“L’uomo non si contrappone alla propria natura per dispetto, Non distrugge le più elementari strutture gerarchiche donateci da un processo evolutivo di milioni di anni, ma ci costruisce sopra, con intento, rappresentato il più potente strumento dell’ordine nell’eterna lotta contro il caos.”

Parte uno

Nella prima parte abbiamo esplorato come l’entropia, proprietà fondamentale della realtà, descriva la contrapposizione tra ordine e disordine. Una battaglia eterna che inesorabilmente, in un futuro molto lontano, risulterà nella vittoria assoluta del caos.

Tornando sulla nostra Terra, però, c’è una battaglia parallela molto più immediata e importante sia per chi scrive e per chi legge: la battaglia tra la vita e la morte. Una battaglia ormai forte di quattro miliardi di anni e mezzo di anni di storia, che ha come vincitrice, contro ogni possibilità, la vita: gli organismi terrestri, dal più semplice al più complesso, continuano a combattere secondo le antiche regole della natura.

l’uomo, in questo confronto, non è solamente un partecipante, ma il protagonista: la medicina sconfigge malattie sempre più temibili, trionferà sicuramente, presto, su questo Covid che al momento ci assedia. La scienza ci permette di lasciare il nostro habitat ed esplorare lo spazio, un luogo terribilmente ostile alla vita. L’uomo estrae energia che nutre, tra le tante cose, un apparato complessissimo come il computer, che oggi lo scrittore utilizza per condividere il suo pensiero divergente.

Tutto ciò ha portato molti a pensare che l’umanità si sia distaccata completamente dalle regole d’ingaggio e abbia completamente piegato la realtà al suo volere. C’è da dire, però, che l’uomo è capace di manipolare la natura soltanto all’interno dei confini ben definiti delle regole stesse della realtà. Per esempio la medicina sconfigge malattie giocando al loro stesso gioco; il razzo che lascia la terra per lo spazio lo fa solo perché la fisica glielo permette e così via. Sarebbe più corretto dire che la realtà sia come un gioco da tavolo con innumerevoli, rigidissime regole, e che l’uomo sia il suo più abile giocatore, capace di trovare tra tali regole delle scappatoie che gli permettono di fare cose straordinarie.

Eppure, secondo molti, l’animale umano si è non solo allontanato dalla propria natura, ma sia in realtà privo di essa. Secondo il costruttivismo sociale, corrente di pensiero che va di pari passo con il relativismo, l’uomo non è altro che un foglio bianco, sul quale altri individui scrivono le regole che dovrà rispettare in base a costrutti fondamentalmente artificiali, non influenzati affatto da meccanismi naturali.

Al centro della critica costruttivista sono le varie gerarchie sulle quali ci organizziamo. Secondo gli esponenti del pensiero, esse sono automaticamente di stampo tirannico, ideate consciamente come strumento per forzare gli uni ad essere al servizio degli altri. Eppure gerarchie di questo tipo sono presenti in tutto il mondo animale: nella battaglia contro il caos, ci sono animali che mangiano altri, altri che possono solo sperare di sfuggire al loro predatore, e all’interno delle specie stesse, ci sono, per esempio, leoni di successo e leoni che vengono ostracizzati dal branco.

Secondo il costruttivista, però, un individuo di successo ha acquisito tale successo soltanto perché ha la gerarchia dalla sua parte. Ha scalato lo status sociale non per propria competenza, ma esercitando il proprio potere su coloro sotto di lui. L’unica soluzione, quindi, sarebbe di smantellare completamente ogni tipo di gerarchia e di negare all’umanità uno dei suoi più fondamentali strumenti contro il disordine. Eppure tutto il mondo, tutta la realtà delle cose si organizza in strutture gerarchiche in base alla concentrazione di energia, come espresso nella parte 1 dell’articolo. Com’è possibile che l’umanità sia immune all’influenza naturale dalla quale essa stessa è sorta?

