o Quanto ci è mancato il cinema durante il lockdown

Quando è iniziato il lockdown, nel panico ho cominciato a elencare nella mia testa e a caratteri cubitali, la lista delle cose che mi sarebbero mancate di più. Sul podio, insieme al mio ragazzo e al 60 strapieno sulla Nomentana, ho messo il cinema. Ma attenzione, non il cinema inteso come la settima arte in generale, bensì la sala vera e propria, comprese le poltroncine, lo strappo dei biglietti all’entrata e l’odore di popcorn che inebria l’atmosfera.

Durante la quarantena i film non sono mancati, ovviamente. Anzi, è stata un’occasione unica per approfondire la conoscenza di registi, generi, attori mai considerati prima, per vedere nuovi film e rivedere per la millesima volta quelli del cuore, ma soprattutto per utilizzare piattaforme di ogni tipo nelle quali scoprire i titoli più disparati. Diciamolo: lo streaming ci ha salvato la vita (nel senso legale del termine, s’intende). Noi cinefili, ma anche gli amanti della musica e quelli dell’arte, abbiamo assecondato e tamponato le nostre crisi di astinenza grazie a Netflix, Chili, Spotify e via dicendo. Ma anche per i non amanti, chiamiamoli i tifosi occasionali delle arti o semplicemente chi si era stancato di guardare solo telegiornali drammatici, bollettini delle 18 e discorsi di Conte, la possibilità di usufruire di contenuti online si è dimostrata una miniera d’oro.

Come si è soliti dire, si capisce la misura dell’importanza di qualcosa quando non c’è più. Ed è proprio durante la quarantena che ho capito quanto io possa amare vedere i film in sala e quanto essa rappresenti il non plus ultra dell’esperienza cinematografica. Questa riflessione nasce dalla comunione tra le due anime che vivono dentro di me: la cinefila e la studentessa di economia. La prima guarda alla sala con gli occhi del cuore, perché vedere un film al cinema significa entrare in un tempio buio in cui si osservano immagini e suoni che, in un modo o nell’altro, sembrano sempre quelli giusti al momento giusto. Sono fermamente convinta del fatto che qualsiasi film, bello o brutto che sia, al cinema dia il meglio di sé. Inoltre, in sala si attiva quasi un sentimento di unione e comunità tra gli spettatori: siamo tutti seduti lì, vicini e uguali, chi stanco e chi appena sveglio, chi eccitatissimo e chi annoiato accompagnatore, chi cinefilo e chi tifoso occasionale. Tutti guardiamo e sentiamo le stesse cose, e non ci è richiesto di fare altro.

La studentessa di economia guarda, d’altro canto, ai meccanismi dell’industria cinematografica e, nello specifico, alla fase della distribuzione che è l’ultima della filiera e forse la più importante, quella nella quale le società prendono il film, qui prodotto finito, e lo consegnano nelle mani degli spettatori, qui consumatori. Le vie tramite le quali avviene questo passaggio sono molteplici e sono note come “sfruttamenti”: la sala è il mercato primario e gli altri, come le piattaforme on demand o di pay tv (Sky, ad esempio) e l’home video (DVD e Blu-Ray), sono i mercati secondari. Ora, l’importanza della sala risiede non solo nella sua unicità in termini di offerta (e faccio riferimento a tutti gli aspetti romantici sopracitati) ma anche nel suo ruolo di “trampolino di lancio”. Infatti, la performance che un film realizza in questo stadio della distribuzione determina in gran parte la sua sorte nei rimanenti sfruttamenti (se, dove e per quanto verrà reso disponibile sugli altri mercati di sbocco).

Detto ciò, non è mia intenzione denigrare le piattaforme on demand o l’home video (come ho detto in principio, lo streaming mi ha permesso di resistere in quarantena, così come la mia adoratissima collezione di DVD), anche perché rappresentano una grandissima risorsa per l’industria cinematografica e sono sicuramente più adeguati alle nostre odierne abitudini al consumo (hic et nunc, possibilità di stoppare e vedere dove si voglia, quando si voglia e come si voglia). Piuttosto credo che sia fondamentale evitare che il mercato cinematografico prenda la deriva spostandosi completamente sui mercati secondari, processo che inevitabilmente a causa del Covid ha visto un’accelerazione. Penso infatti che questo momento storico ci abbia insegnato l’importanza cruciale delle arti nella vita dell’uomo, come sfogo, oasi e rifugio, ma anche che la sopravvivenza delle sale cinematografiche, come anche dei teatri e delle sale concerti, sia una condizione necessaria per migliorare la qualità della vita nella nostra società e per le nostre comunità, che si riuniscono sicuramente meglio al fresco di un’arena estiva piuttosto che nell’individualismo atomistico delle proprie liste di Netflix.

Di Arianna Iacona. Studentessa di Economia e amante del cinema.

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