Il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha annunciato di voler celebrare il bicentenario della morte di Napoleone Bonaparte il prossimo 5 maggio.
La decisione è stata immediatamente accolta da alcune critiche da una cospicua parte del suo governo, la quale ha rimproverato a Napoleone Bonaparte una presunta misoginia e una presunta vicinanza alle posizioni schiaviste che caratterizzavano l’ancien regime.
All’improvviso, la società civile si è quindi rivoltata contro le nefandezze commesse dal primo imperatore dei francesi. Tra le voci più autorevoli insorte contro la figura protagonista di questo articolo, vi è il New York Times che in un editoriale apparso recentemente ha descritto Napoleone Bonaparte come un irrimediabile razzista, sessista e guerrafondaio. Naturalmente, non occorre precisare i commenti negativi circa la decisione dell’attuale Capo di Stato in Francia.
Si profila quindi all’orizzonte una probabile riedizione delle polemiche che hanno coinvolto diversi personaggi storici. Lo schema è sempre il medesimo, ma vale la pena sottolinearne le contraddizioni anche in questa sede: si applicano (anzi, si appiccicano) canoni etici e criteri di valutazione contemporanei a ciò che è stato, e non è più, per metterne in discussione l’eredità.
Ancora una volta, però, la follia del politicamente corretto si scontra con ogni sinonimo di intelligenza e nella sua forma iconoclasta, esemplifica, infatti, il narcisismo e la fragilità di una generazione che pretende di utilizzare paradigmi preconfezionati in maniera superficiale e aprioristica.
E’ naturale che la storia e i poco raccomandabili personaggi che frequente la popolano, non debbano essere accettati (o esaltati) acriticamente. “Nella storia degli umani conflitti”, i chiaroscuri esistono e devono essere ricordati poiché sono parte della natura dell’uomo.
Quando ricordiamo (o celebriamo) un personaggio, facciamo riferimento prima di tutto ad un ideale che trascende la singola figura (con i suoi pregi e i suoi difetti).
Se per un attimo ci fermassimo a pensare a quale sarà l’eredità dei nostri tempi, riusciamo a individuare delle figure, delle idee o degli ideali in odore di immortalità storica?
Salvo pochi casi, credo di no e per una ragione semplice: la realtà che ci circonda non vive di visioni, ma di necessità e vizi.
Nulla di ciò che ci impegniamo a fare ha infatti una natura duratura, poiché ogni cosa ha bensì una natura “liquida”.
Nel crogiolo dell’impermanenza non vi è in definitiva spazio per il confronto e la riflessione, per cui ogni tentativo di giocare a fare i buoni assume un significato ipocrita e stupido poiché fondato, non a caso, esclusivamente sull’apparenza e sul desiderio di apparire (almeno un quarto d’ora).
In conclusione, non è necessario divergere ulteriormente (e in modo esplicito) annunciando che come pensatore divergente ricorderò Napoleone Bonaparte; tuttavia, a scanso di equivoci, annuncio ufficialmente che il 5 maggio ricorderò Napoleone Bonaparte senza ombra di dubbio alcuno e con esso, il significato della parola “coraggio”.
In fede, “let’s love, let’s diverge”.
Classe 1994, lettore vorace dall’età di sei anni e autore dei romanzi “L’alba di sangue” e “Il regno di Romolo”.
Di me hanno detto che sono un “egocentrico” ma non ho ancora capito perché.
Credo di avere tuttavia molto in comune con i liberali di una volta e di essere un insaziabile ricercatore di novità.
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