Westworld è senza dubbio una delle serie che ha riscosso maggior successo negli ultimi anni. E come potrebbe essere altrimenti? L’opera si insinua in un contesto fantascientifico, in un mix di avventura e azione tipica dei più grandi kolossal del genere. Eppure, non tutti sanno che la matrice originaria di questo prodotto è da ricercarsi nel 1973, anno d’uscita nelle sale cinematografiche de Il mondo dei robot, scritto e diretto da Michael Crichton (autore, tra l’altro, di Jurassic Park e di Mangiatori di morte, da cui fu tratto il celebre film con Antonio Banderas, Il 13 guerriero).
Il mondo dei robot condivide le medesime caratteristiche di Westworld, condensando e semplificando quegli articolati aspetti di trama che una serie televisiva deve possedere, concentrandoli nella durata media di un lungometraggio. Il risultato è, a mio avviso, sorprendente. Il film riesce a mantenere alta l’attenzione dello spettatore che, fin dalle prime battute, sarà sospettoso, guardingo, poiché messo sull’attenti da un contesto apparentemente tranquillo, salvo poi sfociare in un bagno di sangue, in una tragedia dai risvolti drammatici.
Ma di cosa parla questo film? Due amici, in un futuro relativamente vicino (il film fa riferimento agli anni Duemila), soggiornano in un villaggio vacanze a tema western, dove la maggior parte degli abitanti sono androidi, predisposti a relazionarsi, in tutto e per tutto, come veri e propri esseri umani (non mancano, infatti, i cliché delle risse nei saloon, i duelli tra pistoleri e gli inseguimenti a cavallo). Tutto sembra andare per il meglio, fino a quando, nella sala di controllo del quartier generale di Delos (questo il nome della struttura), non cominciano a ravvisarsi alcune problematiche: certi androidi non rispettano più i comandi, vagano per zone dove non dovrebbero essere, addirittura, prendono iniziativa.
Tengo a precisare che il soggetto di questo film non fu ripreso dal solo Westworld, ma la sua idea di fondo (le macchine costruite dall’uomo che si rivoltano contro i propri creatori) fu un tema largamente sfruttato nei decenni successivi, ottenendo anche la diffusione di opere che diventarono dei veri e propri cult. In effetti, proprio a quest’ultimo riferimento, Cameron, in Terminator, riprende pedissequamente l’inseguimento finale del film di Crichton, con l’androide, il pistolero nero, che viene ricalcato nello stesso modo da Schwarzenegger, sia nella voce che nei movimenti.
Una menzione d’onore va a Yul Brynner (attore protagonista di moltissimi kolossal di successo a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’70). È lui l’androide protagonista/antagonista dell’intera vicenda. Bruno Lattanzi e Fabio De Angelis scrivono, a tal proposito, su Fantafilm: “il film è dominato dalla presenza magnetica di Yul Brynner, perfetto nella parte dell’inarrestabile pistolero-robot. Sguardo glaciale, camminata minacciosa e solenne, conferiscono al personaggio un’aria di fredda determinazione e danno allo spettatore la convinzione di vedere sullo schermo il gemello cattivo di Chris dei Magnifici sette”.
In sostanza, Il mondo dei robot è un film da vedere, breve ma intenso, di cui consiglio la visione a chiunque sia minimamente interessato al genere della fantascienza, del western o dell’avventura, che qui vengono mixati perfettamente, senza nessuno sbilanciamento, dando l’idea allo spettatore di assistere ad uno spettacolo variegato ma uniforme.
Il successo della pellicola portò ad un sequel, Futureworld, 2000 anni nel futuro (1976), più statico e meno originale del suo predecessore, ma sempre realizzato con cura e intelligenza.
Contributo di Daniele De Sanctis
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