FINE GIUGNO 2018, aeroporto di Fiumicino

L’aereo iniziò a muoversi lentamente sulla pista. Una sottile pioggerellina accompagnava il suo risvegliarsi. L’asfalto era ornato delle luci segnaletiche che risaltavano nella pioggia come miraggi.

La calda notte romana era una coperta che accompagnava tutti i suoi movimenti.

Lloyd osservava distrattamente questo panorama dal finestrino dell’abitacolo. Aveva il viso appoggiato sul pugno del braccio sinistro, a sua volta appoggiato alla bell’e meglio sul bracciolo del sedile. Il posto accanto a lui era rimasto vuoto e ora che erano in movimento Lloyd concluse che così sarebbe rimasto per le successive 15 ore. Tirò un sospiro di sollievo. Non aveva alcuna voglia di fare conversazione.

Il signore dal lato corridoio sembrava dello stesso avviso. Leggermente in sovrappeso nella sua camicia a quadri, baffi argentati e cappello in stile panama da quattro soldi, Lloyd stimò che avrebbe dormito quasi tutto il tempo senza recargli alcun fastidio. Ottimo. Non avrebbe retto alcun tipo di conversazione e sarebbe stato costretto ad essere scortese per uscirne.

Davanti a se aveva un caffè americano servito in un alto bicchiere di carta e una copia di un “internazionale” vecchio di una settimana.

Voleva rimanere sveglio, ma non voleva leggere. In realtà voleva riflettere. In primis riflettere sul perché si fosse messo in viaggio.

L’aereo iniziò a prendere velocità, in modo inversamente proporzionale ai pensieri di Lloyd che andavano perdendosi nella necessità astratta del dover riflettere, senza riuscire a soffermarsi su alcun dato concreto.

L’aereo si predispose al decollo. Lloyd rilassò finalmente la mente e si godette l’animale sensazione del decollo, che ogni volta lo prendeva alla bocca dello stomaco come una sorta di orgasmo viscerale.

In un istante magico l’aereo si staccò dalla pista.

Lloyd, come ogni volta in quel momento, si trovò a chiudere gli occhi istintivamente.

Riaprendoli si accorse che nella sua mente si era insinuata una canzone, rispuntata da chissà quale recesso della sua mente.

Non ricordava il titolo ma ne ricordava le note, almeno quelle più iconiche, quelle più centrali.

Felice di potersi concentrare su una cosa così concreta, ci si applicò con tutto se stesso.

Le parole del testo erano quasi sulla punta della lingua ma ancora inafferrabili.

Quali erano, dannazione?

Intanto osservava la terra che iniziava ad allontanarsi. Le case diventavano più piccole, le luci diventavano indistinte, le macchine perdevano la loro essenza e diventavano puntini. L’aereo penetrava nella notte mediterranea lasciandosi indietro tutto il carico delle miserie umane della terra. Adesso avrebbe navigato per qualche ora in un limbo costituito solo dal rumore dei motori, dal crepitare della radio nella cabina di pilotaggio e dalle preoccupazioni che i passeggeri portavano con sè, più strette dei bagagli. Sarebbero atterrati a Rio De Janeiro il giorno dopo, verso mezzogiorno.

Cosa aspettarsi da questo viaggio? Lloyd non lo sapeva, e al momento aveva rinunciato a pensarci. Inseguiva solo le note nella sua testa. Stupende. Leggere ma intense, nuove ma antiche. Era come se in una folla numerosa avesse scorto un volto a lungo desiderato, un volto che il cuore sa di poter amare fin dall’inizio dei suoi battiti, ma lo aveva subito riperso in quella maledetta folla.

Na na na, ri na na na. Faceva tipo così.

Da dove era riaffiorata quella melodia? Lloyd decise di usare la logica.

La sua mente per quanto contraddittoria e offuscata da una malriposta fiducia nel romanticismo, in fin dei conti aveva una sua logica. Una logica che ormai Lloyd, a 35 anni, pensava di iniziare a decifrare.

