Alle prime luci dell’alba, Roma si risvegliò cautamente, come se fosse stata spaventata da qualcosa.

Un gabbiano cantò poco lontano dalla finestra di Francesco Rossi e una sirena gli rispose immediatamente:

“Libera…” Sussurrò all’improvviso ridestandosi.

Toccò il guanciale dove di solito posava il capo la compagna ma non trovò nessuno.

Rattristato e ancora intorpidito richiuse gli occhi e riprovò a dormire.

Il campanello suonò la prima volta senza convinzione, poi una seconda volta e infine una terza.

I passi assonnati di Mario riecheggiarono nel corridoio, seguirono i rumori delle chiavi e infine la voce di Libera:

“Mario!”

“Ciao Libera!”

“Francesco?”

“Credo stia ancora dormendo…”

I passi delicati della ragazza si avvicinarono alla porta:

“Francesco?” Domandò dolcemente la ragazza aprendo cautamente la porta.

“Francesco?”

Francesco aprì cautamente gli occhi e si voltò verso la compagna che lo fissava preoccupata:

“Cosa fai?” Gli domandò con una punta di preoccupazione nella voce.

“Dormo.”

“Lo vedo!” Insistette sedendosi sul letto, “Ti senti bene?”

“Si…”

Libera tese la mano verso il ragazzo per toccargli la fronte:

“Vuoi che ti prepari un caffè?”

“No, lasciami solo.”

Libera si irrigidì:

“Francesco cos’è successo?”

“Niente.” Le mentì sbuffando.

A quel punto Libera si alzò e con fare deciso aprì le tapparelle:

“Alzati allora…”

“No…”

“Francesco, non sono tua madre: guardami.”

La perentorietà della voce di Libera fece trasalire lo studente che ebbe un brivido:

“Ho bevuto…”

“Lo immaginavo…”

“Scusami…”

“E di cosa? Dai non fare il bambino: alzati e fatti una doccia, io preparo un bel caffè ok?”

Francesco si mise a sedere a fatica e guardò Libera osservarlo con ansia:

“Scusami…”

“Ma di cosa?” Gli domandò sorridendo, “Dai, alzati!”

Gli si sedette vicino e gli cinse le spalle con il braccio destro:

“Immagino ne avessi bisogno con tutto quello che studiamo…magari questa sera me la prendo anche io una bella sbronza!”

Francesco sorrise e le accarezzò una mano:

“Ora fatti una doccia…vedrai che starai meglio…”

Aprì l’acqua calda della doccia con noncuranza. Si sfilò il pigiama e rimase a guardare la propria nudità nello specchio poco sopra il lavandino, a sinistra dell’ingresso.

Si toccò il petto, quindi il viso giallastro e intorpidito e il secondo pensiero della giornata fu dedicato a Fulvia, ai suoi capelli rossi e a quel fascino imperscrutabile che non poteva ignorare…

Cosa sarebbe successo nelle prossime ore? Come sarebbe cambiata la sua vita?

Naturalmente, goccia dopo goccia, si sentì in colpa e non solo nei confronti di Libera ma anche e soprattutto nei confronti di Fulvia: magari suo zio avrebbe davvero potuto dargli un lavoro un domani ma adesso? Cosa avrebbero pensato di lui?

Entrò in doccia strisciando e senza forze e tutt’a un tratto ebbe un brivido di paura: se Libera avesse letto la chat con Fulvia? Non aveva mai osato sbirciare il suo telefono, è vero…ma se fosse arrivato all’improvviso un messaggio?

Doveva sbrigarsi.

Iniziò quindi a detergersi il capo e chiuse gli occhi.

L’oscurità lo rapì subito e oltre il ticchettio dell’acqua riecheggiò il ricordo della sera prima, il bacio tra Fulvia e Federico sotto la luce di un lampione…

“Aspetta…” Sussurrò a sé stesso riemergendo, “Quando sarebbe accaduto questo fatto?” Si domandò con spontaneità.

Richiuse nuovamente gli occhi ma i ricordi si intrecciarono alla fantasia e quasi senza rendersene minimamente conto si convinse dell’ovvio: aveva bevuto qualcosa di disgustoso.

Si dice che il sonno dovrebbe drenare ed espellere le proteine tossiche prodotte dal cervello nella fase di veglia e “ricucire”, diciamo così, le connessioni spezzate nell’arco della giornata…

Ma riga dopo riga, concetto dopo concetto, Francesco dovette ricredersi anche su una verità scientifica ormai assodata…

Rileggendo i suoi appunti di marketing insieme a Libera si rese infatti conto di avere qualcosa di rotto dentro, qualcosa che il sonno non aveva minimante rimesso a posto:

“Preferisci che ci fermiamo?” Gli domandò la ragazza dopo l’ennesimo sospiro.

