Molta attenzione è stata rivolta giustamente al Recovery Fund e alle numerose politiche fiscali di aiuto alla popolazione colpita duramente dalle restrizioni governative per limitare la diffusione del virus, mentre nel dibattito pubblico le politiche delle banche centrali trovano ancora poco spazio. In quest’articolo analizziamo lo stato dell’arte della politica monetaria.

Facciamo il punto della situazione sulle risposte delle banche centrali alla crisi del covid 19

Le banche centrali di tutto il mondo hanno reagito prontamente all’avvento del virus mettendo in essere massicce politiche di acquisto di assets, principalmente titoli di stato, aiutando i rispettivi stati e riducendo ulteriormente il tasso d’interesse rendendo più facile il loro finanziamento sui mercati internazionali.

Questa politica chiamata comunemente “Quantitative easing” viene definita come politica monetaria non convenzionale, in quanto il suo utilizzo è giustificato in casi eccezionali ovvero quando la politica monetaria ortodossa non è attuabile perché inefficace. A causa del basso livello dei tassi d’interesse negli ultimi decenni la banca centrale non può più agire sul tasso d’interesse a breve termine altrimenti lo porterebbe sotto lo zero, nel quasi inesplorato territorio del tasso d’interesse negativo, e quindi agisce sul medio-lungo termine acquistando titoli di stato.

Ricordiamo ai lettori che la banca centrale regola la quantità di denaro nel mercato agendo sul tasso d’interesse. Grandi immissioni di “denaro” nel mercato porteranno ad un abbassamento del tasso d’interesse e viceversa. Bassi tassi d’interesse rappresentano uno stimolo per gli agenti nel mercato, pensiamo a quanto è conveniente finanziarsi tramite un prestito e pagare un tasso d’interesse modesto allo stesso tempo però bisogna considerare l’altra faccia della medaglia ovvero gli investimenti avranno dei tassi d’interesse bassi e quindi saranno poco fruttiferi.

La normalizzazione di misure eccezionali

Stiamo vivendo in un tempo particolare in quanto virtualmente tutte le banche centrali del mondo stanno conducendo politiche di accomodamento quantitativo, Quantitative Easing appunto, inondando i mercati di liquidità sperando di stimolare la ripresa economica.

Le prospettive non sono delle più rosee se prendiamo ad esempio il caso del Giappone. Il paese orientale soffre di bassi tassi d’interesse e lento sviluppo economico dagli anni 80. A lungo considerato un caso isolato nello scenario macroeconomico mondiale ora il suo caso si avvicina a tanti altri casi odierni aumentando la paura di Japanification dell’economia mondiale: uno scenario da evitare a tutti i costi in quanto il paese ha per molto tempo adottato politiche non convenzionali con risultati mediocri perdendo competitività e stabilità macroeconomica.

I banchieri centrali hanno risposto prontamente all’odierna crisi grazie all’esperienza accumulata nel 2008, ma se queste politiche non dovessero bastare vi sono altri strumenti nell’arsenale da utilizzare. L’ultimo in ordine temporale è stato l’innalzamento dell’inflation target da parte della banca centrale americana (FED). Si crede nella macroeconomia che il livello ottimale dell’inflazione debba essere del 2% tuttavia la FED ha deciso che permetterà all’inflazione di raggiungere livelli moderatamente superiori per stimolare ancor di più la ripresa economica.

Vedremo come reagiranno le altre banche centrali che storicamente hanno sempre preso ad esempio la FED. La BCE ha dimostrato coraggio dall’inizio della crisi annunciando di non porre limiti all’acquisto di titoli di stato dimostrando una grande sensibilità storica ed istituzionale seguendo le orme del precedente governatore. Divisa a livello fiscale, l’Unione Europea beneficia delle politiche della banca centrale che agiscono da collante evitando che le differenze economiche degli stati membri si acuiscano sui mercati internazionali, vedi lo spread.

L’influenza politica delle Banche Centrali

L’arrivo del vaccino sembra essere la condizione fondamentale per un ritorno alla normalità e quindi la cessazione dell’adozione di strumenti non convenzionali da parte delle banche centrali.

Queste ultime infatti stanno lentamente prendendo piede nel dibattito pubblico. Le loro parole posso letteralmente cambiare le sorti dell’economia ed influenzare i mercati. Lontani dall’avere la reputazioni di grigi burocrati, i governatori delle banche centrali stanno dimostrando importanti doti di leadership e comunicazione efficace e le loro conferenze stampa lungi dall’essere riservate ai pochi addetti ai lavori vengono seguite sempre con più attenzione.

Concludendo, le banche centrali stanno operando al massimo delle loro capacità in condizioni di urgenza e necessità oramai dal lontano 2008 e l’economia mondiale sta sperimentando una situazione mai vista prima.

Le domande da farsi sono le seguenti: quando si ritornerà alla politica monetaria tradizionale considerando che il Quantitative easing sembra essere diventato la nuova normalità? Come verrà affrontata la delicata fase di transizione quando la crisi volgerà al termine e le imprese ed i lavoratori non potranno più contare su aiuti monetari e fiscali? Quali saranno le conseguenze di anni di politiche non convenzionali in termini di stabilità monetaria e finanziaria?

GianPaolo Garello

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