Domenica 20 settembre. Ultima vera giornata dell’estate. Una potenziale bella giornata di mare per chi è sulla costa. Trenta gradi a Roma, domenica di caldo asfissiante nello smog urbano. Cielo coperto con buona possibilità di precipitazioni a Milano. Giornata di voto per tutti. Giornata di dialogo tra un popolo e il suo governo. La prima vera volta dopo il lockdown, dopo la pandemia, dopo il “grande reset” come inzia ad essere chiamato in ambito economico.

Dove andremo? Al momento non si conosce ancora l’esito di questa avventura referendaria. Non possiamo sapere o prevedere l’evoluzione del nostro governo, né tanto meno, del sistema capitalistico- europeistico in cui il nostro paese è immerso.

Con tutta tale serie di domande in testa oggi, dopo il voto e dopo un’abbondante colazione, mi sono recato a messa. Ero talmente preoccupato dalle sorti del Referendum da faticare a concentrami sulla celebrazione almeno fino al vangelo. In quel momento ho provato a cancellare gli altri pensieri e a focalizzarmi sul punto in questione in quanto dalle prime battute l’ho riconosciuto quale uno dei passaggi che mi restano più complessi da comprendere. Visto che risposte sul futuro non ne avevo magari avrei almeno trovato risposte su un aneddoto di 2000 anni fa. Meglio di niente ad ogni modo.

[Riporto il brano per chi non lo conosce o ricorda, chi lo consce bene può tranquillamente saltare il prossimo capoverso in corsivo] :

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono.Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perchè ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perchè io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Ho sempre faticato a seguire questa logica. Il ragionamento del Padrone, al momento in cui chiude il diaologo, è ineccepibile. La frase finale, è uno dei messaggi cardini del cristianesimo, che facilmente si conosce e di cui si può intuitivamente apprezzare il valore. Ma il problema a mio avviso è che anche le aspettative dei primissimi lavoratori sono corrette. Ragionando cristianamente, ossia con la logica finale del Padrone, il punto di vista dei lavoratori è palesemente errato, dettato dall’ignoranza o dall’invidia. Ma fuori dalla lettura cristiana, se vogliamo applicare la logica dei nostri giorni il ragionamento dei lavoratori è il più corretto. Lo provo a spiegare con un esempio più attuale. Poniamo che dopo anni di università e di sacrificio ci apprestiamo a discutere la tesi e ci vediamo assegato un determinato voto. E poniamo che in quel momento uno studentello, senza aver dato alcun esame, discuta anche lui la tesi e si veda riconosciuto lo stesso voto e lo stesso titolo nostro. Nell’esempio fatto i nostri sentimenti potrebbero variare dalla perplessità, come minimo, all’ira come massimo, sia verso la commissione che verso lo studentello. Pertanto pur condividendo il messaggio evangelico di questo passo ho sempre ritenuto che anche i lavoratori avessero le loro ragioni. Anzi che a tratti le loro ragioni fossero anche umanamente più logiche e comprensibili. Le ragioni del padrone invece, si intuisce, sono più corrette, sicuramente anche più sagge e giuste, ma esprimono una logica non umana, anzi che cozza contro l’intuizione umana di base.

Ciò che ho sempre ignorato, almeno fino ad oggi era un dettaglio tecnico-storico, che mi ha permesso di rivedere le mie perplessità. Ossia la misura economica di “un denaro”, la paga della giornata. Ebbene, come oggi è stato ben analizzato nella predica, tale misura economica all’epoca, era la misura esatta per il sostentamento giornaliero di un uomo con famiglia. Di più sarebbe stata una paga particolare, da giorno di festa, straordinaria. Di meno avrebbe significato una paga ingiusta, insufficiente, che non avrebbe permesso di nutrire correttamente la famiglia. Trovare chi paga “un denaro”, vuol dire aver risolto la giornata, stare apposto, almeno per oggi. Applicando allora una logica umana, il Padrone della vigna avrebbe dovuto dare ai primi lavoratori “un denaro”, ai sencondi tre quarti di denaro, ai terzi la metà e così via. Una logica comprensibile ed ineccepibile. E invece la storia procede in un altro modo. Indipendentemente dal lavoro fatto, tutti ricevono la stessa misura di paga, affinché nessuno che si sia impegnato, oggi patisca la fame. A tutti coloro che hanno faticato va un denaro.

La generosità sottesa al gesto continua ad essere umanamente incomprensibile a mio avviso, ma già adesso ne riesco di più a cogliere la bellezza: la volontà che nessuno che si sia impegnato rimanga senza il necessario per vivere. Una logica non da capitalista, da Cda di una società, e nemmeno da Padrone della vigna, ma da Padre, che sostituisce al giusto e al doveroso, ciò che più è necessario al bene altrui.

Chiaramente il tutto andrebbe letto in funzione dell’inzio del brano, ossia cercare di capire cosa sia il famoso “regno dei cieli” ma in tale disquisizione preferisco non entrare. Mi limito a suggerire quest’interpretazione economico- storica che almeno per me è stata illuminante.

Per anni ho faticato ad entrare nella logica di questo passaggio. Forse perché sono troppo immerso nella nostra logica. Che possiamo chiamare logica di mercato, capitalistica, o occidentale. La logica ineccepibile secondo cui si guadagana in base a quanto si fatica, e ci si arricchisce secondo quanto si produce. Si vale quel che si guadagna e si è in base a ciò che si ha. Tale giusta regola economica è proprio ciò che andrebbe riletto, rianalizzato, riesaminato.

Uscendo dalla messa ero più sollevato. Non avevo smesso di pensare al referendum e al suo esito, ma ero felice di aver potuto ragionare su un passo del genere, con una luce nuova. In un mondo dove “Dio è morto” come direbbe Guccini, dove il capitalismo è saldamente legato al mercato, e il tuo reddito è legato a quanto produci, un ragionamento del genere mi ha sollevato. Siamo talmente immersi nella logica di mercato quasi da perdere la bellezza di certi passaggi.

Infine, continuo a non sapere quale esito avrà il referendum, ma almeno so che indipendentemente dal nostro numero di parlamentari non bisogna mai smettere di ripensare al nostro modello di vita e di stato. E a volte anche un piccolo particolare può offrire un cambio di prospettiva su tutto.

Antonio Albergo

Comments to: Qualche considerazione sul capitalismo

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