Il concetto che movimenta la critica però è un pensiero che parte in buona fede, che ha come fine ultimo lo smantellamento delle ineguaglianze sociali. Una ulteriore soluzione, secoldo il costruttivismo sociale, sta nell’equità: garantire ad ogni gruppo ed ogni individuo un risultato pari ed uguale a qualunque altro gruppo o individuo. Il problema sorge quando ci ricordiamo del principio dei gradienti di energia. L’equità, contrapposta alla pari opportunità, negherebbe l’esistenza e la nascita di ogni gradiente di competenza, rendendo impossibile l’estrazione di energia per svolgere lavoro. Negherebbe infatti all’individuo più competente di distinguersi dalla competizione e offrire i propri servizi alla comunità.

La struttura gerarchica umana, almeno nell’occidente, è ad oggi una gerarchia basata sulla competenza, organizzata tramite il sistema meritocratico. Chi è più abile scala la piramide.

Il sistema meritocratico, potenziato dall’idea delle pari opportunità, che dona ad ognuno la possibilità di comprovarsi all’interno della struttura gerarchica, si contrappone fortemente per definizione ad ogni proposta di equità e parità di risultato. Parte del beneficio di tale sistema è che la società è beneficiaria del lavoro di eccellenza di ogni individuo straordinario che si posiziona all’apice della piramide: Il ricercatore medico competente ha accesso a piattaforme più ampie per promulgare il proprio lavoro per far accedere più persone sempre più velocemente ad una nuova medicina, l’idraulico più bravo si troverà in posizione di offrire i propri servizi a più individui che potranno riparare le proprie tubature in tempi più stretti e con maggior efficienza.

lungi da chi scrive sostenere che il sistema occidentale sia perfetto o privo di corruzione, ma questa gerarchia di competenza diventa una gerarchia tirannica solo nel momento che la corruzione l’attanaglia nella sua interezza, fin dall’ideazione. La corruzione purtroppo presente all’interno degli apparati odierni è un’abuso di essi, non un effetto voluto, ed è combattuto tramite le leggi volte ad eliminare tale abuso. È ingiusto, intellettualmente, osservare il mondo è ribadire che tutte le strutture organizzative sono nate corrotte e crudeli al tal punto da essere volutamente tiranniche.

La mira di ridurre ineguaglianze rimane però una mira nobile, da applicare tutti i giorni, ma solo al fine di offrire a tutti pari opportunità affinché ogni individuo non venga ostacolato nel provarsi efficace all’interno del sistema. Il discorso, infatti, rimane costruttivo fin quando non diventa distruttivo. Smantellare un ordinamento comprovato, che più è stato capace di ridurre povertà e ineguaglianza in favore di uno solamente teorico è, per definizione, distruttivo.

Bisogna quindi trovare un buon bilancio nel rispetto del discorso atto a mantenere un gradiente di energia. Laddove il gradiente è massimo, sia ha la maggior diseguaglianza, ed il lavoro estraibile è il massimo: pensiamo ad esempio alla schiavitù, terribile gerarchia fondamentalmente corrotta e tirannica nella quale il gradiente è tanto massimizzato da poter estrarre lavoro dalla mera esistenza di individui disavvantaggiati. Laddove però il risultato è sempre lo stesso a prescindere dalla competenza dell’individuo, il gradiente non esiste ed il sistema raggiungerebbe lo stato di massima entropia, rendendo impossibile l’estrazione del lavoro.

Come sempre, in medio stat virtus. Il sistema organizzativo migliore è un sistema che garantisce ad ogni individuo i mezzi atti a dimostrare il proprio lavoro, lasciando che l’unica ineguaglianza non sia un’ineguaglianza sociale, ingiusta, bensì una di competenza, garantendo uno status di entropia media affinché il lavoro possa essere si svolto, ma non a discapito di chi si trova disavvantaggiato ingiustamente.

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