Era appena decollato per il Brasile. Cosa che aveva già fatto una volta, tanti anni prima. L’anno del suo diploma di liceo classico, al Gabriele D’Annunzio di Pescara. Era l’inizio dell’estate 2002 e proprio quell’estate era partito con il suo più caro amico dell’epoca, Fausto, per festeggiare la maturità. Avevano valutato i progetti di viaggio più disparati e folli: da Las Vegas a Bangkok. Ma alla fine, non disponendo delle finanze necessarie si erano dovuti accontentare di quello che passava il convento. Letteralmente. Una delle chiese di Pescara infatti, la San Giuseppe, offriva un’esperienza missionaria in una favela poco fuori San Paolo. Il viaggio era sostanzialmente offerto dalla diocesi e durava due settimane piene.

Più che dallo spirito missionario Lloyd e Fausto erano animati dallo spirito dell’avventura e decisero di unire l’utile al dilettevole e partire con gli altri giovani della parrocchia, con la promessa di cogliere ogni occasione per godersela il più goliardicamente possibile.

Quel viaggio si rivelò invece un’esperienza complessa e più difficile di quanto entrambi avessero previsto, con la conclusione che più che “divertirsi” rafforzarono la loro amicizia dovendo far fronte comune a diverse difficoltà, alcune anche molto gravi.

Come tutte le esperienze difficili, più passava il tempo più quel viaggio maturava nella mente di Lloyd.

Se mentre lo viveva più che altro lo soffriva, già a qualche giorno del ritorno lui e Fausto si trovarono ad ammettere l’importanza di quello che avevano visto e vissuto.

Due settimane nelle favelas a condividere la vita degli ultimi dell’occidente, il loro cibo, le lore malattie le loro meschinità ma anche le loro speranze e le loro piccole gioie: non era esattamente quello che due maturandi si aspettavano dal loro viaggio estivo. Eppure ne rimasero segnati. Col passare degli anni raccontare “del Brasile” era diventato per entrambi un grande cavallo di battaglia nelle cene e nelle occasioni conviviali.

In Lloyd più passava il tempo più riemergevano ricordi piacevoli. Quella canzone doveva essere per forza legata a questi ricordi. La sua mente doveva aver associato il volo attuale per Rio a quella passata esperienza brasiliana.

Ormai la terra sotto di loro non si vedeva più. L’aereo aveva raggiunto l’altezza e la velocità di crociera.

Il segnale dell’obbligo delle cinture si spense.

Purtroppo rimase acceso quello del divieto di fumo. Lloyd si sarebbe volentieri fumato uno dei suoi toscani per accompagnare al meglio i suoi pensieri. Si consolò con una sorsata di caffè americano, ormai freddo.

Na na na, ri na na na.

Continuava a seguire mentalmente il ritmo della musica. Se solo fosse affiorata una parola, Lloyd la avrebbe avuta in pugno.

Chiuse di nuovo gli occhi e provò a vedere quali immagini gli affioravano nel sottofondo di quella musica mentale.

Emerse dapprima una sensazione di sonno. Di sonno arretrato mattutino. Quella sensazione di sonno che si prova solo appena svegli, quando si rimane ancora un po’ sotto le coperte perché fuori fa freddo. Poi emerse anche una sensazione di urgenza e di nuovo. Come se si fosse dovuto levare da un letto non suo, in un ambiente non famigliare e iniziare la giornata con una cosa nuova.

C’era quasi.

Cercò di seguire quel flusso di pensieri misto a ricordi.

Era in una stanza affollata. In una situazione familiare eppur nuova. Avveniva qualcosa che conosceva ma che in qualche modo non aveva mai vissuto così.

Si arrese. Non poteva andare più lontano di così.

Come a congedarsi da quel brano nascosto che pur lo aveva accompagnato fino a quel momento canticchiò con voce percepibile quelle note.

Na na na, ri na na na.

“Romaria” commentò subito il signore con i baffi argentei, la camicia a righe e il cappello da quattro soldi alla sua destra.

“Romaria” ripetè ancora guardando ora Lloyd negli occhi.

Fu come una folgorazione. Di colpo a Lloyd vennero in mente le parole del testo e tutto il contorno.

Sou caipira Pirapora Nossa Senhora de Aparecida Ilumina a mina escura e funda o trem da minha vida”.

