Piccoli consigli da “La finestra sul cortile”: trascinatevi lentamente dai vostri cantucci e guardate fuori dalla finestra di casa. Avessi un gesso fino all’inguine, mi limiterei a cercare le piccole coincidenze messe in mostra sulle vetrine delle case, con il sano istinto di chi ha l’occhio abituato a catturare il balzo della tigre sulla preda, o del dito sul grilletto. Ma io sono solo un povero diavolo: a me il gesso l’hanno messo fino alla fronte, e mi accontento di guardare e basta. Se poi capita la figlia della vicina tanto meglio, con buona pace di tutti.
Esco di casa subito dopo pranzo. L’aria è fastidiosa, c’è quel tipico tanfo d’asfalto bagnato che prorompe dal basso dopo una pioggia improvvisa e che non ha fatto altro che lasciare umidità e pozze d’acqua sotto il sole. Ma visti i tempi, ogni passeggiata assume un gusto nuovo e fresco, e anche infilarsi i guanti di plastica sulle mani ancora bagnate per la fretta è gesto di incontenibile piacere, come lo è l’accostarsi alla porta per il cane che brama di uscire per soddisfare i suoi bisogni. Mi godo il silenzio di tomba della strada e dei balconi, frutto più della santa liturgia della digestione piuttosto che di altro, e mi incammino verso la mia direzione finale, con la mente già al lavoro che mi aspetta appena di ritorno, alla fattura da pagare del meccanico e al rumore degli operai che stanno lavorando sul cancello zincato della facoltà. Camminando distrattamente vado più in fretta di quanto vorrei, ma non abbastanza veloce da lasciarmi sfuggire la rivelazione della giornata: un negozietto di cose varie, non so nemmeno io di quale genere specifico di chincaglieria, ma sulla vetrina mi piace pensare di aver scorto il segno forse del genio, forse della pigrizia di un vecchio proprietario e delle sue poche fantasie sulla comunicazione ai clienti. “Chiuso per motivi familiari”: mi sembrava fossimo chiusi per altro motivo, forse ho capito male io.
Più penso e più mi muovo, più mi muovo e più penso, e quello che un tempo era un salto immediato tra le braccia salde e composte di Morfeo, oggi è diventato un giro su una giostra che non mi concede il favore di fermarsi. Percepisco ogni singolo millimetro del mio corpo, e studio con rigore scientifico non il senso della mia insonnia, ma l’impronta delle mie membra su un materasso che non mi è mai sembrato così scomodo: penso a quella che era un’impercettibile deriva del suo fianco verso destra, e che ora mi sembra la cresta di un dirupo che desidera solo gettarmi di sotto, e penso a quella maledetta molla, al suo click metallico che scatta ogni volta che vi poggio il gomito, e maledico con tutto me stesso la propaganda dei grandi magazzini di prodotti casa, e la loro terra promessa fatta di prodotti a basso prezzo e qualità “oltre ogni ragionevole aspettativa”. Nella noia ripenso a Bukowski e alle sue autorevolissime considerazioni in merito alla rilevanza del materasso nella nostra vita di uomini, alla sua versatilità, alla centralità dei suoi servigi nell’esercizio dei nostri bisogni più importanti: leggere, mangiare, dormire, scopare. Ma leggere è diventato faticoso e noioso da quando non c’è più la possibilità di vantarsi in società dei propri interessi intellettuali, e il senso di appetito sta scemando da sano e vivo ad un puro esercizio di gusto. Dormire stanca, e gli umori dei giochi che umettavano i nostri letti sono solo un ricordo lontano in questi giorni di pudico isolamento. Presuntuosamente mi compiaccio dei miei pensieri e della bassa prosa che prende forma nella mia mente, ma ironia della sorte la giostra comincia a rallentare e il pensiero comincia ad affannare: scivolo lentamente nel sonno e mando al diavolo il girotondo sul quale mi sono intrattenuto fino a quel momento. Se domani mi ricorderò qualcosa bene, altrimenti chissenefrega.
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