Francesco squadrò la compagna in cerca di una soluzione che non trovò:

“Sto bene…”

“Francesco…”

“Sto bene, maledizione!”

“Perché ti agiti?” Domandò docilmente Libera visibilmente colpita, “Ti prego, ascoltami: mettiti a letto, non succede niente…siamo già abbastanza avanti con il lavoro e abbiamo ancora due settimane…”

Francesco iniziò a tremare di freddo: qualcosa rapì le sue mani, le sue braccia e si sentì travolto da un’innaturale moto di angoscia:

“Basta così.” Dichiarò alzandosi e coricandosi, “Perdonami…”

Libera rimase in silenzio, al suo posto, e non potendo spingersi oltre prese pazientemente le sue cose e si diresse a studiare in un angolo oscuro della cucina.

Prima di coricarsi, Francesco ebbe la forza per fare una cosa sola: scrivere a Fulvia.

Si rannicchiò su un fianco e con un ultimo, inspiegabile, afflato di entusiasmo aprì la chat che aveva turbato la sua fragile esistenza:

“Perdonami. Non so cosa mi sia accaduto. Spero di non aver offeso tuo zio. Sentiamoci appena vuoi.” 

Le dita della ragazza si aprirono, seguirono il movimento di un’aria misteriosa e potente come se avessero sempre saputo cosa fosse necessario fare…quindi si strinsero con rabbia e dal confine fumoso del suo campo visivo emerse un gatto bellissimo che non appena si sentì protagonista dell’atto si alzò su due zampe:

“Francesco!” Gridò muovendo le labbra e mostrando i canini, “C’è ancora tempo!”

Fulvia si abbandonò ad una fragorosa risata e battette le mani:

“Non è bellissimo?”

Francesco si guardò e percependo di essere eccitato lasciò che Fulvia lo curasse delicatamente:

“Non avere vergogna del gatto, non abbiamo più quindici anni!”

Gli afferrò le mani, successivamente il cavallo del pantalone e lasciò correre le falangi più estreme lungo la linea del suo piacere:

“Non avere vergogna del gatto, non abbiamo più quindici anni!” Ripeté affrettando i movimenti.

Tutto crebbe di intensità senza preavviso e avvertimento: i contorni della visione si fecero più nitidi ma un momento prima di dare inizio ad un tradimento sempre più vicino, il fumo da cui tutto aveva avuto inizio si diradò.

Sognare spesso qualcosa che turba non è strano. Ciò che apparve però immediatamente strano a Francesco non appena riaprì gli occhi fu vedere Libera esattamente dove aveva visto Fulvia pochi momenti prima:

“Come ti senti?” Gli domandò con tranquillità.

Francesco si mise a sedere:

“Meglio, grazie…”

Si toccò la guancia e cercò gli occhi di Libera:

“Davvero.” Aggiunse con convinzione.

Libera gli sorrise con sincera premura:

“Sono le quattro. Vuoi studiare o preferisci uscire?”

Francesco tentò di ripensare a ciò che aveva sognato, alla frequenza con cui recentemente aveva iniziato a pensare a Fulvia ma Libera lo anticipò e donandogli un nuovo, autentico, sorriso, gli ricordò qualcosa che forse non avrebbe dovuto abbandonare:

“Abbracciami.”

Senza domandare nulla la ragazza gli si avvicinò e lo strinse a sé:

“Ti amo Libera.”

“Anche io Francesco, lo sai…”

Si guardarono negli occhi senza pretese o trucchi: perché essere stupidi?

Un rigurgito di lucidità e ragionevolezza risalì verso la coscienza di Francesco che rivedendo Fulvia si sentì in colpa per Libera:

“Non voglio né uscire né studiare…”

Le toccò il seno, subito dopo il collo e lasciò che Libera si abbandonasse a quel gesto insolito per lui:

“Non voglio né uscire né studiare…” Ripeté afferrandola con un impeto nuovo.

“Non stringermi però…”

Con pochi, affrettati e confusi gesti, Francesco abbassò i pantaloni della tuta della compagna e subito dopo gli slip:

“Francesco?”

Per arrivare ad un amore quasi selvaggio, doveva essere accaduto qualcosa di inconfessabile e sporco, qualcosa che, presto o tardi, accade sempre e Libera, che aveva già imparato da tempo ad essere “agnello in mezzo ai lupi”, afferrò le dita del compagno prima che potessero andare oltre:

“Cosa c’è, amore?”

Libera lo guardò con turbamento e sorpresa, chiuse le gambe e si mise a sedere:

“Dimmi la verità: cos’è successo ieri sera?”

Il ragazzo ridacchiò e si passò una mano tra i capelli:

“Niente, ho bevuto solo un po’…”

“Dove?”

“Qui a casa…” Mentì prontamente.

