Il Relativismo è una forma di dogmatismo ateo, perchè affermare che non esiste una verità assoluta equivale ad affermare una verità assoluta” Giuliano Ferrara

Se c’è una parola chiave per descrivere la nostra epoca storica, questa probabilmente sarebbe “relativismo”. L’umanità ha vissuto molte “fasi”, possiamo considerare tali il periodo “classico“, l’ “alto medioevo” il “basso medioevo” il “rinascimento” l'”illuminismo“, il “romanticismo“…..tutte queste denominazioni sono state assegnate a posteriori, solitamente dagli uomini dell’epoca storica di poco successiva a beneficio del periodo appena trascorso, di norma al fine di creare una contrapposizione generazionale. Ciò avviene per la semplice ragione che è troppo difficile definire un qualcosa mentre si svolge, troppe sono le variabili e troppi gli esiti in forse. Allo stesso modo in cui non si può proclamare santa una persona ancora vivente, non può compiutamente definirsi un’epoca in pieno svolgimento. Quindi, ciò che proveremo a fare in questa sede, non è tentare di dare definizioni, ma provare a ragionare sulla base delle informazioni a disposizione e a fare ipotesi sul nostro tempo.

Il relativismo è una posizione filosofica che nega l’esistenza di verità assolute, o mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione assoluta e definitiva. Secondo alcuni interpreti le sue radici risalirebbero addirittura alla sofistica greca, una corrente filosofica del V secolo avanti Cristo. Si contrappone in particolare all’ assolutismo, che in chiave politica può definirsi come la lotta per l’imposizione di un sistema unitario. In altre parole, può definirsi assolutismo il riconoscersi in una verità superiore e cercare di governare in base ad essa.

Il relativismo odierno, come corrente culturale di massa, ha iniziato ad imporsi nel finire del 1900. Alcuni studiosi fanno coincidere l’evento con la caduta dell’Unione Sovietica. Infatti fino a che vigeva la netta contrapposizione tra due mondi antitetici tra loro (appunto il blocco comunista e il blocco capitalista) era difficile che si imponesse una filosofia basata sull’assenza di una verità assoluta, dal momento che tutto il mondo occidentale si sforzava di rappresentare la propria idea di società come la verità assoluta. Nella stessa storia recente italiana (anni 60, 70 e 80) vigeva una ferma polarizzazione: si era nettamente o di destra o di sinistra (o anarchici) e lo scontro purtroppo era un dialogo sovente utilizzato, nelle piazze, nelle periferie, nelle università addirittura. In tal contesto la caduta dell’Unione Sovietica rappresentò non solo la caduta di un sistema politico-militare, ma anche la fine di un’era filosofico-sociale. Infatti l’Occidente, fino a quel momento impegnato a proclamare costantemente la sua visione economico-sociale, ottenne un successo che non sperava (e che forse nemmeno cercava): rimase effettivamente l’unico modello al mondo. Questo era indubbiamente un grande successo, ma con un grosso svantaggio: un’ intera impostazione filosofica e retorica, ben collaudata, era definitivamente superata.

Da questa impasse nasce il meraviglioso mondo degli anni 90, che ora finalmente inizia ad ottenere la mitizzazione che merita. Dopo che per tre decenni le generazioni hanno travato nella contrapposizione e nel confronto di piazza la loro essenza, la contrapposizione stessa iniziava a non avere più senso. La ricerca di un nuovo senso, unita all’urgenza di una nuova narrazione a livello statale, ha caratterizzato la classe giovanile degli anni ’90. La trasformazione non fu solo sociale e politica, ma illimitata. Le console (come playstation) iniziarono a diffondersi e a diventare da semplice passatempo un fenomeno culturale di massa; il cinema iniziò a sperimentare nuove forme di linguaggio, si pensi ai nuovi Cult come Trainspotting o Pulp Fiction (non a caso si consacrò Tarantino come perfetto emblema del nuovo cinema, a Cannes nel 1994). Nella sartoria si diffondono completi più originali in rottura con il precedente formalismo (ancora oggi si può sentire l’espressione “una cravatta anni ’90“, solitamente per contrassegnare un capo quasi inindossabile in contesti odierni) .

