In pochi sanno insegnare la storia in modo che risulti conoscenza utile, ancora meno sanno imparare. Oggi, come per tante altre cose, paghiamo le conseguenze di questo terribile problema. Il revisionismo, tra i più grandi crimini contro la cultura, dilaga impunemente, spesso al servizio delle varie ideologie politiche.

Perché imparare la storia? A che serve? Molti ricorderanno sicuramente dei propri giorni dietro al banco, quando udire questa domanda, posta da qualche compagno di classe al professore di turno era all’ordine del giorno. Chi però ricorda di aver ricevuto una risposta tale da giustificare le ore di studio necessarie a memorizzare fatti all’apparenza inutili, senza riscontro nella vita quotidiana?

La verità è che come molte materie scolastiche, imparare la storia può sembrare a chi studia un impresa col solo fine di ricevere un buon voto. Un dovere al quale adempire per far si che si possa procedere e finalmente lasciarsi la scuola dell’obbligo alle spalle. L’educazione, d’altronde, gioca secondo quello strano meccanismo che rende chi partecipa distaccati dalla vita comune fino al suono della campanella.

Difficile allora biasimare il ragazzino che chieda l’utilità di imparare una materia, se effettivamente essa non sia trattata dissimilmente dal punteggio di un videogioco. Mancano alla scuola gli strumenti atti a tradurre l’educazione in crescita personale. Manca l’incentivo ad imparare, nel senso più stretto della parola, dalle lezioni. Manca quella consapevolezza che la cultura, se ben compresa, ci trasforma in qualcuno di migliore, più adattato ad affrontare le difficoltà della vita, più consci di tutti i dettagli che formano gli eventi che ci circondano.

Se tutto ciò è vero per ogni materia, perché puntare il riflettore sulla storia? L’umile opinione di chi scrive è che essa rappresenti quanto di più importante ognuno di noi possa imparare. È il più grande raccoglitore delle più importanti lezioni. Se immaginassimo l’interezza del patrimonio della conoscenza umana come una libreria, la storia sarebbe rappresentata dagli scaffali sui quali tutti gli altri libri poggiano.

L’insegnamento della storiografia è afflitto da una superficialità criminale che fa sì che nessuna vera lezione possa esserne estratta. Primi tra i colpevoli le frasi fatte.

“chi non impara dalla storia è condannato a ripeterla” è uno dei luoghi comuni più abusati, a tal punto da aver perso qualunque significato. Spesso usato come risposta alla già citata domanda sul perché imparare la storia, questo trito e ritrito aforisma commette diversi errori. Primo tra tutti la mancanza di contesto: “imparare cosa? imparare come?”. Presenta inoltre il passato come qualcosa del quale bisogna avere esclusivamente paura, come un errore da non commettere più. Eppure dal passato abbiamo ottenuto tutto ciò che di buono abbiamo oggi: tutto il progresso, sociale e scientifico, la medicina, i fondamenti stessi del diritto e della giustizia, la democrazia.

“La storia è scritta dai vincitori” è un altra celebre locuzione che molto spesso si sente menzionare quando si parla del passato. È vero che, seguendo un pensiero bidimensionale, facilitato dall’insegnamento superficiale della materia, è facile associare il vincitore al bene, e il vinto al male, e che il vincitore abbia tutte le intenzioni di favorire questo processo. È anche vero, però, che nessuna propaganda sopravvive ad uno scrutinio ravvicinato, eseguito con coscienza. Inoltre, l’innata propensione dell’uomo nel “tifare” per lo sfavorito va a bilanciare il precedente bias cognitivo.

Questa semplice analisi di sole due citazioni ci evidenzia qualcosa di già ovvio: non si può ridurre un processo così complesso come la storiografia a degli aforismi. Non risponde però alla fatidica domanda, si può sapere, una volta per tutte, perché imparare la storia è così importante?

L’utilità pratica, individuale ed immediata della conoscenza storica

Si potrebbe paragonare l’assenza della conoscenza del passato, senza alcuna mancanza di accuratezza, alla situazione di una persona che si è appena risvegliata da uno stato di delirio durante un viaggio attraverso il deserto. Senza alcun ricordo di dove fosse stata o dove si stesse dirigendo, o qual è lo stato del loro veicolo, o quali beni e risorse porta con sé.
A questo punto, la prima cosa che farà questo sfortunato sarà chiedersi alcune domande.