“Ed eri solo?”

“Sì.”

Libera incrociò le braccia sul petto e nonostante la parziale nudità mantenne un aspetto deciso e risoluto:

“E dove sarebbero le bottiglie?”

“Libera?”

“Francesco pensi che io sia un’idiota?”

“No ma non capisco…”

“Non capisci? Francesco, scusami ma sarò diretta: non hai bisogno di scoparmi come non hai mai fatto per nascondermi qualcosa…ti ricordi cosa ti dissi quando abbiamo iniziato a vederci? Io non sono una ragazza come le altre…”

Un conflitto necessario, forse inevitabile tra due diverse ragioni si preparò e innescò una reazione fisica prevedibile:

“Mi hai tradito?” Gli chiese freddamente.

Francesco sospirò: “No.”

“Francesco…” Lo interruppe bruscamente Libera, “Qui è successo qualcosa e ne dobbiamo parlarne…”

Il ragazzo sbuffò, si sentì ferito, rifiutato e preso in giro:

“Vorrei riposare…”

“Ancora?”

“Si! Ancora!” Mormorò irritato.

Libera scivolò giù dal letto, recuperò le sue cose e si rivestì frettolosamente:

“Allora prenditi il tempo che ti serve…”

“Io non capisco Libera…” Sbottò Francesco prima che imboccasse la strada della porta, “Cosa c’è che non va?”

La ragazza si immobilizzò:

“Forse mi sbaglio, Francesco, ma il ragazzo che ho visto prima non era il ragazzo che ho conosciuto e si, devo ammetterlo: mi ha spaventato…”

Recuperò con queste ultime parole i suoi dubbi, forse i suoi eccessi e tutte le sue paure, indossò la giacca che aveva lasciato in soggiorno e scomparì nel pomeriggio.

Un uomo confuso, ferito e rifiutato dalla propria compagna senza un confronto sufficientemente esaustivo, si sente svuotato di qualcosa e nonostante tutte le buone intenzioni è destinato a fare sempre la scelta peggiore: cercare una spalla femminile dove piangere.

Francesco Rossi, naturalmente, non fu da meno.

Dopo aver preso a calci il comò e gettato all’aria i suoi appunti fece appunto quello che qualsiasi copione avrebbe anticipato: scrisse nuovamente a Fulvia, la quale non aveva ancora risposto ai suoi precedenti messaggi:

“Ti devo parlare urgentemente. Rispondimi appena puoi, grazie.”

Il pomeriggio si ingrigì presto, divenne sera e la sera solitudine cupa e opprimente.

In men che non si dica, infatti, le tenebre tornarono a strisciare tra i confusi spazi di Francesco che non ricevendo nessuna risposta né da Fulvia né da Libera si gettò a letto prima del previsto nel tentativo di anestetizzare una sofferenza che non avrebbe potuto gestire fingendo di fare altre cose.

Il tempo passò lentamente, come una carovana nel deserto che non sa dove andare di preciso e dopo quasi due giorni di oblio e osservazioni del nulla, dopo quasi due giorni di silenzio e di esilio forzato, il telefono di Francesco Rossi riprese vita:

“Ciao! Spero che tu ti sia ripreso…scusami se non mi sono fatta più viva ma sono stata poco bene anche io…”      

Tutt’a un tratto Francesco riprese coraggio: si rialzò dal suo letto ingombro di avanzi e piatti sporchi e senza esitare un solo momento rispose a Fulvia:

“Non ti preoccupare! Io sto meglio, grazie e tu?”

La mente di Francesco roteò. Pensò a Libera, al suo comportamento, al suo rifiuto soggettivamente inspiegabile e il desiderio tornò a crescere…

“Anche io sto meglio, grazie Francesco…hai impegni questa sera?” 

“No. Sono free. Che si fa?”

 Un suono impercettibile invitò Francesco ad attendere…

“Vieni da me, mangiamo qualcosa e facciamo due chiacchiere…”

“A casa tua?”

“Si: Via di Panico 59, presente?”

“Si, per che ora posso raggiungerti?”

“21?”

“21.”

Guardò l’orologio: erano le sei del pomeriggio. Avrebbe avuto tutto il tempo del mondo ma forse non gli sarebbe comunque bastato…

Superò precipitosamente Piazza di Ponte Sant’Angelo e alzò la testa nell’oscurità per assicurarsi di essere sulla strada giusta.

Affrettò il passo e accarezzò il marciapiede deserto con imprudenza; quindi, iniziò quasi a correre verso l’indirizzo indicatogli:

“Francesco!”

Dietro un angolo apparve un’ombra dai capelli lunghi:

“Sei puntualissimo!”

La ragazza avanzò verso di lui e un fascio di luce proveniente da un lampione confermò le sue impressioni:

“Ciao Fulvia!”

