Cosa potrebbe legare l’analisi di “Spillover” al pensiero del grande capo della tribù dei Sioux Hunkpapa?
Dal 1967 al 2020, l’umanità ha conosciuto numerose crisi sanitarie.
Ne cito alcune: Marburg (1967), Lassa (1969), Ebola (1976), HIV-1 (riconosciuto indirettamente nel 1981 e isolato nel 1983), HIV-2 (1986), Sin Nombre (1993), Hendra (1994), influenza aviaria (1997), Nipah (1998), febbre del Nilo occidentale (1999), SARS (2003), influenza suina (2009) e, infine, Covid-19 (2020).
Sarebbe possibile pensare che ben tredici crisi sanitarie nell’arco di meno di sessant’anni non abbiano nulla in comune ma sarebbe corretto?
O sarebbe, forse, più corretto chiedersi se tra le malattie elencate in precedenza non ci sia un sinistro collegamento che vede l’azione dell’uomo al centro?
Se non si trattasse, di conseguenza, di meri accidenti ma di conseguenze non volute?
Per rispondere a questa domanda è opportuno introdurre il concetto di zoonosi.
Le zoonosi sono malattie che si trasmettono dall’animale all’uomo, e, per inciso, si ritiene che tutte le tredici malattie conosciute dal 1967 al 2020 siano zoonotiche.
Ma come fanno i virus a compiere il salto dagli animali agli uomini e perché sembra che gli spillover avvengano recentemente con una frequenza maggiore?
In parole povere: se da un lato la devastazione ambientale provocata dalla pressione degli esseri umani crea nuove occasioni di contatto con agenti patogeni, dall’altro i nostri modelli sociali fondati sul globalismo contribuiscono a diffonderli con una rapidità mai vista prima.
Ma l’umanità non ha conosciuto la piaga della malattia solo nel secondo dopo guerra; l’umanità ha dovuto infatti affrontare nella sua storia epidemie spesso talmente gravi da causare lo sterminio di intere popolazioni.
E’ il caso delle malattie che si sono diffuse tra i nativi americani dopo l’arrivo degli europei.
Quanti fossero gli abitanti del continente nordamericano allo sbarco di Colombo nel 1492 è oggetto di calcoli e di congetture contrastanti. La variabile è di decine di milioni, ma un dato è certo: verso la fine dell’Ottocento i nativi presenti nelle riserve degli Stati Uniti erano circa 250mila.
Comunque si consideri la questione, numerosi milioni di individui, alla fine dell’Ottocento erano scomparsi e molti di essi non furono uccisi solo dalle pallottole ma anche dai virus.
Lo sbarco dei “virus europei”, fu infatti uno sbarco silenzioso ma letale: vaiolo, varicella, morbillo, malaria, influenza trovarono terreno fertile per la loro diffusione inarrestabile in organismi che mai ne avevano sperimentato la presenza e che quindi non disponevano di conseguenza delle difese immunitarie specifiche.
Ed è su quest’ultimo, interessante, elemento che vale la pena riflettere: come mai, le popolazioni indigene del continente americano non conoscevano le patologie europee?
Come mai, le popolazioni native, che avevano un profondo rispetto del loro ecosistema, non conoscevano tutte quelle terribili malattie con le quali noi europei convivevamo da secoli?
Una delle popolazioni indigene più famose che si sono in parte integrate nel mondo degli europei, ma che hanno comunque cercato di mantenere viva la propria cultura, è quella dei Pellerossa o, come è preferibile chiamarli, dei nativi americani, appunto.
Questo popolo in origine professava il culto della Grande Madre: la Natura era considerata da loro una madre che dava la vita e che proteggeva tutte le creature viventi. Gli animali, inoltre, erano visti di conseguenza come spiriti guida e la loro stessa presenza si inseriva in un contesto armonico di cui bisognava osservarne i fondamenti.
Gli antichi Pellerossa, provavano quindi, un profondo amore e un grande rispetto per la natura e si comportavano da ospiti e non da possessori del pianeta, (le cui risorse dovevano essere utilizzate solo per soddisfare esclusivamente le esigenze di sopravvivenza).
La stessa caccia al bisonte che i Nativi praticavano per sostenersi veniva praticata seguendo il normale ciclo di riproduzione e migrazione delle mandrie, senza nessuna forzatura.
Nel corso della storia, purtroppo, le idee dei Nativi non sono state sempre capite; anzi, questi popoli sono stati combattuti per secoli e nei loro confronti sono state compiute violenze di ogni genere che li hanno privati della loro dignità spirituale e umana.
Nonostante ciò, la loro grande saggezza non è mai stata cancellata, anzi ha conquistato anche gli Europei e i bianchi americani, (o perlomeno quelli di loro più sensibili ai problemi ecologici).
Ma è bastato? La questione, su cui ripeto, varrebbe la pena riflettere accuratamente e che se esiste un collegamento tra disastri ambientali ed epidemie (come ricordato anche nel libro “Spillover” di David Quammen), esiste di conseguenza anche un valore che i Nativi hanno cercato di preservare e che noi, abbiamo invece stuprato in nome dell’avidità.
Toro seduto, grande capo della tribù dei Sioux Hunkpapa e vincitore a Little Big Horn, non a caso viene spesso ricordato per la seguente frase:
“Solo dopo che l’ultimo albero sarà abbattuto, solo dopo che l’ultimo lago sarà inquinato, solo dopo che l’ultimo pesce sarà pescato, voi vi accorgerete che il denaro non può essere mangiato”.
Esiste un insegnamento antico di cui abbiamo calpestato il valore in nome di una presunta “normalità” che non ci soddisfa veramente?
Non depressi, ma privi di ogni gioia: ecco cosa sono i volti delle persone oggi dietro le loro mascherine. Il loro affannarsi disperato privo di un senso apparente a cosa ci sta conducendo?
Le statistiche sul grado di soddisfazione e felicità delle persone in Italia e nel resto dell’Occidente parlano chiaro e non lasciano spazi al dubbio che in effetti, qualcosa sia rimasto fuori dalla nostra coscienza.
Se mai dunque dovesse arrivare il giorno in cui ci chiederemo quale senso abbia avuto l’eccesso, spero solo che avremo anche il buon senso di non nasconderci un’ultima volta la verità.
P.S. Aborro ogni sterile spiegazione ovvia della storia, per cui rifiuto ogni racconto di matrice manichea alla base del rapporto tra gli europei e i popoli indigeni del continente americano (recenti scoperte scientifiche hanno effettivamente dimostrato che anche alcune civiltà precolombiane hanno modificato parti dell’ambiente naturale in cui vivevano). Sì, la storia, come già scritto in numerose occasioni, non è un processo semplice e per questo non deve essere spiegata ricorrendo a giustificazioni o, nel caso specifico, a spiegazioni scontate; ciononostante, la saggezza dei Nativi, è opportuno sottolinearlo nuovamente, come ogni forma di saggezza che ha messo l’uomo in un rapporto di collaborazione con la natura, andrebbe pertanto osservata con una razionalità, ahimè, ogni giorno più latitante
Classe 1994, lettore vorace dall’età di sei anni e autore dei romanzi “L’alba di sangue” e “Il regno di Romolo”.
Di me hanno detto che sono un “egocentrico” ma non ho ancora capito perché.
Credo di avere tuttavia molto in comune con i liberali di una volta e di essere un insaziabile ricercatore di novità.
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