Quale immagine di copertina abbiamo l’onore e la possibilità di esibire “Il grande burattinaio” di Claudio De Gregorio, in arte Cog
Domenica 12 giugno è stato possibile votare al referendum sulla giustizia. Ha stravinto il sì, ma non si è raggiunto il quorum per tramutare questi sì in cambiamento. Proviamo ad analizzare cosa sia accaduto.
Tra amici può capitare di voler organizzare una serata più intima rispetto al solito. Magari dopo una pasquetta particolarmente ignorante capita che tra amici ci si ritrovi a dire “Perchè non organizziamo una cenetta, ma più intima più raccolta, giusto noi quattro – cinque, senza scomodare tutta la banda?“.
Il desiderio di ritrovare un’intimità possibile solo tra vecchi amici è più che legittimo, ma si finisce ugualmente per organizzare la cosa come se fosse un complotto: “Meglio non dirlo troppo in giro, perchè se poi lo sa Tizio non possiamo escluderlo, e se viene Tizio non possiamo non chiamare anche Caio e Sempronio. Poi considerando che Caio viene sempre e solo accompagnato dalla fidanzata Caia, la quale notoriamente si porta appresso Mevia e Filana.. ecc“. In tal modo le consultazioni sul dove come e quando divengono se non del tutto segrete, quantomeno estremamente discrete, in modo da riuscire a fare una cosa intima ma senza offendere nessuno.
Questo è quello che mi è sembrato accadere intorno all’ultimo referendum. Gli organi di stampa non hanno nascosto la cosa, ma con estrema discrezione hanno accennato qui è lì all’esistenza di enigmatici quesiti. Noti personaggi dello spettacolo hanno accennato la cosa appunto come un evento intimo, riservato a pochi, dal quale in sostanza meglio astenersi per non risultare di troppo.
E così è volata questa domenica di giugno, che ha avuto quantomeno il merito di non affaticare troppo gli scrutatori, visto che c’era ben poco da scrutinare.
Ora potremmo impiegare pagine e pagine ad analizzare i “perchè” di tutto ciò, ad entrare nel merito dei quesiti referendari per valutarli uno ad uno, ma sarebbe inutile e controproduttivo. Vogliamo provare piuttosto a compiere una lettura “divergente” su tutto ciò, sperando di rimanere fedeli allo stile che da due anni ormai stiamo sviluppando.
Partiamo da un presupposto: i quesiti referendari erano quesiti seri e gravi. In molti li hanno accusati di essere troppo tecnici, troppo complicati. Altri ancora, comprendendone appieno la portata dirompente, hanno accusato il parlamento di demandare le proprie funzioni al popolo su argomenti troppo rilevanti.
Dunque sembra che la stragrande maggioranza degli italiani (sia coloro che erano per il sì sia coloro che parteggiavano per il no) concordi almeno su quanto segue: i quesiti da un lato erano complessi, dall’altro erano estremamente importanti.
Partendo da questi due punti fermi possiamo divertirci a sviluppare il ragionamento che segue.
Tutto ciò è stato un esperimento. Un esperimento che non credo essere stato fatto ad hoc ma piuttosto penso che sia venuto fuori per puro caso. Ad ogni modo è stato un esperimento che ha prodotto risultati utili e sorprendenti per gli osservatori più accorti.
Questi quesiti erano, lo ripetiamo per l’ultima volta, di importanza dirompente.
- Da anni si discute sull’opportunità della legge Severino con tutte le sue implicazioni.
- Da anni si storce il naso sui meccanismi elettivi del CSM, ben prima che Palamara ci servisse la doccia fredda delle sue rivelazioni.
- Da anni si grida allo scandalo per il fatto che oltre 1/3 della popolazione carceraria (estremamente sovraffollata già di suo) sia detenuta in attesa di giudizio e non in quanto condannata.
- Ai tempi in cui frequentavo la facoltá di giurisprudenza a Roma ricordo almeno tre convegni autorevolmente sostenuti sulla assoluta necessità di separare nettamente le carriere dei magistrati da quelle del pm, con accaniti dibattiti che riunivano pensatori di ogni ordine e grado.
- Ancora, una delle critiche più reiterate e più diffuse al nostro sistema giudiziario, tanto da diventare luogo comune, è l’autoreferenzialità della nostra corte di Cassazione.
Ebbene, domenica scorsa ognuno di noi poteva dire la sua su queste tematiche pazzesche. Ognuno di noi era autorizzato dallo Stato a soppesarle una ad una e decidere responsabilmente e con piena maturità in merito a questioni dibattutissime nella nostra società. Erano complesse, sì, certamente, ma questa non era una scusa per soprassedere.