La ragazza si tese verso di lui e gli baciò la guancia destra:

“Stavo giusto tornando a casa…”

Francesco le sorrise distrattamente e prima ancora di poter formulare un pensiero o una domanda ricambiò il suo bacio, ma sulle labbra:

“Promettimi che non scapperai più…”

Fulvia rimase ferma a guardarlo:

“Scusami, ho rovinato tutto un’altra volta, vero?”

Gli occhi della ragazza brillarono ma non si espressero, il viso si addolcì stranamente poi, senza   chiedere nulla, Fulvia si erse sulle punte e ricambiò il bacio del ragazzo senza esitazioni, senza limiti.

La luce al neon di una debolissima lampadina illuminò un soggiorno piccolo e discreto.

Di fronte ad un modesto divano di stoffa color rosso granata, una scacchiera e un minuscolo televisore.

“Vivi da sola?” Domandò Francesco guardandosi intorno.

“Vivo qui da meno di un mese…” Gli rispose afferrando le guance del ragazzo e baciandolo.

Le stampe alle pareti che raffiguravano due quadri di Salvador Dalì divennero immediatamente secondarie: la porta si richiuse con un tonfo e precipitarono sul divano dove ebbe inizio il naufragio di ogni ragionevolezza.

Francesco prese fiato, riemerse e guardò Fulvia: il suo viso pallido e incantevole, il rossetto leggermente sbavato…

“Sei bellissima…”

Le slacciò la camicetta e ammirò il suo seno, ancora vittima dei limiti di un reggiseno di pizzo nero:

“Sei bellissima…” Le ripeté dolcemente.

La ragazza alzò il capo e posò le mani sul petto di Francesco; quindi, si sedette a cavalcioni su di lui:

“Non abbiamo tempo…”

Francesco non le diede ascolto e affondò il naso nell’incontro tra i seni:

“Non abbiamo tempo…” Insistette Fulvia alzando la voce.

“Abbiamo tutto il tempo del mondo, Fulvia: io voglio stare con te. Ho deciso.”

La ragazza tornò ad osservarlo:

“Tu non sai cosa dici…”

“E invece si!”

Si guardarono negli occhi ma dalle iridi di Fulvia una luce complicata e inspiegabile tentò di illuminare un pensiero:

“Tu non sai cosa dici…”

Avvenne tutto con inspiegabile fretta e Francesco non se ne rese neppure conto: in men che non si dica si ritrovarono perciò semi nudi, vicini, a fare l’amore senza dolcezza ma con rabbia e inespresso desiderio.

“Io voglio stare con te…” Tentò di sussurrare poco prima di terminare l’atto ma qualcosa gli uccise le parole ancora prima di nascere e quando tutto alla fine terminò, neppure due minuti dopo aver finto di comprendere quanto necessario fosse fare quel passo, Fulvia abbandonò Francesco sul divano per sedersi ad una sedia del tavolo:

“Ne vuoi un po’?” Gli domandò mostrandogli un sacchetto di erba.

“Non ho mai fumato ma per te posso fare anche questo passo…”

Francesco seguì i primi movimenti di Fulvia: guardò la linea dei suoi piedi piccoli e delicati, la linea delle sue gambe nude e infine la curva del suo seno, seguì le sue dita lunghe e il fumo alzarsi; quindi, si fece avanti sul divano e chiuse gli occhi, ormai esausto di ogni pensiero oggettivo:

“Vieni qui…” 

Fulvia lo squadrò dietro una nube e sorrise con amarezza:

“Io ti dirò sempre cosa fare, Francesco…”

“Si…”

Si alzò in piedi e camminò verso di lui: qualcosa aveva nuovamente cambiato forma…

“Io ho bisogno di qualcuno che mi dica come e quando fare le cose… è più forte di me…” Biascicò contro voglia accarezzandole con lascivia i glutei.

“Lo so…”

Gli porse lo spinello e senza obiettare Francesco lo strinse voracemente tra i denti e inspirò:

“Ti piace?”

Il ricordo di due o forse tre sogni si confuse al momento, tutto sembrò vorticare e perdersi nella confusione:

“E’ buonissima…”

Si adagiò comodamente e porse l’origine della propria soddisfazione a Fulvia:

“E’ buonissima…” Ripeté chiudendo gli occhi.

La ragazza si sedette vicino a lui e percependone il contatto della pelle un brivido caldo e avvolgente lo strinse con ferocia…

Dei passi riecheggiarono nella stanza e Francesco Rossi, inebriato e stanco, si sentì osservato.

