Da qualche tempo ci è nuovamente concesso di andare al cinema, ed è forse uno dei segni più tangibili del fatto che si sta lentamente tornando alla vita.

La sala cinematografica è quel luogo in cui è ancora possibile fare un sogno collettivo: per due ore scarse siamo uniti a degli sconosciuti dal filo sottile dell’immaginazione attraverso una storia, dei personaggi e dei luoghi che attraversiamo insieme. Per questo la chiusura dei cinema a mio avviso ha portato più di altre misure un inaridimento della vita quotidiana, una chiusura spirituale oltre che fisica e mentale. Cos’è un uomo se non si sente parte di un comune sentire sociale, se non sogna? E quello schermo illuminato nel buio, di una sala o di una notte estiva stellata, combina questi elementi con una tale eleganza che necessariamente dovrà giocare un ruolo fondamentale nella ricostruzione delle nostre vite, delle nostre prospettive, dei nostri sogni.

Nella frenetica danza dei colori, dei DPCM e delle paure sembra però che la riapertura dei cinema sia passata un po’ in sordina. D’altra parte, siamo troppo impegnati a ripassare la tabellina del 4 per non farci trovare impreparati al ristorante, a cercare cavilli per aggirare il green pass, a sviluppare una nuova forma di allergia al polline (O alle mascherine?). Nel dubbio prendete un antistaminico Pfizer e abbandonatevi a un sonno senza sogni, all’oblio.

Uno dei film che sono riuscito a godere al cinema in questo periodo, e che consiglio a chiunque abbia la ventura di leggere questo articolo, è “Il cattivo poeta”. Protagonista è D’Annunzio, nell’autunno della vita, e la storia ruota intorno al suo rapporto con Mussolini, il regime e la mitologia fascista. Lo spettatore però è portato fin dall’inizio a immedesimarsi in un altro personaggio, Giovanni Comini, Federale di Brescia incaricato da Achille Starace di sorvegliare il Vate al Vittoriale.

Sì, D’Annunzio era tenuto sotto osservazione e in una sorta di esilio dorato sul lago di Garda. Un dettaglio spesso ignorato nell’equazione liceale che lo riduce a esteta, donnaiolo, organizzatore di operazioni militari rocambolesche, patriota, fascista. E l’etichetta di fascista in Italia è un’onta difficilissima da lavare, specialmente nel mondo della cultura.

Una critica che si può muovere a questo film è che, avendo a disposizione un personaggio dalla vita tanto varia ed entusiasmante, Gianluca Jodice (regista e sceneggiatore) è andato a raccontare la parte più buia e decadente della vita di D’Annunzio. Ma io mi chiedo, se avesse raccontato la dissolutezza giovanile, o le gesta militari al limite dell’incredibile o la leggendaria impresa di fiume non ne sarebbe forse uscito uno stereotipo stantio e inavvicinabile? Ne Il cattivo poeta invece traspare l’uomo, la sua sensibilità ferita che ormai non ha più bisogno di nascondersi e la consapevolezza storica, politica, sociale.

Arrivati ai titoli di coda non rimane alcun dubbio nello spettatore sul colossale equivoco del “fascismo” di D’Annunzio, anzi il regime è più volte schernito per la miopia del Capo e dei suoi gerarchi. Ed è forse questo lo scopo del film (o almeno ne è il risultato), la riscoperta del D’Annunzio poeta e patriota; ma soprattutto lo “sganciamento” dal fascismo e la rettifica storica.

Spero rimanga a chi voglia accogliere il mio consiglio, al termine della visione di questo ottimo film, come è rimasta a me, una lieve malinconia per la perdita di un grande poeta e una rinnovata curiosità per la generazione che D’Annunzio rappresentava, per quello spirito e per le sue opere letterarie. E poi chissà, magari adesso si è creato lo spazio e l’interesse del pubblico per un altro film che abbia a protagonista il nostro Gabriele nella veste che gli è più adatta: quella dell’esteta o del Comandante istrionico e donnaiolo.

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