Torniamo dunque alla teoria dell’esperimento. Con ciò non si intende affermare che qualche eminenza grigia abbia davvero orchestrato tutto ciò come un esperimento di laboratorio. Ma si intende che noi, da lettori divergenti della cronaca e della storia possiamo leggere quanto accaduto come se fosse un esperimento.
Come ogni buon esperimento che si rispetti, si parte da un’ipotesi. Poi, secondo il metodo galileiano, si mette alla prova quest’ipotesi e infine si valuta se la prova ha confermato o smentito l’ipotesi di partenza.
Dunque l’ipotesi che vogliamo porre è la seguente: che due anni e mezzo di gestione pandemica abbiano “intontito” la popolazione italiana. Che la abbiano sedata, fatta sentire oggetto e non soggetto politico, abituandola ad essere chiusa in lockdown in base ad un algoritmo o a vedere i propri diritti civili confermati o smentiti da un QR Code.
Tutto ciò ha infantilizzato la popolazione. La ha ipnotizzata, rendendola disinteressata della cosa pubblica, la quale tanto è in mano ai tecnici, ai Mario Draghi della situazione, a gente che ne capisce insomma.
Di medicina si occupa Burioni, di farmacologia la Pfizer, di economia e governo il grande Mario Draghi. E di diritto si occupa il parlamento. Punto.
“Come si osa chiedere a noi queste cose? A noi cittadini? Ma stiamo scherzando? Da che mondo e mondo le cose tecniche le decide il popolo? Non sono forse due anni e mezzo che zittiamo ogni dissidente dicendo di limitarsi a stare nel suo e lasciare le cose tecniche ai tecnici? Cosa è questo strano voto che turba la nostra normalità?“
Estremizzando un pó, questo era il senso della maggior parte delle conversazioni che ho avuto occasione di ascoltare.
Dunque torniamo alla nostra tesi e riassumiamola con la seguente domanda: “Ha per caso la gestione pandemica finito per istupidire la popolazione e disinteressarla alla nobiltà del proprio ruolo?“.
Per vagliare la resistenza di tale tesi occorre predisporre un adeguato esame di verifica. Pertanto prendiamo alcuni quesiti referendari, non troppo accattivanti come la diminuzione del numero dei parlamentari o la liberalizzazione della cannabis. Quesiti del genere sarebbero talmente eclatanti da far balzare sulla sedia anche i peggiori ottenebrati. Ma poniamo dei quesiti rilevanti ad un occhio attento ma che presi singolarmente non facciano tanto scalpore. Quesiti tali che se passassero tutti e cinque cambierebbero in modo apprezzabile il volto della nostra giustizia. Prendiamo quesiti di tal fatta, che anche se non eclatanti si rivelino nel complesso decisivi per gli equilibri della Repubblica. E a quel punto vediamo chi se ne accorge, vediamo chi se ne interessa. Chiamiamo al voto quel popolo che presumiamo addormentato, anche se non siamo ancora del tutto sicuri del loro sonno. Diamogli il potere di pronunciarsi non sui temi più grossi dei nostri anni, ma sui temi forse più delicati dei nostri anni. Eserciteranno questo potere? Si sveglieranno? O cortesemente restituiranno la palla a chi di dovere, ai tecnici?
Ebbene i risultati dell’esperimento sono evidenti. La massa di coloro che si sono interessati per il si o per il no è stata estremamente esigua.
Vero è che molti di coloro che non hanno votato parteggiavano per il no, e hanno esercitato un astensionismo mirato a non raggiungere il quorum, del tutto legittimo. Ma effettivamente quante delle astensioni sono riconducibili a ciò? In base ai sondaggi sembrerebbe essere una percentuale bassissima. La maggior parte di coloro che si sono interessati ai quesiti hanno espresso il voto, positivo o negativo che sia, quantomeno per dare un segnale elettorale sulla loro posizione circa gli argomenti trattati. Più del 90% delle astensioni non erano tattica, erano disinteresse. Era sonno. Era la conferma dell’ipotesi di partenza.
E pertanto, chiusa questa grande possibilità di dire la nostra, andiamo avanti e restituiamo l’amata “serva Italia, di dolore ostello” nelle mani dei tecnici, di coloro che sanno quello che fanno, perchè noi, popolo, vogliamo solo tirare a campare, tra un QR e un Lockdown, in attesa che questo sonno della ragioni sveli i suoi mostri peggiori.
Antonio Albergo
Immagine in evidenza: “Il grande burattinaio” 21×29 cm, tecnica mista su carta, 2017, Claudio De Gregorio, in arte Cog
Classe ’94, diplomato al liceo classico di Pescara Gabriele D’Annunzio, Laureato in Giurisprudenza alla Luiss di Roma e ora praticante notaio. Appassionato di cinema e viaggi, si divide tra la gestione di PensieroDivergente e lo studio notarile.
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