Quanto tempo poteva essere passato? Aprì cautamente gli occhi, senza impegno o convinzione e un profilo robusto e tonico gli sorrise maliziosamente da dietro il tavolo:

“Federico!” Gridò sedendosi sul bordo del divano, “Io…”

“Non ti preoccupare.” Gli rispose sedendosi su una sedia, “Va tutto bene…”

Francesco si grattò la testa poi si riscoprì nudo e la prima cosa che fece fu naturalmente coprirsi con le mani:

“Mi dispiace, temo che…”

“Non ti preoccupare” Ripeté lo zio di Fulvia giocherellando con un pezzo della scacchiera, “Non ti preoccupare…”

Francesco guardò verso Fulvia, addormentatasi vicino a lui:

“Federico io… davvero non so cosa dire…”

“Non devi dire niente. Ora vestiti e vieni a sederti qui, per favore.”

Rivestirsi gli costò una fatica immane. La testa gli doleva terribilmente e il cuore, agitato come una belva in gabbia, gli sembrò prossimo ad un’esplosione:

“Federico la prego: non fraintenda…” Iniziò sedendosi di fronte all’uomo.

“Francesco siamo stati tutti ragazzi…” Lo interruppe sorridendo amabilmente, “Ti ho già detto che non devi giustificarti…”

Il ragazzo deglutì e si guardò le mani con perplessità:

“Non vorrei che lei si faccia una cattiva idea di me…”

“Se c’è una cosa di cui mi vanto, Francesco, è propria quella di riuscire a capire le persone quindi non preoccuparti, davvero: so benissimo chi sei.”

Quelle ultime parole fecero raggelare il sangue di Francesco che impietrì e lasciò che la vergogna fosse sostituita dalla paranoia: cosa poteva significare tutto quello? Cosa potevano significare quelle parole?

“Nulla: Federico è un uomo lungimirante e sa vedere oltre le apparenze…”      

“E’ vero: sono un uomo lungimirante.”

“C-come?”

“Sono un uomo lungimirante.” Gli rispose incrociando le mani.

“Non puoi aver letto i miei pensieri. E’ impossibile” Si ripeté Francesco sempre più turbato.

“E’ invece ti sbagli: nulla è impossibile per me.”

Francesco deglutì una seconda volta e si alzò di scatto:

“Siediti.” Insistette l’imprenditore.

Il giovane studente di economia iniziò a tremare come una foglia ma ancora una volta, inaspettatamente, la curiosità ebbe la meglio sulla ragione e l’istinto di fuggire e sopravvivere si spense.

“Sai chi sono io, veramente?” Domandò Federico non appena Francesco ebbe riprese nuovamente posto.

“Un imprenditore molto in gamba?”

Federico scosse il capo e accennò un timido sorriso:

“Anche. Io sono tutto ciò che vuoi. Sono Hank Schrader, se lo desideri…sono chiunque, Francesco…”

“Io…” Continuò subito dopo aver fatto cadere con un dito un pedone, “Ero con Ponzio Pilato, con Gesù quando ebbe un momento di esitazione nell’orto degli ulivi, ero con Napoleone a Waterloo e con i carri armati della Wermacht quando sono entrati in Polonia…io, caro Francesco, sono il diavolo.”

La tensione crebbe e un rantolo alle spalle di Francesco ricordò Fulvia e la sua figura.

“Io…sono tutto ciò che desiderate…” Perseverò Federico alzandosi in piedi, “Io sono dentro ogni striscia di cocaina che consumate, io sono dentro ogni tranello, io sono dentro ogni inganno, io sono dentro ogni incomprensione, io sono la semplicità, io sono colui che può dirti sempre cosa fare…”

“Non è possibile…”

“No?” Domandò sarcastico Federico, “E allora guarda…”

Alle sue spalle, in posa disinvolta, comparve un nuovo protagonista: lo stesso gatto che aveva sognato poche ore prima:

“Buonasera!” Gli disse.

Subito dopo, fece capolino dall’oscurità un orso bruno che indossava una bombetta:

“Quant’è bella Fulvia!” Biascicò alzando una zampa.

“Hai visto?” Riprese Federico, “Mi credi ancora un bugiardo?”

Francesco guardò gli animali osservarlo con curiosità e si bagnò le labbra secche:

“Questa non era erba…”

“E invece si!” Tuonò il gatto con irritazione, “E delle migliori se mi consenti…”

Francesco sbirciò il suo pelo grigio, le sue spalle imponenti e proporzionate, la sua testa tonda e massiccia:

“Se lo dici tu…”

Federico scoppiò a ridere:

“Pensi che lo Stato agisca nel tuo interesse, Francesco? Pensi che quando ti dicono quello che devi fare lo facciano per il tuo benessere? No: a te piace, come a milioni di esseri umani…a te piace essere dominato, non sai vedere un’alternativa…per questo Libera ti ha stancato, non è così? Sii sincero, per una volta: io adoro le persone sincere…”

Il petto del ragazzo si gonfiò di delusione e panico, una lacrima imponente occupò i suoi occhi e senza che potesse fare nulla per evitarlo si sentì solo:

“Fulvia…” Seguitò l’uomo, “Decise di farla pagare a quel bastardo del padre quando divorziò dalla madre e di conseguenza mi chiamò: giurò che avrebbe fatto di tutto pur di vedere quel verme morto e io l’accontentai: feci di lei una mia sposa, uccisi suo padre ma in cambio le chiesi cento anime…E la tua anima, mio caro ragazzo…indovina? E’ l’ultima!”

