Chi mi conosce bene sa che non ho mai avuto un rapporto molto fortunato con la maggioranza dei professori che ho conosciuto. Uno dei pochi professori di cui conservo un ricordo positivo è stato il mio professore di storia e filosofia durante il terzo anno del liceo. La sua figura fu talmente importante per la mia formazione che siamo rimasti amici anche dopo la fine del suo mandato, (tanto è vero che a distanza di quasi dieci anni continuiamo a incontrarci spesso e a scambiarci libri, idee e opinioni).

Nel corso di uno dei nostri aperitivi, alcuni anni fa, condivise con me la sua preoccupazione circa il futuro della classe dirigente in Italia. In poche parole: mi disse che la responsabilità di ripensare la società italiana sarebbe toccata alla mia generazione e non alla sua (nata a cavallo tra gli anni ’70 e ’80) poiché nel momento in cui i baby boomers avrebbero ceduto (finalmente) il passo alla novità gli unici che sarebbero stati in grado di guidare il paese saremmo stati noi millenials.

Già, proprio noi millenials nati a ridosso del nuovo millennio. Noi millenials dimenticati da tutti e cresciuti spesso in modo approssimativo da chi banalizzava le nostre esigenze e ci guardava come dei rimbambiti…

Non ho mai dimenticato la profezia del mio professore e oggi più che mai non posso non interrogarmi sulle ragioni che lo spinsero a condividere con me quell’importante ragionamento.

Premesso che non sono una persona che ama fare ragionamenti approssimativi, l’osservazione attenta di molti boomers inevitabilmente mi spinge ad osservare una serie di elementi comuni (elementi comuni alla base di quello che non ho alcuna vergogna a definire “fallimento”).

Di cosa stiamo parlando?

La generazione dell’entusiasmo e della ripresa che ha dominato il dopoguerra è in realtà una generazione costituita in larga misura da sociopatici che ha contrabbandato in Occidente soltanto illusioni e soddisfazioni effimere, lasciando i loro successori sicuramente più ricchi ma anche più indebitati.

Disuguaglianze economiche, spesa pubblica fuori controllo, un welfare da ristrutturare, pensioni inesistenti, ideologie inconcludenti, sfiducia nelle istituzioni, rifiuto delle tradizioni cosa sono se non il frutto di decenni di scelte e (non) scelte attuate (o non attuate) da chi è nato tra gli anni ’50 e gli anni ’60?

Dopo la fine della civiltà contadina chi avrebbe dovuto interrogarsi seriamente sui limiti del consumismo? Chi avrebbe dovuto ragionare sulle tematiche ambientali? Chi avrebbe dovuto lavorare ad un piano energetico sostenibile per il paese?

Il dubbio rimane e con esso una nuova osservazione che mi spinge a concludere che la maggioranza dei boomers siano la prima generazione moderna che nutra sentimenti negativi verso la realtà.

Le grandi battaglie per l’avanzamento dei diritti hanno lasciato come eredità aggiuntiva anche una grande confusione esistenziale, tanto che, ciò che ne resta, (per ironia del destino), sono prevalentemente sociopatici concentrati soltanto su sé stessi (e le loro pensioni). Come hanno potuto, da esempi di solidarietà, trasformarsi in individui schiavi delle frustrazioni?

I boomers dovevano riscattare gli orrori della prima metà del ventesimo secolo, (e in parte credevano di averlo fatto), ma si sono dovuti appellare alle stesse categorie ideologiche che si proponevano di smantellare.

Rammollimento o ansia da prestazione? Ai posteri l’ardua sentenza…

In giornate in cui la storia viene ripudiata, mi sento in dovere di riaffermare l’importanza della stessa per evitare di commettere nuovamente tutti quegli errori che nessuno vorrebbe veramente commettere di nuovo.

Per quanto detesti le generalizzazioni, è difficile non credere alla responsabilità di chi, oggettivamente, non può più vantare la flessibilità necessaria per abbracciare il cambiamento.

Naturalmente, “fare di tutte le erbe un fascio” è un errore, ecco perché chi può comprendere quanto siano diversi i giorni di oggi da quelli vissuti tra gli anni ’70 e ’80 dovrebbe mettere via le critiche ma sostenere piuttosto l’iniziativa delle nuove generazioni con impegno e attenzione (soprattutto quando si discute di investimenti).

Se i millenials saranno in grado o meno di ripartire questo non lo so ma fino a quando non riusciranno a svincolarsi dalla pressione e dai pregiudizi di molti boomers sarà difficile concretizzare qualcosa di nuovo…

In un mondo migliore, per concludere, chi ha fallito non proietta la propria frustrazione sul futuro ma riconoscendo i propri errori aiuta qualcun altro ad aggiungere della novità al quadro della vita.

Comments to: I fallimenti dei boomers

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