In tutto questo contesto culturale avvennero: il processo di mani pulite, noto come tangentopoli, che pose fine ad un intera classe politica; le più gravi stragi di mafia; la messa sotto processo di Andreotti e l’arresto di Totò Riina, principalmente sulla base della testimonianza del pentito di mafia Buscetta; le rivelazioni sulle attività segrete della politica occidentale come Gladio………. per non parlare della prima diffusione di internet e dei telefoni cellulari.

Quando questo confuso e innovativo decennio finì, il relativismo si era definitivamente imposto nella realtà sociale. Fu probabilmente una sorta di antidoto alle nuove incertezze ed incognite che si profilavano.

Obiettivamente occorre constatare che il relativismo ha i suoi punti di forza. Se rifiutiamo aprioristicamente una verità assoluta rifiutiamo con essa anche ogni scontro per arrivarci. Si superano dunque i contrasti, le liti, le discussioni. Ognuno si riconosce la propria verità, dettatagli dalla propria vita, dal proprio passato e dalle proprie esperienze. Ciò potrebbe sembrare una delle più grandi conquiste della mente umana. O almeno lo si sarebbe potuto pensare venti anni fa. In realtà la filosofia relativistica, ad avviso di chi scrive, ha prodotto due pesanti conseguenze.

1) La prima la si è avvertita in ambito sociale ed è la disabitudine al confronto. Il dialogo si è ridotto negli ultimi vent’anni ad una reciproca esposizione di tesi, senza più alcuno sforzo di cercare una sintesi. Il punto di partenza generalizzato è infatti l’inconciliabilità di diverse verità relative, il che a ben vedere, rende superfluo anche l’esporre la propria. Alcuni potrebbero dubitare che relativismo significhi inconciliabilità a priori. In effetti in prima istanza il relativismo significa che la verità è in ognuno di noi. Ma in ultima istanza vuol dire proprio che se ogni individuo è proprietario di una sua verità, essendo ognuno di noi individuo unico nella propria essenza, vi saranno soltanto tante verità inconciliabili tra loro. E’ praticamente un nuovo feudalesimo, un nuovo “incastellamento”, in cui gli individui non si arroccano in monumentali costruzioni, ma nel proprio IO. La conseguenza di questa impostazione sociale non poteva che portare al “distanziamento” e al “lockdown”. Il terreno era culturalmente fertile affinchè una malattia ci facesse definitivamente sentire alieni gli uni dagli altri. Questa situazione si è ancora più aggravata con i moderni mezzi tecnologici. Siamo abituati ad una conversazione sempre più “frazionata“: brevi tweet, brevi didascalie sotto una foto, una mail, un audio. La forma di comunicazione odierna è principalmente unidirezionale: Io comunico un breve messaggio, la mia breve verità e poi tu, unidirezionalmente, con il tuo tweet, la tua mail, il tuo audio mi comunichi la tua. E poi ci salutiamo. La conversazione bilaterale, viva, frontale è sempre più rara. E tutto ciò era già in pieno sviluppo da prima del “divieto di assembramento” e del distanziamento sociale“. Non c’è da stupirsi allora se l’insulto è la comunicazione più frequente su internet, visto che il nostro primo presupposto sociale è l’inconciliabilità a priori.

2) La seconda conseguenza, ancora più grave agli occhi di chi scrive, si riflette sul piano politico. E si tratta quasi di un paradosso. Dico “quasi” perchè in realtà più che un paradosso è solo la logica conclusione del relativismo. La convinzione dell’inesistenza di un’ unica verità, elimina difatti anche la pluralità nella politica. Se si guardano gli scontri intellettuali tra i partiti politici odierni e li si confronta con i dibattiti politici della seconda metà del 1900 ci si può rendere conto dell’abissale differenza. Gli stessi programmi politici odierni, da un partito all’altro, divergono solo per pochi punti, quasi tutti di carattere tecnico o amministrativo. Inizia ad imporsi una narrazione detta “politically correct” che è al di sopra di qualunque partito o idea personale. Il politico che forse per primo ha intercettato e cavalcato questa nuova tendenza è stato Barack Obama, presidente degli Stati Uniti d’America dal 2009 al 2017. Obama si approcciò al mondo annunciandosi non come rappresentante di una visione politica ma come il “presidente di tutti“. Più volte ha dichiarato, prima, durante e dopo il suo mandato, che le sue misure politiche avrebbero beneficiato non solo il suo elettorato, ma tutti gli americani. Obama fu il primo politico su vasta scala a comprendere che la presenza di infinite verità individuali stava portando ad una disgregazione delle “fazioni“, e pertanto riuscì a convincere il popolo americano di essere al di là delle fazioni. Ripose alla base di tutte le sue decisioni un nuovo senso di “giustizia”, aprioristico, ancestrale, slegato dalle idee di parte. Paradossalmente il dilagare del relativismo ha giustificato un ritorno credibile di una politica neo assolutistica.