Francesco alzò lo sguardo tremando, le lacrime iniziarono a sgorgargli rapide:

“Ti prego…”

“Ma, sfortunatamente c’è un “ma” …” Replicò indispettito Federico superando il tavolo e avvicinandosi a Fulvia, “Questa ragazza in fondo ti vuole bene: una parte di lei, infatti, ha desiderato venderti, un’altra parte no ed è per questo che qualcosa anche dentro di te continua a sfuggirmi…”

Francesco avrebbe voluto voltarsi ma non ne ebbe il coraggio, così rimase immobile a piangere sommessamente davanti ai due animali:

“Le donne sono pericolose, Francesco…” Insistette Federico ritornando davanti al ragazzo, “Anche per me…”

“Quindi…hai solo un modo per uscirne e io, a mia volta, ho un solo modo per porre fine a tutto questo…”

“Ossia?” Balbettò Francesco osservando Federico sedersi di nuovo di fronte a lui.

“Ci giochiamo la tua anima scacchi…So che sai giocare…”      

“E se vinco?”

“Se vinci il diavolo farà un passo indietro perché avrò capito una cosa in più…”

“Che cosa?”

“Questo non ti riguarda…bianchi o neri?”

“Bianchi… Ma aspetta un attimo…Con te non gioco: puoi leggermi i pensieri e questo è sleale!” Si affrettò a precisare Francesco alzando un dito.

Federico contrasse il viso con disgusto e preoccupazione:

“Con chi vuoi giocare allora? Con il gatto?” Gli domandò stizzito.

“Per me va bene…”

“E sia…”

Il vantaggio del tratto è, negli scacchi, il vantaggio del giocatore che muove per primo, e nel caso specifico, questo vantaggio fu tutto di Francesco che aveva scelto i bianchi.

Partì con un’apertura classica, il “gambetto di donna” e il gatto, come previsto, rispose di conseguenza.

Mezz’ora dopo l’inizio della partita, la situazione iniziò tuttavia a complicarsi: nonostante Francesco si ritrovasse infatti ad un passo dalla conquista del centro, il gatto aveva saputo giocare una strategia a dir poco pericolosa, una strategia raffinata e delicata che avrebbe potuto far scattare delle trappole quasi improvvisamente:

“Allora?” Brontolò il gatto accendendosi ad un certo punto un toscanello, “Ti decidi a muovere?”

Francesco lo fissò con agitazione, poi osservò i pezzi giunti ormai ad un punto critico della partita e infine, trovò il coraggio, finalmente, di guardare Fulvia ancora prive di forze:

“Allora?” Insistette il gatto.

Francesco si voltò nuovamente verso il felino ormai avvolto da un’impenetrabile coltre di fumo; quindi, alzò lo sguardo verso l’orso e Federico:

“Il fascino dell’ignavia…” Sussurrò.

“Come hai detto?” Gli domandò Federico incrociando le braccia sul petto.

Francesco incrociò i suoi occhi e iniziò a respirare regolarmente, con metodo: “Le donne sono pericolose…”

Appoggiò i palmi delle mani alle tempie e le parole che aveva pronunciato Federico un’ora prima ormai risuonarono nuovamente nella sua mente: l’ignavia poteva essere seducente, sì, ma chi aveva temuto quel demonio? Non solo Fulvia, ma anche Libera…

“Le donne possono essere pericolose…”      

Perché giocare una partita già persa? Una partita che, nonostante il vantaggio iniziale, non avrebbe avuto un esito a suo favore? Quale prezzo avrebbe pagato Federico se avesse vinto?

Lo osservò di nuovo e dietro di lui, rivide dei momenti che credeva di aver perduto, dei momenti di libertà con Libera: forse, credere a tutto questo, alla semplicità e all’ovvio, non avrebbe mai potuto davvero incoraggiarlo…

Avrebbe potuto averne certezza? Avrebbe potuto avere la certezza che fosse possibile lasciare quella partita e iniziarne un’altra con sé stesso?

Da un cono d’ombra della sua mente emerse un’immagine di Libera sempre più evidente: perché no?

Rivide la sua compagna tra i banchi dell’università, in aula studio, davanti una colazione al bar, a Villa Borghese su un prato, nel suo letto…

Sarebbe stato tutto più difficile, sarebbe stato tutto più impegnativo ma se qualcosa di piccolo poteva suggerirgli una speranza significava che poteva scegliere e che doveva scegliere!

