Questo Lunedì era una giornata particolarmente soleggiata e serena, così decisi di farmi una bella passeggiata. Prima di oltrepassare la porta di casa, una voce dentro di me mi disse di eliminare ogni tipo di distrazione in cui sarei potuto incappare e di concentrarmi solo su me stesso. Per questo motivo decisi di lasciare cellulare e cuffie a casa e partire munito solamente di mascherina e tanta voglia di camminare. Iniziai a camminare pensando ai tanti problemi che affliggono me e la mia vita. Arrivai ad una chiesa non troppo distante dalla mia dimora e, a quel punto, mi considerai soddisfatto. Potevo tornare a casa vittorioso poiché avevo preso un po’ d’aria fresca e avevo allenato le gambe. Avevo, inoltre, da fare molti compiti per il giorno successivo e, quindi, decisi di non perdere altro tempo e tornare a casa. Sulla via del ritorno, però, cambiai idea. Invertii la rotta e iniziai ad andare verso l’alto. Camminai in salita per un bel po’, ma non ero stanco: le mie gambe sembravano volare. Era come se una forza incontrastabile, ma allo stesso tempo dolce e delicata, mi spingesse. Iniziai a guardarmi intorno e notai come la luce del sole, sbattendo sulle chiome degli alberi, creava contrasti di luci e colori incantevoli. Volsi il mio sguardo verso l’alto e notai che in cielo non vi era nemmeno una singola nuvola, l’intera volta celeste pareva come un’immensa coperta che una madre pone dolcemente sul figlio prima di dormire. Continuavo a salire e, non avendo cuffie per sentire della musica, iniziai a fare caso ai tantissimi suoni che mi circondavano. Prima sentii il dolce fruscio degli alberi, successivamente l’intonato canto di tantissime specie diverse di volatili, il rumore del vento che faceva cigolare gli arrugginiti cancelli delle poche case presenti in quella zona e il clacson delle ormai distanti macchine. A un certo punto mi accorsi che la strada cominciava a scendere. Prima di imboccare quella via, mi voltai e notai che, senza accorgermene, ero arrivato in uno dei punti più alti dell’intera città. Si vedeva tutta Pescara. Riuscivo a scorgere la grande ruota panoramica, le linee arrotondate, ma allo stesso spigolose, del ponte del mare, i campanili che, nonostante le chiese vuote, suonavano ancora meravigliose melodie e lo spaventoso, affascinante, immenso orizzonte del mare. Volevo rimanere per sempre lì: in quel silenzio e nella contemplazione dell’orizzonte stavo iniziando ad ascoltare la calda e sottile voce del mio cuore. Mi accorsi che per tutto quel tempo ero stato un prigioniero, la routine di tutti i giorni aveva sottratto la mia libertà. Distogliendo momentaneamente lo sguardo da quell’orizzonte che pareva ipnotizzarmi, iniziai a ripensare agli impegni che avevo per il giorno successivo e venni pervaso dalla preoccupazione. Se prima mi sembrava di avere le ali, ora pareva che le mie ali, fatte di piume e cera, si fossero sfaldate poiché mi ero avvicinato troppo al sole. Intrapresi la strada che conduceva a casa a malincuore, mi sentivo soffocare. Percorrendo pesanti passi per aderire bene alla scivolosa discesa, mi ricordai di quando nel Vangelo avviene il fenomeno della trasfigurazione. Gesù scelse di prendere con sé alcuni discepoli per salire sul Monte Tabor a pregare. Qui loro sperimentano la bellezza del paradiso e, a quel punto, San Pietro desidera di restare per sempre in quel luogo. Giustamente, perché mai avrebbe dovuto scendere per tornare alle fatiche e ai dolori, mentre lassù era pieno di sentimenti di santo amore verso Dio? La mia esperienza non fu tanto diversa da quella di San Pietro da un certo punto di vista. Nei Vangeli, purtroppo, non è raccontato il fatto di come Pietro riuscì ad accettare la dura realtà. Mentre scendevo, però, trovai la risposta: il mio posto non era lì, ma a casa, a scuola e nella mia quotidianità. Dobbiamo accontentarci di ciò che abbiamo e ciò che facciamo, vivendo la nostra quotidianità con straordinarietà.
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