che il Covid-19 possa essere un problema esclusivamente per i fragili (a prescindere dal vaccino), nessuno ha rettificato affermazioni ingiuste e inappropriate. Allo stesso modo, nessuno ha chiesto scusa per un linguaggio spesso eccessivo e obiettivamente poco edificante. 

Metterci li uni contro gli altri non ha giovato all’ecosistema democratico del paese e non da ultimo, pretendere di tracciare una linea tra “responsabili” e “irresponsabili” rischia di essere l’ennesimo progetto per annientare una comunicazione a dir poco necessaria.

Sarò franco: trascurare la brutalità di un linguaggio tribale che politici, giornalisti e intellettuali hanno usato per quasi due anni potrebbe rivelarsi un errore fatale poiché significherebbe davvero, (in questo caso), sprecare un’occasione.

Se, come ribadito in altri contesti, buoni pensieri sono buone parole e, in definitiva, buone azioni, quale insegnamento pensiamo perciò di trasmettere alle nuove generazioni con esternazioni del tipo “i populisti e i sovranisti devono essere CANCELLATI?”.

La dicotomia tra destra e sinistra esiste ancora, è vero, ma ha ormai uno scarso impatto sulla vita reale del paese. Escludendo dalla riflessione lo scontro che viene spesso esacerbato per “convocare le truppe” tra fascismi e sinistre vicine alle “lobby LGBT”, la vera dicotomia in grado di spiegare la politica in Italia è in effetti tra fautori della ormai nota “agenda Draghi” e i “populisti”.

Tuttavia, a prescindere dalla volontà di distinguersi sul piano ontologico, le differenze sono purtroppo ben poche poiché se i populisti, come si dice, sanno proporre solo slogan, i fautori dell’“agenda Draghi” non sono da meno.

Si pensi, ad esempio, al tema del tetto al prezzo del gas e al tema dei rigassificatori.

Mario Draghi è stato tra i primi a sostenere le sanzioni alla Russia ma, nonostante ciò, non ha detto nulla a proposito delle speculazioni avvenute sul prezzo del gas e nulla ha fatto in ambito nazionale per proporre qualcosa a proposito del tetto al prezzo dello stesso. Inoltre, pur ribadendo quanto sia importante diversificare la rete di approvvigionamento, ha insistito come pochi per portare avanti un percorso di avvicinamento allo “shale gas”.

Ne consegue pertanto, non solo una degna manovra di stampo qualunquista ma, “a contrariis” una bella manovra elitaria: sì, ridurre la nostra dipendenza dal gas russo è importante, certo, ma perché pagare un prezzo elevatissimo in termini economici ed ambientali rivolgendo il nostro sguardo ai rigassificatori?

Certo, “il prezzo al tetto del gas” sarebbe stato stabilito in autunno in Europa, dirà qualcuno…Ma come? Di questo nessuno ne ha parlato e probabilmente sarebbe stato difficile nei mesi di settembre e ottobre arginare un problema che richiedeva soluzioni ben più rapide.

Mi dispiace essere duro contro chi in maniera quasi fideistica ha ritenuto che Mario Draghi potesse essere “il Messia” ma le condizioni in cui versa la nostra Repubblica non possono essere rimediate senza un’analisi scevra da ogni condizionamento ideologico.

Ecco perché vale la pena riflettere anche sul tema del PNRR e sul tema della nostra posizione sul fronte ucraino e guardare la realtà negli occhi: credere che il governo potesse raggiungere 55 obiettivi ai fini del già citato piano in quattro mesi è folle ed è altrettanto folle credere che sia stata saggia la posizione del governo nel rifornire di armi un paese, l’Ucraina, dove un battaglione di neonazisti è stato inquadrato come corpo d’élite nell’esercito.

A prescindere, in conclusione, da una certa retorica non molto dissimile da quella populista, il governo che ha guidato Mario Draghi è probabile, infatti, che non sarà ricordato come “un’occasione mancata” bensì come una “triste parentesi” di cui si potrebbe discutere ancora a lungo; tuttavia, ora è tempo di ripensare il nostro ruolo: cosa sarà, dunque, della Repubblica, ora che il “dictator” tornerà a fare il nonno?

Come abbiamo visto, il prossimo governo sarà chiamato a gestire più di un dossier spinoso ma soprattutto sarà chiamato a gestire una situazione di quasi sicura ingovernabilità: tra una legge elettorale dai discutibili precedenti e un agone politico frammentato e vittima dei luoghi comuni c’è purtroppo poco di cui stare sereni…    

Comments to: Perché il “governo dei migliori” non è stato il migliore dei governi

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