Lanciò un’altra occhiata al gatto sempre più spazientito, in conclusione a Federico:

“Io non gioco più.”

“Non puoi ritirarti.” Gli rispose il misterioso demonio facendo minacciosamente un passo avanti.

“Certo che posso…guarda…”

Raccolse quei pochi grammi di coraggio che sapeva di avere ancora in qualche magazzino del suo cuore, si alzò in piedi e diede un buffetto sulla testa del gatto:

“Io me ne vado.”

Rovesciò la scacchiera e diede le spalle ai suoi avversari, i quali reagirono furiosamente e in maniera scoordinata: il gatto saltò sul tavolo e iniziò a soffiare, l’orso iniziò a gridare degli improperi in qualche lingua slava e Federico, deluso e furente come non mai, cominciò a coprire la voce dell’orso con un discorso incomprensibile e melodico:

“Codardo!” Gridò il gatto.

Francesco si avvicinò a Fulvia tremando, le toccò la fronte pallida e sudata, il polso esanime e sospirò:

“Non la porterai con te…”

Guardò Federico: i suoi occhi ormai rossi come il fuoco avrebbero sconvolto chiunque.

“Non la porterai con te…” Ripeté piantando un rasoio da barba sul tavolo, a pochi centimetri dal gatto.

Tutt’a un tratto, l’atmosfera si fece cupa e satura di gas, delle scintille iniziarono ad ardere i tendaggi e il mobilio:

“Non la porterai con te…”

Francesco guardò Fulvia un’ultima volta e decise, decise di dare ascolto a qualcosa che in quella stanza non avrebbe mai trovato posto: corse pertanto alla porta senza voltarsi indietro e iniziò a saltare i gradini a due a due fino alla strada dove incrociò la velocità di un ciclomotore che non avrebbe potuto in alcun modo prevedere.

La prima cosa che Francesco Rossi rivide in maniera nitida non appena riaprì gli occhi fu sua sorella Chiara, in un angolo della stanza:

“Dove sono?” Domandò cercando di capire in quale posto si trovasse.

“Francesco!” Gli rispose avvicinandosi a lui, “Hai battuto la testa, sei in ospedale…non è successo niente di grave, hai perso solo conoscenza…”

Le tese la mano e le sorrise debolmente:

“E Libera?”

“E qui fuori, vuoi che la chiami?”

Annuì.

Senza aggiungere altro, Chiara Rossi si diresse verso l’uscita: “Che posto triste…” Pensò il ragazzo guardando la luce del sole filtrare dalle veneziane.

“Francesco!”

Voltò cautamente lo sguardo verso Libera, apparsa alle spalle di Chiara:

“Ci hai fatto preoccupare tanto, ma cosa è successo?”

La ragazza gli afferrò le mani con cautela e iniziò ad accarezzargli le falangi:

“E’ successo che ho capito: non mi lasciare Libera…”

La ragazza iniziò a ridere con simpatia, quindi guardò Chiara, dall’altro capo del letto:

“Non ti preoccupare, amore mio: adesso riposati.”

Gli sfiorò la fronte con le dita e gli diede un bacio sulle mani:

“Non restiamo qui un altro po’, vedrai che ti riprenderai presto…”

Molte persone non diventano mai veramente adulte. Quando la loro infanzia finisce e i genitori iniziano a sembrare “vecchi e rompipalle” nuovi idoli e nuovi riferimenti iniziano a farsi spazio…

Piano piano, il ruolo che hanno avuto i genitori viene sostituito, infatti, da qualcun altro: un partner tossico, un lavoro insopportabile, un vizio, una fede politica…

Molti individui pensano che essere adulti significhi non dipendere più economicamente da qualcuno, nello specifico dai genitori ma si sbagliano, o meglio: hanno ragione fino a un certo punto…

Molti individui conquistano un lavoro che spesso odiano, scambiano il proprio tempo in cambio di qualche spicciolo e di un’illusione, comprano casa indebitandosi, si riproducono e magari, se hanno fortuna, comprano una casa al mare prima di andare in pensione… 

Ma quanti, tra loro, possono davvero ritenersi adulti? Quanti, tra loro, sanno affrontare con maturità una conversazione? Quanti tra loro sanno discernere e decidere autonomamente? Quanti tra loro sono effettivamente liberi dai ricatti? Che differenza c’è tra un padre padrone e uno Stato? O un’azienda che impone contratti di lavoro vessatori? Che differenza c’è tra un uomo che ti dice quello che devi fare e usa il “bastone e la carota” e uno Stato o un’azienda che cerca di “convincerti” nel fare una cosa senza la dovuta trasparenza? 

