Se i pensieri corrompono la lingua, anche la lingua può corrompere il pensiero” George Orwell.

E’ sembrato opportuno agli occhi di scrive, iniziare l’articolo che state per leggere con questa citazione. Usiamo migliaia di parole al giorno, si stima che siano tra le 3000 alle 6000. Ci occorrono per comunicare dati, informazioni, stati d’animo, esprime emozioni, descrivere il reale, immaginare storie, realizzare opere d’arte…. L’uomo è un essere pensante ma innanzitutto è un essere parlante.

Ad un primo livello, che potremmo definire conscio, pienamente consapevole, possiamo dire che le parole sono alla nostra percezione nient’altro che uno strumento per arrivare ad uno scopo. Non ci soffermiamo troppo nello scegliere quali utilizzare, se non per poche frazioni di secondo mentre parliamo, qualche secondo al massimo se stiamo scrivendo. Eppure le parole oltre che portare concretezza alle nostre intenzioni e ai nostri scopi possono modificare, indurre, o limitare i nostri stessi scopi e interessi. Questo avviene ad un secondo livello, che potremmo definire “inconscio“, o non immediatamente percepibile.

Prendiamo un esempio. La parola Negazionista, secondo l’enciclopedia Treccani , aggiornata al giorno 3 ottobre 2020, presenta il seguente significato: “Relativo al negazionismo: assumere posizioni ideologiche negazioniste. Come sostantivo: sostenitore o seguace del negazionismo.” Occorre allora andare a cercare anche la parola Negazionismo per avere un quadro completo. Sempre secondo l’enciclopedia Treccani aggiornata al 3 Ottobre, il significato è il seguente: “Termine con cui viene indicata polemicamente una forma estrema di revisionismo storico, la quale, mossa da intenti di carattere ideologico o politico, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia moderna ma, specialmente con riferimento ad alcuni avvenimenti connessi al fascismo e al nazismo (per es., l’istituzione dei campi di sterminio nella Germania nazista), si spinge fino a negarne l’esistenza o la storicità.“.

Come l’autorevole dizionario evidenzia, la parola negazionista è strettamente correlata al revisionismo storico, e nello specifico è termine utilizzato per indicare coloro i quali partecipano della dottrina storica, assolutamente minoritaria, che nega l’esistenza dello steriminio ebreo durante gli anni del nazismo. Ebbene tale parola, Negazionista, carica dunque degli echi del significato che porta con sè, è recentemente tornata alla ribalta. La si vede associata a tutta una serie di personaggi che esprimono opinioni sul Cornonavirus, distanti dalla narrazione governativa o dell’informazione cosiddetta mainstream. A titolo d’esempio è stato chiamato negazionista il virologo Tarro, il giornalista Porro, il giurista Giorgianni, il parlamentare Sgarbi, l’attore Montesano, solo per citarne alcuni. Ma non perchè queste persone negassero lo sterminio degli ebrei. Dette persone sono negazionisti secondo una nuova accezione, appena coniata, talmente recente che nemmeno i più noti e autorevoli dizionari online sono aggiornati. Il nuovo significato è: Negatore del coronavirus. Questa sarebbe la nuova accezione del termine.

La domanda di chi scrive è la seguente: ma davvero la politica e il grande giornalismo italiano non sono riusciti a trovare una terminologia migliore per indicare i “dissidenti”? Davvero la parola giusta per indicarli è il termine negazionista, utilizzato fino all’alba della pandemia per indicare chi per motivi politici negava un femoneno come la Shoah? Dev’essere davvero pesante vedersi attribuito un aggettivo di questo genere solo per aver espresso il proprio pensiero sull’attuale situazione, considerando gli echi che detto aggettivo porta con sè.

