Sebbene gli esseri umani attribuiscano ai numeri un potere da sempre e sebbene questo abbia determinato non poche decisioni e non altrettanto poche forme d’arte, nessuna evidenza ci consente di ammirare, attualmente, una qualche forma di significato tra i dettagli delle coincidenze proposte appunto dai numeri.
Se esista quindi la possibilità di capire perché il quinto giorno del mese di maggio sia spesso un giorno così ricco di significati, forse, non lo sapremo mai ma da questo momento in avanti, gli appassionati di letteratura e cinema si uniranno agli appassionati di storia per ricordare il cinque maggio come un giorno luttuoso.
Nella giornata di domenica 5 maggio è infatti scomparso l’attore Bernard Hill, noto per aver interpretato il capitano del Titanic nel film “Titanic” di James Cameron e il Re Thèoden negli ultimi due film della trilogia de “Il signore degli anelli”.
Vero, apparentemente non ha alcun senso pensare possa esistere un comune denominatore capace di spiegare Napoleone Bonaparte e Bernard Hill dal momento che il primo è stato un uomo la cui storia non può essere facilmente riassunta e il secondo un attore ma se consideriamo il fatto che spesso e volentieri chi ama la storia ama l’arte non è difficile intuire quanto sia spontaneo da parte sua affannarsi a cercare i grandi sentimenti che agitano l’animo umano sia tra le dinamiche della storia che tra le dinamiche di un libro o di un film, appunto.
In altre parole, chi ama la storia sa bene che la letteratura e il cinema possono spiegare non bene ma di più quelle emozioni tipiche degli esseri umani che sì, Napoleone Bonaparte seppe senz’altro interpretare ma che lo stesso Bernard Hill non disprezzò e che rappresentò egregiamente interpretando ruoli divenuti iconici.
Nello specifico, l’interpretazione del ruolo del Re Thèoden di Rohan è un ruolo che difficilmente sarà dimenticato e le ragioni sono presto spiegate.
Bernard Hill ha inevitabilmente associato alla sua immagine il ruolo del signore dei cavalli, ossia dell’ultimo re di Rohan perché non solo ha semplicemente dimostrato a suo tempo il suo talento ma rappresentato in forza della sua esperienza un eroe non diverso da un eroe omerico.
Nella prima parte del romanzo “Le due Torri”, quando cioè il Re Thèoden fa la sua prima apparizione, il tema dello sguardo è centrale: possiamo in effetti percepire un brivido al pensiero che l’occhio di Sauron ci osservi, possiamo guardarci dagli occhi “scuri e gravi” di Saruman che precedono il suo alleato, possiamo ammirare gli occhi stupiti di Aragorn, gli occhi belli di Eowyn il cui sguardo “serio e pensoso” illumina e poi, infine, possiamo osservare gli occhi di Re Thèoden, occhi che dopo aver vagato nell’oscurità incontrano finalmente la luce.
Qui non ricorderemo come e perché riesca a liberarsi del giogo di Grima Vermilinguo, il consigliere che ha avvelenato a lungo la sua mente né di come il suo tornare verso il suo regno sia un tornare simbolico verso sé stesso bensì qui ricorderemo come il suo sguardo purificato torni ad essere un motivo di speranza.
Re Thèoden non si salva infatti da solo, è qualcun altro che caccia le tenebre dai suoi occhi ma Re Thèoden sa comunque rispondere e dopo aver contemplato per alcuni momenti il paesaggio che circonda il suo palazzo, accetta di cominciare una nuova fase nella sua vita, una fase che appunto non rifiuta nonostante la scomparsa prematura del figlio e le drammatiche condizioni nelle quali versa il suo regno.
Nonostante Re Thèoden si ritrovi ad aprire gli occhi in un mondo stravolto (“il mondo cambia, e tutto ciò che un tempo era forte ora si rivela incerto”, osserva), egli tornerà comunque a cingere la spada, a difendere il suo popolo con dignità e coraggio nella battaglia del fosso di Helm ma soprattutto, tornerà a fidarsi, di Gandalf che lo ha liberato e degli altri uomini e ad accogliere quindi con coraggio la richiesta di aiuto del regno di Gondor.
Ed è proprio a Gondor che Re Thèoden cadrà infine da eroe, (non a caso), rendendo omaggio alla sua storia, alla storia del suo popolo ma prima di ogni cosa ad un principio che J.R.R.Tolkien seppe non trascurare e che Bernard Hill a sua volta seppe ben interpretare grazie alla direzione del regista Peter Jackson: quando l’uomo accetta la paura di morire tutto scompare.
Nei momenti che precedono effettivamente lo scontro con le armate del nemico, (le apparentemente invincibili armate di Mordor), Re Théoden ha cavalcato per giorni interi al fianco dei suoi uomini, ha paura e sa che quella potrebbe essere l’ultima grande battaglia della sua vita ma lui non arretra, incoraggia i propri cavalieri con crescente convinzione e quando finalmente caricano le linee degli orchi la luce sorge, la paura scompare e gli orchi che fino a quel momento avevano potuto vincere grazie al terrore che seminavano, quando vedono gli uomini accettare e affrontare finalmente quella stessa paura che avevano usato contro di loro, arretrano.
La valenza simbolica che viene descritta nei momenti in cui i cavalieri di Rohan sopraggiungono a Minas Tirith nei momenti in cui si consuma insomma l’assedio è, in conclusione, una valenza che trascende la letteratura e forse, come il potere di un numero, si vive ma non spiega.
Resta il fatto che le parole di J.R.R. Tolkien così come la scena nella quale Bernard Hill ha conquistato l’immortalità non possono che permetterci di salutare con serena rassegnazione e coraggio non lo un attore o chiunque ci dica addio in questa vita ma ogni sentimento triste che può apparirci insormontabile.
Dunque, “Levatevi, levatevi Cavalieri di Thèoden! Aspre imprese vi attendono: fuoco e massacro! La lancia sarà scossa, lo scudo frantumato, un giorno di spada, un giorno di sangue, prima che il sole sorga! Cavalcate, cavalcate ora! Cavalcate verso Gondor!”
Classe 1994, lettore vorace dall’età di sei anni e autore dei romanzi “L’alba di sangue” e “Il regno di Romolo”.
Di me hanno detto che sono un “egocentrico” ma non ho ancora capito perché.
Credo di avere tuttavia molto in comune con i liberali di una volta e di essere un insaziabile ricercatore di novità.
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