I pochi sfortunati ai quali la sorte ha attribuito il gravoso onere di sopportarmi sanno bene perché consideri importante lo studio della storia della civiltà romana.
Non ripeterò in questa sede le ragioni per cui non solo ho deciso di studiare, appunto, la storia di quella che a ben donde considero la città più bella del mondo né ripeterò, di conseguenza, le ragioni per cui nel tempo libero ho scritto due romanzi dedicati alle origini dell’Urbe e alla storia del suo leggendario fondatore, Romolo.
In questa sede, infatti, alla luce delle opportune precisazioni poc’anzi riferite mi limiterò a raccontare una particolare simpatia che spesso mi è capitata di osservare nel corso delle presentazioni dei miei romanzi, ossia una particolare simpatia nei confronti dei Galli, dei Celti e dei Barbari in generale.
La ragione per la quale, ammetto, sono stato spesso sorpreso dalla simpatia diffusa nei confronti dei popoli che abitavano il nord Europa ai tempi degli antichi Romani non ha nulla a che vedere con il fatto che io, in quanto studioso della storia romana, mi ritrovi a simpatizzare per un popolo piuttosto che per un altro, anzi: la ragione per la quale mi sono sorpreso nell’osservare un’insolita simpatia quasi “new age” è dipesa proprio dal fatto che a mio modesto parere simpatizzare con serietà per un popolo estinto a discapito di un altro popolo è sciocco.
In linea di principio, l’affetto che ho notato crescere nei confronti dei Galli o, quantomeno, di tutti i Barbari si può in parte osservare nella serie televisiva di Netflix “Barbarian” ma, la serie in questione, (pur essendo stata immaginata dal punto di vista delle tribù che sconfissero Varo a Teutoburgo) può in ogni caso essere interpretata come un’interessante ricostruzione; ciò che, al contrario, trovo invece buffo e, di conseguenza eccessivo, è l’idea per cui, al termine delle mie presentazioni, ci sia sempre qualcuno che superi la visione di “Barbarian” e approdi sul terreno dello scontro tra “popoli buoni” e “conquistatori”.
In un’ottica quindi moderna e, purtroppo, non tanto diversa dalla cultura woke, i Romani sono quindi i “cattivi”, i seminatori di discordie e i Barbari i popoli pacifici che vivevano in armonia con la natura e che hanno subìto le peggiori conseguenze di un’invasione.
Naturalmente, la semplificazione appena spiegata è assurda e non già perché i Romani, si badi bene, non fossero dei conquistatori ma perché la storia non può mai ridursi ad un racconto fiabesco.
Il processo di espansione dello Stato romano è un processo lungo ed estremamente complesso che incontra lungo il suo percorso di rado popolazioni inoffensive e con le quali Roma non aveva avuto occasione di entrare in conflitto.
Non a caso, per decenni si è scritto a proposito del “complesso dell’Allia” proprio in riferimento a quella strategia probabilmente mai in verità teorizzata (ma, di fatto, comunque praticata) in base alla quale dopo il sacco di Roma da parte del re dei Galli Sènoni Brenno nel 390 a.C. si fosse reso necessario allontanare sempre di più i confini dello Stato dal perimetro urbano della città di Roma, appunto.
Dunque, la banalizzazione del racconto storico per cui esistesse un popolo “aggressivo” da un lato e un popolo “pacifico” dall’altro è contraria ai princìpi tecnici con i quali si affronta lo studio della storia e si tenta di comprendere il presente.
Il grossolano errore nel quale spesso si scade ogni volta che si pretende di giudicare un’epoca passata con i criteri morali del nostro presente è un errore ispirato da una visione etica dei fatti, visione che, inutile ripeterlo, non solo non giova a capire ciò che è stato ma neppure giova a capire ciò che è.
Non a caso, mi sia in conclusione consentito ora il paragone, la convinzione per cui tutto si possa ridurre in maniera semplicistica ad uno scontro tribale è la stessa che ispira il nostro dibattito pubblico e ciò è vero quando si discute di vaccini, conflitti e, ahimè, cronaca nera: il recente omicidio di Giulia Tramontano, in effetti, è stato ampiamente affrontato non tanto come un caso di omicidio ma come il risultato di uno scontro tra maschi e femmine, dove i maschi sono quasi tutti fanatici del patriarcato e le donne sono tutte libere di fare quello che vogliono.
Osservare come negli ultimi due anni si sia ripetuto in maniera ossessiva di avere “fiducia negli esperti” (che “esperti”, alla fine, non erano) invita a pensare perché quando si osserva poi la necessità di chiamare in causa degli esperti di storia, relazioni internazionali e, perché no, diritto, si fa un passo indietro e si consente al “più o meno di esprimersi”.
La triste contraddizione per cui sono esperti solo i virologi che comunicano una determinata opinione confligge con lo spirito democratico delle nostre Istituzioni e con il buon senso ma tant’è, l’amore per i barbari e per un’idilliaca visione che ci vuole scalzi e poveri non è infine molto diversa da quell’idea lanciata a Davos che pretende di vederci “felici e senza niente” …
In conclusione, non definirò dunque “barbarico” il modo di pensare che un certo potere usa per condizionare i cittadini del presente (soprattutto perché, in realtà, i primi a dividere per comandare furono i romani); nonostante tutto, però, inviterò anche in questa sede i pochi che il Fato mi ha permesso di incontrare a non cedere volentieri al fascino di pensare che la storia sia un semplice “racconto della buonanotte” o un racconto dove per colpa dei romani “cattivi” si sia spezzato il rapporto tra uomo e natura (sebbene la natura si contraddica, non a caso, anche quando si fa riferimento al fatto che esistano più di due generi).
La storia, purtroppo o per fortuna, è appunto qualcosa di più e tutte le volte in cui in maniera grossolana qualcuno proverà dunque, ad esempio, a strumentalizzare l’omicidio di una ragazza per convincere di una cosa che magari non esiste, spero ci si ricorderà di non vivere in una realtà facile e priva di riferimenti: quelle che, in un certo senso potremmo definire “contraddizioni barbariche” non sono, a proposito, casuali ma sono trappole ben congeniate dalle quale uscire è purtroppo difficile.
Non so se ci sia o meno dolo nel tentativo fin qui descritto di sminuire il senso dell’analisi in relazione al contesto (non solo storico) ma so per certo che non capire la storia e incaponirsi, perciò, su presupposti ideologici non solo impedirà il corretto perseguimento della pace su fronti più ampi ma impedirà altresì di capire il senso della violenza in sé che riguarda tutti i generi in maniera tristemente equa e, appunto, paritaria.
Classe 1994, lettore vorace dall’età di sei anni e autore dei romanzi “L’alba di sangue” e “Il regno di Romolo”.
Di me hanno detto che sono un “egocentrico” ma non ho ancora capito perché.
Credo di avere tuttavia molto in comune con i liberali di una volta e di essere un insaziabile ricercatore di novità.
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