Ma analizziamo allora nel merito il punto di vista dei nostri contemporanei negazionisti: Nicola Porro ha avuto il virus con tanto di sintomi (febbre alta e tosse). Qui troviamo il video in cui analizza la sua situazione da malato https://www.youtube.com/watch?v=yknqUZfkaVs. Qui invece si trova il suo intervento al Senato in cui contesta a livello economico, non l’esistenza del virus, ma semplicemente la strategia del governo https://www.youtube.com/watch?v=IF8TPumgwSQ. Pertanto il noto giornalista italiano non ha negato l’esistenza del coronavirus, bensì ha fatto solamente il suo lavoro di giornalista: ha osservato la situazione, analizzato le circostanze e raccontato la propria visione del mondo in chiave critica. Ad ogni modo è abbastanza colpevole da essere appellato come Negazionista. La situazione è analoga per quanto riguarda il magistrato italiano Giorgianni, il quale, in chiave polemica, analizza quelle che a suo avviso sono state le criticità giuridiche commesse dal governo nelle misure di contrasto del coronavirus. Anche lui senza negare il virus, ma solo per avere un suo punto di vista sulla lotta al virus, viene etichettato senza pietà e senza appello quale negazionista. Detto congresso al Senato, svoltosi nel finire di luglio scorso, è stato chiamato dalla stampa “Il congresso dei Negazionisti” e molte personalità nel nostro scenario medico e politico, evidentemente non soddisfatte, lo hanno anche definito pericoloso, per il solo fatto che autorevoli personalità abbiano espresso nello stesso contesto, critiche mirate e serie alle misure di contenimento.

Ultimo ad essere tirato in ballo è l’artista italiano Enrico Montesano, noto attore e regista romano. Dal momento che a fronte dell’obbligo di mascherine all’aperto vigente dal giorno 3 ottobre nel Lazio, si è detto contrario a questa misura estrema, ecco piovere i titoli di giornale in cui il nome dell’artista viene marchiato a sua volta con la parola negazionista.

L’esigenza di marchiare chi la pensa diversamente, è già di per sè qualcosa di intrinsecamente errato, ma quel che è peggio è che non credo che la scelta del termine sia casuale. Dire “Porro polemico” o “Montesano contestatore” o “Giorgianni protestatario” non avrebbe avuto lo stesso effetto. Termini di questo genere al massimo avrebbero potuto suscitare interesse o curiosità nel lettore di giornale o nell’ascoltatore della radio: una posizione “polemica” o “contestataria” finisce sempre per attrarre attenzione. La parola “negazionista” invece provoca immediato rigetto e presa di distanza. Il discredito che associa immediatamente al soggetto a cui si riferisce, fa in modo che il messaggio veicolato venga subito inquadrato sotto una luce pericolosa, da cestinare prima ancora che da analizzare.

Lo stesso è avvenuto con la parola assembramento, sostituita alla parola riunione. L’assembramento è un termine che da lungo tempo è scomparso dalla nostra legislazione (nella stessa costituzione è assente) e che risale al 1800, ai tempi dei moti popolari che il potere tentava di sopprimere a viva forza. La parola assembramento porta con sè echi di minaccia, di pericolo sociale, di lotta imminente, di aggregazione di persone pronte a compiere qualcosa di discutibile. Nessuno si sentirebbe di dire che “vietare gli assembramenti” sia sbagliato, in qualche modo è come se fosse corretto, se fosse sempre stato così addirittura. Ben diverso è l’effetto psicologico nel dire che sono “vietate le riunioni” o gli “incontri”.

Cambiare il termine, anche veicolando lo stesso messaggio, cambia la reazione. In un caso ci sarà accettazione quasi automatica, nell’altro ci sarà piena consapevolezza delle implicazioni, a cui può seguire pesantezza o rigetto.

Ultimo esempio è la parola Lockdown, un anglicismo importato per l’occasione nel vocabolario italiano. Perchè si è sentito il bisogno di adottare un termine estero per descrivere la misura di contenimento del virus? Non vi erano idonei termini in italiano per descrivere in cosa sarebbe consistito, forse? O forse il termine di “restrizione alla libertà personale” avrebbe destato troppa consapevolezza? Forse “arresto domiciliare” era meno utilizzabile negli hastag governativi?

Nella nostra realtà politico-sociale, abbiamo oggi la dimostrazione del genio di Orwell che aveva intuito che la più grande arma del Grande Fratello non sarebbe stata l’esercito, o la forza pubblica, ma la Neolingua.

Chiudiamo questa breve riflessione con un’amara citazione che dovrebbe indurci a riflettere su quanto accade intorno a noi.

Noi non vogliamo convincere le persone delle nostre idee. Noi vogliamo ridurre il vocabolario….in modo tale che possano esprimere solo le Nostre Idee” Ioseph Goebbels, Giornalista, Politico e Gerarca Nazista.

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