Lloyd si rivide chiaramente nella sua prima mattina ad Itaqua. Questo era il nome della favela che per due settimane avrebbe chiamato casa nella lontana estate del 2002.

A lui e a Fausto li avevano fatti svegliare alle 6, nel pieno del freddo dell’inverno australe, e alle 6 e mezza lui e Fausto si erano ritrovati in una sorta di scantinato/rimessa a celebrare una messa cattolica, insieme agli ultimi tra gli ultimi. La cosa che colpì Lloyd era il trasporto musicale. Era molto più viscerale e coinvolgente di quello che aveva conosciuto in Europa.

La musica non era solo un contorno, era un veicolo.

Svegliava la fede, i sensi e la speranza di persone che apparte ciò possedevano ben poco. E il brano di inizio di quella giornata, nonché delle giornate successive era proprio questo: “Romaria”.

Un brano che parlava di una storia di miseria e di fede.

Forse di redenzione.

Lloyd guardò l’uomo alla sua destra con profonda riconoscenza e studiandolo con rinnovata attenzione gli rivolse a sua volta la parola “E’ vero! Lei ha ragione è proprio Romaria. Aspetti… com’è che continua?”

L’uomo guardò Lloyd con il sorriso di complicità che tanto spesso accompagna i latini e, a bassa voce, con tono cospiratorio ma al contempo ben marcato intonò:

È de sonho e de pó o destino de um só feito eu, perdido em pensamento sobre o meu cavalo. É de laço e de nó de gibeira o jiló dessa vida soffrida a sol”.

Al ritornello Lloyd si unì a lui. Quando il loro concertino improvvisato attirò le attenzioni della signora seduta davanti i due si interruppero scoppiando in una risata grassa e liberatoria.

“Pedro Muselo” porse la mano l’uomo con i baffi sporgendosi sul sedile vuoto. “Michael Lloyd”. I due si strinsero vigorosamente la mano.

“Lei dunque non è brasiliano!” aggiunse Pedro sorpreso “Eppure sono in pochi a conoscere questo brano al di fuori del Brasile!”

“Ci sono stato molti anni fa, nel 2002. Non sapevo nemmeno di ricordarla così bene questa canzone”

“Ehhh. Questa è una di quelle canzoni che una volta sentite ti rimangono dentro, come una ferita d’amore. Uno può illudersi che sia passata, ma in realtà è solo che non ci stai pensando in quel momento. Certe emozioni non passano mai davvero, e così certe musiche”.

“Lei invece immagino che sia proprio brasiliano” rispose Lloyd iniziando ad interagire con lui come se fosse un vecchio compagno d’armi.

“Oh può dirlo forte” rispose l’uomo “nato e cresciuto a Fortaleza. Ora vengo spesso in Italia perché i miei figli, ingegneri entrambi, lavorano qui, ecco perché parlo così bene l’italiano. Piuttosto lei come mai va in Brasile?”

Lloyd lo guardò intensamente “eh questa è una bella domanda. È talmente una bella domanda che la stavo ponendo anche io a me stesso giusto ora”.

I due uomini risero di gusto.

Lloyd riprese “E’ una storia lunga, non so se le va di sentirla”.

“Considera che abbiamo circa 15 ore di viaggio se le va di raccontarmela”.

Lloyd riguardò la copia dell’internazionale che aveva sulle gambe e il mezzo caffè americano. Fino a pochi minuti prima non avrebbe nemmeno tollerato l’idea di rivolgere la parola a qualcuno, mentre ora stava per parlare con questo signore sconosciuto di cose che non osava manco pensare tra sè e sé.

Questo è in definitiva il potere della musica, pensò.

“Quando è così” disse Lloyd guardando negli occhi l’uomo “diciamo che ci sono due motivi. Quello ufficiale e quello ufficioso. Anzi diciamo le cose come stanno: c’è la scusa da una parte e la verità dall’altra”.

“Come sempre” soggiunse il latino con i baffi “sentiamole entrambe allora”.

E così due iniziarono a parlare, mentre l’aereo avanzava inesorabile verso l’occidente del mondo.

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