Cerchiamo di comprendere meglio questo particolare fenomeno percorrendo la strada opposta. La seconda metà del 1900 fu caratterizzata da un forte assolutismo nelle opinioni pubbliche, e la politica che rifletteva questa situazione era, al contrario, profondamente relativista. Infatti i partiti politici, prendendo coscienza di blocchi di pensiero diversi e nettamente contrapposti proponevano ognuno una sua ricerca della verità (intesa come soluzioni politiche e sociali). Le diverse fazioni politiche si facevano portatori ciascuno di un’idea di verità e giustizia che emergeva dal dibattito pubblico. Così un popolo animato dal contrasto tra più visioni antitetiche si ritrovava in partiti politici i quali cercavano di portare avanti visioni nettamente distinte. Il “giusto per tutti” era un concetto totalmente alieno alla politica. Vi era il “giusto per l’elettorato”, ossia per quella frangia di popolo che nel dibattito sociale assume determinate convinzioni. Assolutismo nella società si traduce in relativismo nella politica, perché si parte dal presupposto che c’è un Giusto superiore, ma si imboccano strade diverse per trovarlo. Al contrario relativismo nella società significa assolutismo al governo: in assenza di frange contrapposte, non ci sono diverse vie per giungere alla verità, ma rimane solo ciò che per definizione rimane oggettivo in un mondo relativo e opinabile: la Scienza e la Tecnica. In questo contesto non stupisce che l organo decisionale più importante durante questa crisi sia sostanzialmente il Comitato Tecnico-Scientifico. La scienza e la tecnica non sono opinabili, sono Assolute. Non si può divergere da esse, si possono solo seguire quale Bene superiore. E le verità individuali, di un soggetto o di una frangia di popolo devono necessariamente soccombere, in quanto relativi e parziali.

Il relativismo ha raggiunto in questi nostri giorni il suo capovolgimento: dall’affermare le infinite verità, ad affermare politicamente la nuova verità assoluta.

Ad ogni modo, come accennato in premessa, è molto complesso definire un fenomeno in atto. Non si può dire se il fenomeno politico-sociale come descritto continuerà ad evolversi in tal modo o se la tendenza si invertirà. Ci sono anche alcuni segnali di senso opposto:

  • L’elezione di Trump nel 2016 era chiaramente sintomo di un desiderio di una politica di fazione (lo stesso Trump non si è mai definito “presidente di tutti”, sa bene che rappresenta solo la “sua” fazione)
  • La brexit sempre nel 2016, fu un forte segnale da parte del popolo inglese di voler tornare a fare una politica di “fazione nazionale”, abbandonando il modello europeo basato su valori sovranazionali (e che potremmo definire assolutistici a loro modo, in base all’analisi fatta).

Sta a ciascun lettore dedurre, in base alla propria coscienza e conoscenza, se sia più salutare una società assolutista che si rispecchia in un classe politica relativista o se lo sia una società relativista che si rispecchia nell’assolutismo della nuova politica.

Prevedere il futuro non si può. Ma analizzare il presente lo si può fare, e in alcuni casi lo si deve fare. È un’operazione faticosa perchè variabili e incognite sono numerose e si corre inevitabilmente il rischio di sbagliarsi, ma è un rischio che vale la pena affrontare se si accetta di tornare a discutere. Discutere della Verità. Come ebbe a dire Sant’Agostino nel V secolo dopo Cristo: “Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi“.

Antonio Albergo

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Comments to: Sull’Assolutismo e sul Relativismo
  • 1 Maggio 2021

    PensieroDivergente un ottimo blog, complimenti! Articoli di attualità con uno sguardo diverso dal solito! Grazie 🙂

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