Buon Primo Maggio in un paese dove, almeno con le parole, si incentiva il lavoro e non la sussidiarietà!
Buon Primo Maggio in un paese chiuso in una gabbia, una gabbia sempre più stretta: la gabbia della paura.
Buon Primo Maggio in un paese vittima della carenza di ossigeno, un paese vittima cioè dell’assenza di una legislazione adeguata alle esigenze del mercato.
Buon Primo Maggio in un paese dove si vive di una burocrazia ottusa e di una fiscalità sproporzionata e soffocante.
Buon Primo Maggio in un paese dove il settore creditizio non garantisce credito e quindi fiducia.
Buon Primo Maggio infine in un paese dove ogni possibile iniziativa privata viene fraintesa e ostacolata a causa di una cultura assistenziale ancora troppo forte.
In ogni caso, buon Primo Maggio anche a chi ha creato e continua a creare posti di lavoro, perché senza creazione di posti di lavoro, senza quello straordinario atto creativo che mette al centro l’iniziativa, ogni singolo aspetto di un’economia moderna subisce un inevitabile rallentamento.
La verità però è che ora, più che mai, occorrono risposte per tutti, (non solo per i “portatori sani” di partiva IVA)…
Occorrono infatti risposte per i dipendenti ma anche coloro che un lavoro lo aspettano da tempo poiché qualcosa dopotutto non ha funzionato e continua a non funzionare ed è sempre più evidente, occorrono risposte capaci di spiegare il calo della domanda, la riduzione degli investimenti, l’assenza di dialogo tra mondo dell’istruzione e mondo del lavoro ma soprattutto a proposito di quella puzza di stagnazione che disturbava l’olfatto di chi cercava risposte appunto ancora prima dell’arrivo del Covid-19…
Possiamo fidarci di chi, come già chiesto, pretende di sostenere il lavoro e non la sussidiarietà solo con le parole?
Quali garanzie reali può avere un imprenditore quando non solo il mercato ma anche il contesto generale dimentica quanto sia importante trovare risposte semplici a problemi complessi?
Il lavoro è un diritto di tutti i cittadini, un diritto costituzionalmente previsto e la chiarezza, esattamente come il lavoro è la fonte di una democrazia forte e sicura.
Non esistono assicurazioni per il futuro, soluzioni scontate ma chi dovrebbe rispondere al mutamento della realtà se non la politica? Perché non possiamo pretendere dalla stessa franchezza e soluzioni? Perché non possiamo pretendere analisi lucide e risposte relative? Perché solo noi cittadini e lavoratori non abbiamo il diritto di non sbagliare in una società dove l’errore senza apprendimento viene costantemente rifiutato?
Per anni, ci è stato detto che il lavoro del futuro sarebbe stato lontano dagli uffici, che l’evoluzione naturale delle professioni sarebbe stata l’assenza di spazi definiti e orari fissi, per anni, ci è stato detto che ci sarebbe stato un cambiamento coadiuvato dalla tecnologia e che, riscrivendo i limiti della carriera delle nuove generazioni, saremmo stati tutti più liberi ma nessuno ci ha insegnato a guardare dentro noi stessi e ad apprezzare il valore del tempo…
Purtroppo, alla fine, tutte quelle attraenti prerogative che la fretta ci ha venduto si sono rivelate spesso essere un mero eufemismo per camuffare un incubo che si chiama “precariato”.
E la politica?
Perché non abbiamo preteso che la politica rispondesse alla confusione dei tempi moderni?
I dubbi normativi, i dubbi cioè che la politica doveva risolvere, hanno svilito la professionalità dei lavoratori autonomi che denunciano ogni giorno la mancata applicazione delle norme esistenti e un sistema di welfare insufficiente. Si pensi ad esempio alla confusione generata dai termini “lavoratore autonomo” e “libero professionista”, (quest’ultima una dicitura con la quale si indica di solito chi svolge in autonomia un lavoro intellettuale che spesso richiede anche l’iscrizione a un Ordine professionale o ad altre associazioni di categoria).
Si pensi ancora al mondo delle start up, il mondo delle imprese del futuro: un mondo che non può avere garanzie perché non può offrirne subito…
Il lavoro è indubbiamente una tematica in continua evoluzione: subisce cambiamenti tanto repentini quanto poco gestibili, tali che le leggi riescono raramente a stare al suo passo…
Ma la mancanza di sincronia, (culturale e legislativa), si riversa inevitabilmente sulle spalle dei lavoratori (sia dal punto di vista della salute mentale sia da quello dei diritti).
Perché la politica ha dunque smesso di proteggere il lavoro? Manca forse quella conoscenza necessaria a comprendere le dinamiche strutturali dell’impegno costante?
Buon Primo Maggio, in ogni caso: buon primo maggio in smart working (per chi ha la fortuna di non subire l’umiliazione del digital divide).
Classe 1994, lettore vorace dall’età di sei anni e autore dei romanzi “L’alba di sangue” e “Il regno di Romolo”.
Di me hanno detto che sono un “egocentrico” ma non ho ancora capito perché.
Credo di avere tuttavia molto in comune con i liberali di una volta e di essere un insaziabile ricercatore di novità.
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