Che differenza c’è tra la dipendenza che vive un essere umano quando non ha ancora un lavoro da un essere umano che accetta, di fatto, un ricatto pur di strappare “un pezzo di pane”? 

E’ vero: Dante Alighieri, uomo audace e coraggioso, diceva che non schierarsi mai da nessuna parte è sinonimo di viltà, e destinava infatti a questa tipologia di individui uno speciale girone dell’inferno, quello degli ignavi…ma se avesse conosciuto la contemporaneità che definizione avrebbe dato dell’ignavia? Avrebbe incluso tra coloro che sono destinati ad inseguire una bandiera anche coloro che si schierano senza pensarci troppo?

Avrebbe incluso di conseguenza tra coloro che sono destinati ad inseguire una bandiera anche coloro che si buttano a capofitto nel mondo di un’opinione mainstream e superficiale?

Forse.

A chi giovano, dopotutto, le conclusioni calate dall’alto e servite con inesperienza?

A chi giovano, dopotutto, le opinioni subdole prive di ogni forma di approfondimento?

La maggior parte delle persone che respira la cultura dei tempi moderni, si sa, non ha il coraggio di osare un pensiero diverso, un pensiero potente ed effettivamente rivoluzionario.

La maggior parte delle persone che respira la cultura dei tempi moderni, si sa, viene educata e allevata in recinti secondo princìpi spesso sepolti da una patina di ipocrisia: princìpi che si possono far propri, senza limitazioni o inganni, solo pagando un prezzo che rischia di fare dei nostri gruppi di appartenenza gruppi minoritari.    

Fu con tutto questo intorno che Francesco Rossi nacque, o forse, in un certo senso, rinacque.

Fu con tutto questo intorno che Francesco Rossi osservò per la prima volta con occhi nuovi Libera leggere un libro, poco lontano da lui, nella stessa stanza di ospedale dove si era ritrovato dopo aver vissuto qualcosa di surreale.

Sarebbe servito veramente a qualcosa fermarsi e imparare? Sarebbe servito veramente a qualcosa non essere precipitoso e magari accettare una responsabilità precisa come avrebbe voluto un amore genuino come quello della ragazza che non aveva compreso?

Non sarebbe stato semplice, ma l’alternativa sarebbe stata peggiore. La scelta, fino a prova contraria, è sì un fatto per tutti ma non è non è mai un fatto immediatamente visibile.

Alla fine, il misterioso virus di cui tanto si era discusso arrivò e sconvolse milioni di persone come Francesco, Chiara e Libera.

Certo, affrontare un Lockdown di quasi due mesi sarebbe stato più semplice con Libera: chi non preferirebbe trascorrere quasi due mesi in casa con la donna che ama?

Purtroppo, o per fortuna, Francesco fu tuttavia costretto a trascorrere quello che sarebbe stato definito un periodo di “arresti domiciliari senza reato” solo in compagnia di Mariotto, il suo impresentabile coinquilino.

Con Libera bloccata a Milano dal fratello, concentrarsi sullo studio all’inizio non fu facile ma piano piano, tentativo dopo tentativo, riuscì nello sforzo di mettere a fuoco la grande conquista che aveva ottenuto grazie all’intervento indiretto di Fulvia e del suo “padrone”.

Ripensarci, quasi quattro mesi dopo, sembrò strano e strano sembrò addirittura “ritornare alla normalità” tra le strade di Roma…

Il primo gelato insieme a Libera, la prima passeggiata con la mascherina sotto il tepore di un sole di maggio di cui tutti avevano avuto tanto bisogno apparvero infatti nel cuore di Francesco come risultati straordinari, risultati che ormai aveva capito bene bisognava conquistare con la volontà e non con la passiva accettazione dei fatti.

Sarebbe stato tutto più difficile. Certo. Avrebbe diffidato di tutto e di tutti. Certo. Avrebbe pagato un prezzo enorme ma l’alternativa, ormai nota, non sarebbe stata indubbiamente migliore.

“Francesco!” Esordì Libera mordendo il suo Magnum bianco, “Ma cosa ci facevi qui quella sera?”

Guardarono la strada dove era stato investito da un ciclomotore, guardarono il civico 59 abbandonato e chiuso, infine il cielo azzurro e accogliente:

“Se te lo raccontassi non mi crederesti mai…”

“Dai…” Insistette la ragazza battendo scherzosamente i piedi per terra.

“Mi crederesti se ti dicessi che ho incontrato il diavolo?”

Libera lo guardò confusa, arricciò le sopracciglia e sbuffò:

“Non scherzare…”

“Mai scherzare quando si parla di qualcuno che puoi incontrare tutti i giorni, anche al supermercato amore mio…”    

Comments to: Il fascino riservato dell’ignavia- Chiusura e riapertura (Parte quinta)

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