L’emergenza COVID-19 ha messo in luce diversi aspetti che nella nostra cara Italia non rispondono alle caratteristiche che un moderno Stato di diritto di stampo liberale (o presunto tale) dovrebbe avere inciso nel proprio DNA, socio-culturale prima che legislativo. Dovrebbe ma evidentemente l’Italia non ce l’ha, o meglio non riesce a farle completamente sue. Cerchiamo, quindi, di mettere in evidenza quanto si riesce ad osservare e di ravvedere possibili ragioni di questo strano comportamento che chi ricopre posizioni di potere tende ad assumere nei confronti del tessuto sociale e civile su cui ricade l’azione di governo. Per non sembrare alienante, cerco di spiegarmi “localizzando” il problema a livello di principio.
La nostra Repubblica, come tantissime altre nell’Occidente civilizzato, si fonda sui principi di rappresentatività politica e di partecipazione. Quest’ultima è: indiretta in modo immediato, poiché è sufficiente avere cittadinanza e scheda elettorale per votare i propri rappresentanti al potere, quindi non si fa personalmente parte del potere ma si delega la propria “sovranità” a qualcun altro; diretta in modo mediato, poiché per partecipare direttamente al potere si passa attraverso dei filtri. Siamo, tuttavia, tutti quanti il medesimo corpo politico per utilizzare una terminologia hobbesiana. Questo punto è fondamentale per capire il problema che mi propongo di mettere in evidenza, poiché a ben vedere questa sensazione di corpo politico unitario che delega la propria sovranità a qualcuno che si trova, per un motivo o per un altro, oltre i suddetti filtri apparentemente non si percepisce. Il politico, l’istituzione, il potere in generale in Italia sono concepiti come un qualcosa che sta al di sopra di noi, un qualcosa verso cui chinare il capo e da accettare passivamente e acriticamente. Ma cosa vuoi capire tu cittadino qualunque? Loro sono quelli che sanno e che hanno il potere, quindi gli ubbidiamo… un po’ come nelle nostre famiglie si è sempre fatto con il papà e/o il nonno.
Non dico questo a caso, poiché la cultura italiana è sempre stata imperniata di un certo paternalismo, spesso degenerato in aperto sessismo. Nelle famiglie più tradizionali (e personalmente provengo da una di queste) mamma e nonna facevano sì che figli e nipoti rispettassero i precetti e le regole che provenivano da padre e nonno. Non è mia intenzione indagare possibili ragioni di questo specifico fenomeno, tuttavia è essenziale per comprendere il perché di questo comportamento politico anomalo italiano. Sicuramente è anche una delle ragioni per cui le donne in Italia fanno più fatica del dovuto a ricoprire ruoli di importanza rilevante e, quelle che ci arrivano, vengono spesso bersagliate da una parte, oggi fortunatamente ridotta ma ancora parecchio rumorosa, dell’opinione pubblica.
Ma è sufficiente questa piccola predisposizione socio-culturale al paternalismo acritico dell’italiano medio per spiegare perché chi governa si comporta come se fosse un papà che ha circa 60 milioni di bambini a cui badare e da sfamare? Sicuramente no, ma è un punto di partenza importante, fermo e di pacifica condivisione nonostante possa far male ammetterlo. A qualcuno sarà sicuramente venuto in mente Matteo Salvini, segretario della Lega e al tempo Ministro degli Interni, che in una delle sue numerose live ha dichiarato testualmente e tranquillamente di avere “60 milioni di figli da sfamare”. E come dimenticare i vari “concediamo” dell’attuale premier Giuseppe Conte, come se stesse parlando a dei suoi ipotetici figli ai quali si stanno allentando le restrizioni di un periodo passato “in punizione”?!
In Italia, occorre dirlo, questo linguaggio è concepito da una parte importante del Paese come “normale” ma è tutt’altro che normale. Un certo linguaggio paternalistico, tuttavia, è talmente insito nella sensibilità italiana da comparire anche all’interno della nostra Costituzione (noti sono i vari riferimenti fatti a una presunta “diligenza del buon padre di famiglia”, che nella società odierna non vuol dire alcunché di sensato e realmente riscontrabile). Infatti in uno stato di diritto, al di là delle particolarità dei casi specifici, il politico che ricopre incarichi di potere proviene come tutti noi dalla società civile, non ha avuto alcuna investitura reale o divina; rispetta i principi della Costituzione (anche quelli apertamente paternalistici) che rispettiamo tutti e a cui apparentemente ci conformiamo, è sottoposto alle leggi esattamente come lo siamo tutti noi, condivide tutti i doveri del cittadino che ogni cittadino è chiamato ad ottemperare per la salute dello Stato. In una parola, non è altro che un princeps inter pares, “primo tra pari” ma “primo” da un punto di vista strettamente cronologico nella catena del potere. La catena, però (è fondamentale dirlo), è orizzontale, non è verticale. Il politico, insomma, non scende dall’Alto dei Cieli, ma proviene dal nostro stesso livello. Bisogna tener presente, infine, che la rivoluzione dello stato di diritto è che il livello è unico, non ci sono livelli in basso e livelli in alto. Allora per quale motivo, se l’Italia è un Paese di tale fatta e che condivide questi valori, si accetta così diffusamente questo comportamento?
La risposta che mi sento di dare, come personalissima opinione, è che il paternalismo è rassicurante, non pone il problema della responsabilità delle azioni poiché questa ricade sempre sul padre, che risponde legalmente e pedagogicamente delle azioni del figlio che deve ancora diventare adulto. Mi sembra evidente che l’Italia, da sempre ma oggi in modo più grave, tenda sempre a scaricare responsabilità su un qualcosa di altro che sta sempre al di sopra e, se non sta al di sopra, sta fuori: colpa dell’Europa per riforme che l’Italia non ha mai voluto fare, preferendo scelleratezze acchiappa-voti che hanno reso il Paese più povero e diseguale al suo interno e meno credibile a livello internazionale; colpa dei politici ma noi votiamo solo quelli che ci propongono mancette e rattoppi piuttosto che prospettive di crescita e sviluppo; colpa del PD perché ha governato prima, dimenticandosi che prima del PD non vivevamo nelle palafitte e avevamo superato da parecchio tempo l’età del bronzo; se la colpa non è dei sopraelencati ci sono sicuramente dei “poteri forti” e sconosciuti dietro che operano nell’ombra cospirando contro il nostro grande Paese. Nessuno che dica che il problema siamo noi, che dovremmo farci un esame di coscienza ed essere più responsabili, di smettere di pretendere tutto dagli altri Paesi e abbracciare piuttosto una prospettiva di scambio, di reciproco arricchimento e di disponibilità piuttosto che porsi sempre in posizione di superiorità.
Facciamo un passo alla volta, però, e con calma: prima di arrivare a tutto questo, iniziamo col prendere coscienza del fatto di essere adulti e responsabili delle proprie azioni, poi col concepirci davvero come pari, anche perché uguali già lo siamo, dal momento che anche chi ci governa fa una fatica enorme ad assumersi le proprie responsabilità e preferisce fare scaricabarile su cose più grandi e/o altre di e da sé. Non è mai troppo tardi per cambiare.
Laureato in filosofia e storia, specializzato in filosofia antica e appassionato anche di cose serie come politica, cinema e videogiochi. Adoro stare in compagnia, amo la buona cucina e, nel mentre, cerco di essere più informato e consapevole possibile.
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