Bandiere sovrapposte alle immagini del profilo, slogan recitati meccanicamente, idee da minestrina riscaldata adottate per conformismo, dialogo inesistente e attivamente punito: ecco l’età della non-informazione
Gli utili idioti esistono da quando esiste la politica, quindi, forse, da sempre. Oggi però il moralista da salotto rappresenta una pandemia forse più estesa di quella portata dal virus che attanaglia il mondo intero. Una malattia intellettuale che ha minato la fiducia nell’accademia e nell’educazione, che lascia assolutamente attonito chi vi è sopravvissuto.
Il moralista conformista si individua facilmente. Basta osservare chi non sia capace di produrre una critica od un’interpretazione personale all’ideale che dimostra tanto fortemente di sposare. Inoltre, come da definizione di “conformismo”, l’ideale adottato deve per forza di cose allinearsi perfettamente con quanto è considerato accettabile e comune.
Essendo ognuno di noi fondamentalmente unico, non è mai possibile trovarsi perfettamente d’accordo con ogni minima parola ed opinione esposta da chiunque altro. Eppure, se parli con un moralista da salotto, hai parlato con tutti i suoi analoghi. Se qualcuno dice solo cosa avresti potuto sentir dire da qualunque altro individuo del suo stesso orientamento politico o dalla stessa opinione, puoi star certo che hai davanti un conformista che non ha analizzato le idee altrui, adottate alla lettera, abbastanza a fondo da trovarsi in disaccordo con alcuni elementi.
L’ultimo ingrediente della ricetta è che l’ideale ripetuto sia considerato accettabile dalla maggioranza, che sia superficialmente innocuo e positivo abbastanza che chiunque sia d’accordo appaia come un brava persona, mentre chiunque si trovi in disaccordo possa essere facilmente ignorato e sminuito come crudele. Il conformista ignora sempre le conseguenze di quanto promulgato. Accetta solo il valore assoluto dell’idea. Se il sentimento è nobile, ma inattuabile o disastroso nella sua implementazione? Tanto meglio: è una posizione più sicura da adottare, nessuno potrà mai criticarti, dato che non avrai mai la responsabilità di mettere la tua visione in atto e affrontarne le conseguenze.
Il conformismo dell’anticonformista
Il paradosso si manifesta appena si rivolge un pensiero critico alla storia di questo fenomeno. Tra i giovani di qualche decennio fa il pensiero più accettabile era un pensiero anti-sistema, mancanza di rispetto e la sfida alle autorità. Tutti i politici erano ladri, vecchi oppressori dei giovani, e tutte le corporazioni e i grandi imprenditori erano schiavisti egoistici buoni solo a diramare dolore. Questo pensiero, anticonformista per antonomasia, si diffuse a tal punto da essere prontamente adottato da qualunque studente sotto forma di dogma facilmente digeribile: ecco che diventa conforme.
Ed ecco che si rivela la tremenda ipocrisia: sebbene il pensiero più conformista e diffuso rimanga alla base lo stesso, specialmente tra i ragazzi e le ragazze della stessa età di chi scrive, il moralista da salotto che denuncia come un’automa qualunque mossa intrapresa dalle autorità al contempo inneggia come messia liberatore e salvatore la stessa identica autorità. Si palesa così l’utilità dell’idiota.
Orde di benpensanti moralisti lodano le più grandi multinazionali per aver sovrapposto la bandiera LGBT+ al proprio logo, o per aver scritto “black lives matter” su un tweet aziendale. Quanto coraggio, quanto spirito provocativo, quanti ostacoli avrà incontrato il Social Media Manager di Apple durante la sua valorosa odissea, sfidando i vecchi oppressori a capo dell’azienda, rischiando il proprio lavoro per cambiare temporaneamente il logo su Facebook e Twitter.
Una trovata pubblicitaria senza rischio, senza valore. Osannata dai consumatori compiaciuti, più con se stessi per essere nel giusto che altro, come grande sfida alle autorità. Eppure è una mossa sfidata da nessuno, intrapresa dalle autorità stesse proprio perché senza alcun rischio. Non c’è rischio nel far finta di impegnarsi a combattere una lotta, sparando a salve, per conto del lato accettato da tutti.
Si al gay pride, ma solo nell’occidente
La prova del fatto che tutto questo sia solo una trovata pubblicitaria, estremamente conformista e quindi senza valore, è sotto gli occhi di tutti. Gli account social in lingua araba delle stesse multinazionali, gestite dalle stesse persone, non hanno fatto assolutamente nessun cambiamento ai propri loghi. Ebbene si, Apple non proverebbe mai a mostrare una bandiera LGBT+ in Iran, li dove effettivamente sarebbe un gesto di sfida, dato che essere omosessuali è un crimine punibile con la morte. Fare ciò sarebbe troppo rischioso.
Coca-Cola, Nike, Apple e compagnia sono più che contenti di intraprendere mosse senza valore e senza rischio fingendo di supportare i più deboli, mentre fanno lobby contro le regolazioni volute dagli Stati Uniti volte a far stretta sugli importi provenienti dai campi di concentramento in Cina. Ebbene si, chi l’avrebbe mai detto, un conto è mettere una bandiera sull’immagine del profilo e recitare uno slogan, un altro è rinunciare al frutto della schiavitù se il lavoro va pagato poco o nulla.
Qualche tempo fa i giovani avrebbero sarebbero stati i primi a notare e denunciare l’ipocrisia. Oggi invece i primi ipocriti siamo noi. Le corporazioni e le multinazionali possono sfruttare il lavoro di minorenni e schiavi nei campi di concentramento, giovarsi al prezzo di due soldi delle risorse dei paesi del terzo mondo, basta che paghino più tasse. È tutto un maledetto palliativo.
L’eterna idiozia del conformista, del moralista da salotto, che guarda solo ai sintomi, mai alle cause. Non riuscirà mai a contemplare una vera soluzione. Abbasso il sistema, a meno che non nutra il nostro compiacimento egoista con inezie senza valore.
Classe ’95, lavora nel marketing digitale, un’industria in continuo cambiamento che troppo spesso assedia la nostra libertà di espressione e la nostra privacy. Da sempre appassionato di storia e filosofia, e in particolare all’astronomia, sempre attento però a non fare la fine di Talete.
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