Perché quando ingiustizia e ideologia diventano legge la resistenza diventa un dovere
Camilla Canepa, una ragazza di diciotto anni di Genova, è morta poche ore dopo aver ricevuto il vaccino Astrazeneca. In seguito a questa terribile notizia, buona parte dell’informazione nostrana ha iniziato non solo a interrogarsi circa l’effettiva utilità del vaccino anti-Covid per gli adolescenti ma anche sul perché si sia deciso di trasformare gli hub vaccinali in luoghi di divertimento.
Basta accettare cinicamente un sacrificio in nome del progresso per continuare a sorridere e ad ascoltare musica dove si somministra il vaccino? Basta continuare a spiegare la realtà attraverso dicotomie patetiche per illudersi della convinzione che ciò che importa è tornare alla normalità?
Quelle osservazioni circa l’utilità di trasformare gli hub vaccinali in luoghi dove si festeggia non sono state accompagnate da autocritiche ed è vergognoso che a quelle parole melense che hanno descritto nei giorni precedenti le fila per il vaccino non siano seguite autocritiche oggettive, appunto.
Quanto appena scritto, non solo denuncia una scarsa preparazione da parte di una cospicua rappresentanza dei giornalisti italiani, ma anche una totale assenza di buon gusto e rispetto.
A scanso di equivoci, è giusto che ribadisca per l’ennesima volta anche tra queste righe che non sono un no-vax ma un pensatore divergente: un cittadino libero dai condizionamenti che aborra categoricamente l’accettazione passiva di chi sussurra “questo vaccino ci tocca” ma non accetta di ragionare criticamente sulle contraddizioni propinateci costantemente da un’informazione degna della scuola di Goebbles.
In data 19 maggio 2021, un noto giornale italiano il cui titolo richiama, ipocritamente, la cosa pubblica, titolava: “Vaccinazione anti-Covid, indecisi, isolati e no vax: caccia ai quattro milioni che mancano all’appello”.
Caccia. Si può scrivere di caccia quando si parla di persone? A me non interessa sapere solo che ci sono quattro milioni di persone che non si vaccinano, a me interessa sapere perché. A me non interessa solo leggere che ci sono dei medici che non si vaccinano, a me interessa sapere perché alcuni medici non si vaccinano ed esprimono un’opinione difforme da altri colleghi. Non mi basta che vengano quindi tacciati di essere no-vax.
Perché ci sono dei medici che si lamentano di non aver ricevuto indicazioni chiare dall’AIFA e dall’EMA? Quali sono i loro effettivi dubbi? Perché non possiamo aprire un dibattito circa queste questioni così spinose che effettivamente riguardano la salute delle persone?
Evidenziare le criticità di una campagna vaccinale come quella in atto e sottolineare la ridicola propaganda che la accompagna non significa essere no-vax ma avere un senso critico non comune e ragionare con onestà intellettuale senza timore delle etichette.
Ben vengano insomma i vaccini, ma solo quando sono senza ombra di dubbio sicuri e utili e ben vengano soprattutto prese di coscienza concrete sulle contraddizioni non solo dei mezzi di comunicazione ma anche di una società malata che pretende costantemente perverse manifestazioni di normalità.
Esiste o non esiste un bias cognitivo preoccupante? Io credo di sì e credo che contro questa tempesta incessante sia necessaria, oggi più che mai, non solo una sana resistenza ma anche una robusta azione divergente fondata sulla ragione e su tutti quei valori che hanno ispirato la nostra civiltà nella lotta contro l’assolutismo e la tirannide.
Non molto tempo fa, tra le colonne di “Pensiero divergente” chiesi come fosse possibile non vivere il voto con le stesse logiche che accompagnano le scelte di tutti i giorni; allo stesso modo, oggi, non posso non riproporre quella domanda e chiedere: ma se nella condotta quotidiana pretendiamo trasparenza come possiamo non pretendere trasparenza anche nel nostro rapporto con la stampa e la televisione? Come si può, in conclusione, nutrire fiducia per chi un giorno afferma una cosa e il giorno dopo afferma il contrario di quanto ha affermato il giorno precedente?
Classe 1994, lettore vorace dall’età di sei anni e autore dei romanzi “L’alba di sangue” e “Il regno di Romolo”.
Di me hanno detto che sono un “egocentrico” ma non ho ancora capito perché.
Credo di avere tuttavia molto in comune con i liberali di una volta e di essere un insaziabile ricercatore di novità.
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