Dov’ero prima?” lo farà risalire al luogo di partenza e al perché: cosa potrebbe averlo spinto ad arrivare dove è ora, dove potrebbe trovarsi la salvezza più immediata da questa terribile situazione.

Dove sto andando?” offre la soluzione sotto forma di un piano. Di uguale importanza, tuttavia, è possedere la capacità di reagire positivamente e con intento al fine di plasmare le proprie circostanze secondo la propria iniziativa, piuttosto che reagire semplicemente a condizioni che, anche nella migliore delle ipotesi, potrebbero non consentire di ottenere ciò che si desidera. Questo sfortunato individuo non potrebbe possedere questa capacità, per via del fatto che per rispondere alle domande e prendere decisioni, serve una conoscenza più o meno approfondita delle proprie circostanze.

Da qui segue il punto: bisogna conoscere la storia per lo stesso identico motivo per il quale tutti noi abbiamo bisogno di un contesto per qualsiasi evento decisionale o sforzo che desideriamo intraprendere. Conoscere la propria storia ci permette di prendere decisioni più accurate, meno pericolose, ci rende più arguti. Conoscere la storia del mondo inoltre non solo risponde a “da dove veniamo?” ma sopra tutto, ci offre un raggio di luce che ci potrebbe far intravedere la più difficoltosa risposta alla domanda “dove stiamo andando?“.

L’utilità politica e sociale, collettivista, della conoscenza storica

Al di là delle scelte personali, non c’è mancanza di elementi di forza maggiore che hanno il potenziale di trasformare la nostra esperienza di vita. Tali elementi vengono spesso scatenati da eventi con precedente storico facilmente prevedibili qualora si conoscesse come in passato siano scaturite situazioni simili.

Tracciare parallelismi e prevedere cambiamenti è il motivo stesso dell’esistenza della memoria. La cultura è una forma di memoria collettiva, dalla quale un popolo può, o dovrebbe, attingere per evitare o prepararsi a ciò che reputa una minaccia. Conoscere bene cosa in passato ha portato alla tirannia ci permette oggi, per esempio, di intravederne i segni tra i goffi sforzi dei vari poteri nel contenere questa pandemia. Pensiero Divergente, sebbene un modesto progetto, nasce quindi di conseguenza come decisione informata dal passato atta a monitorare la storia del presente. Chiunque parallelamente si unisca allo stesso sforzo intellettuale, partecipando direttamente o al proprio progetto, non può che essere arrivato a tale decisione se non tramite lo studio della storia del passato.

Cosa imparare, infine, dalla storia?

Ed ecco qui l’ultima, e forse più importante, domanda, che coincide con la più grande mancanza della didattica scolastica. È l’umile opinione di chi scrive che se c’è qualcosa da apprendere e far propria, questa sia la coscienza intuitiva che ognuno di noi sarebbe stato capace di commettere qualunque tra le terribili malvagità che oggi leggiamo sui libri.

Come sottolineato da Hannah Arendt ne “La banalità del male“, infatti, ciò che terrificava di più di Adolf Eichmann, il gerarca nazista attorno al processo del quale si sviluppa il libro, fu proprio il fatto che si trattava di una persona normalissima. Chiunque avrebbe potuto essere Eichmann. Come chiunque avrebbe potuto essere qualunque dei poliziotti descritti in “Uomini comuni” di Christopher Browning, che arrivarono a commettere indicibili atrocità nella Polonia occupata.

Quando pensiamo a che ruolo avremmo potuto ricoprire all’interno di eventi particolarmente macabri della storia, automaticamente ci immedesimiamo con la vittima. Tutti noi vogliamo credere che non potremmo mai essere l’oppressore, nessuno vuole immaginare di essere capaci di tali atrocità. Eppure, date determinate circostanze che variano da persona a persona, tutti ne siamo capaci.

Carl Jung diede il nome di Ombra a questa terrificante realtà, che agisce all’interno della nostra psiche permettendo a persone ordinarie di commettere atti raccapriccianti. È qui che entra in gioco l’ennesima utilità dello studio della storia: una volta venuti a conoscenza dell’esistenza dell’Ombra, un processo non facile, è possibile identificarne l’operato.

Colui che non conosce la storia, non è proprio condannato a ripeterla, ma forse non potrebbe riconoscere gli stessi atti che in futuro saranno riconosciuti come efferati, o, peggio, parteciparvi.

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