C’è un episodio evangelico che, al di là delle convinzioni etico-religiose di ciascuno, oggi va certamente ristudiato e approfondito, in quanto contribuisce molto a capire bene la nostra situazione attuale.

Consideriamo tale episodio dal punto di vista storico.

Per questo sono venuto al mondo“, dice Gesù a Pilato “per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce“.

Ed a questo punto Pilato pone la domanda che ci interessa, la domanda fondamentale di ogni epoca: “Quid est veritas?“, Che cosa è la verità?

E tuttavia Pilato sembra quasi che abbia paura di ricevere la risposta, oppure è sicuro che non ci sia la risposta a tale domanda, infatti il testo continua “E così dicendo uscì“.

Ma esiste una risposta a questa domanda?

Vediamo storicamente e filosoficamente come il mondo greco-romano da una parte ed il mondo giudaico-cristiano dall’altra, hanno affrontato la questione. Nel modo di pensare greco-latino che poi si è trasfuso nella cultura occidentale, la verità è intesa come svelamento del nascosto.

La filosofia greco-romana e poi tutta la cultura occidentale cerca, prima con i sensi e poi con la ragione, di dare luce a ciò che per il momento è ancora nascosto.         

Ne deriva il Primato della Ragione e quindi dell’idea.

L’oggetto, riflesso nell’occhio che guarda, o dalla mano che tocca (sensi) è da questi trasmesso al pensiero che lo rappresenta, lo conosce, lo ragiona e lo trasferisce in Idea.

Invece nella concezione giudaico-cristiana, che è poi quella biblica, la verità si impone come un fatto.

E’ la verità stessa che in un dato momento storico incombe nel mondo come un fatto concreto e lo illumina, lo svela.

Nella Bibbia è Dio stesso che si rivela all’uomo nella storia, in una serie di fatti concreti.        

In altre parole è la verità stessa che si impone all’uomo e lo svela a se stesso.

Il Primato non è più nella ragione ma nel fatto, nella realtà.

La concezione greco-latina che abbiamo visto pone al centro la ragione e l’idea, si è consolidata nel mondo occidentale moderno grazie soprattutto alla filosofia da Platone (Il mondo delle idee) a Cartesio – chi non conosce il suo motto – “Cogito ergo sum“?

Non esiste la realtà in quanto tale, ma esiste soltanto in quanto è pensata dall’uomo. Chi si accorgerebbe della realtà se l’uomo non la pensasse?

Quindi quello che certamente esiste, dice Cartesio, è la ragione dell’uomo che sola dà vita alla realtà.

Si capisce bene che la logica conseguenza della posizione greco-romana e cartesiana-occidentale porta inevitabilmente alle ideologie.     

La mia idea può essere diversa dalla tua, il mio ragionamento può essere diverso dal tuo e idee diverse portano ad ideologie diverse e quindi al Relativismo.

Le ideologie ed il relativismo conducono alla società egoico-bellica nella quale siamo immersi. Quale idea deve prevalere? E come far prevalere quella idea se non sopprimendo le altre idee?

La storia ha visto il prevalere in occidente di diverse ideologie: il razionalismo, lo scientismo, il romanticismo, l’illuminismo e più recentemente il comunismo, il nazismo, il capitalismo, il consumismo, ecc.

Che poi ideologie diverse portino inevitabilmente alla violenza ce lo testimonia la triste realtà del xx secolo con le due guerre mondiali, i gulag, i campi di concentramento ed i milioni di morti ammazzati.

Nella concezione giudaico-cristiana, capire la realtà non è come per la cultura filosofica occidentale possedere le idee, ma piuttosto lasciarsi possedere, cioè lasciarsi illuminare, svelare dall’accadere storico.

Questa concezione porta necessariamente al Realismo.

Perchè questa concezione sia via via diventata minoritaria nel mondo occidentale, sarebbe un interessante studio sociologico-antropologico da approfondire.               

Qui possiamo avanzare soltanto delle ipotesi, forse perchè la filosofia greco-latina è stata profondamente caratterizzata dal pensiero platonico-cartesiano; forse perchè la visione giudaico-cristiana è stata considerata troppo impregnata di religiosità; forse perchè tale visione poco si confaceva all’illuminismo prima ed all’attuale capitalismo-consumistico adesso.

Fatto sta che questa concezione della verità come rivelazione è diventata sempre più marginale.

Ma è facile però constatare che tale marginalità è coincisa con la profonda crisi esistenziale-antropologica in cui si dibatte oggi il mondo occidentale.

Non è che tale concezione della verità che abbiamo chiamata giudaico-cristiana si sia estinta, essa ha continuato ad essere affermata in minoranze creative, minoranze presenti e vive in tutte le componenti della società, sia teologiche, sia letterarie, sia artistiche e persino scientifiche.     

Scienziati come Galileo, Newton, Lamark, Fleming, fino ad arrivare ai più recenti Einstein, Plank hanno verificato nei loro studi che solo osservando la realtà essa ci illumina e ci svela le leggi ed i principi che la governano.

Sarebbe interessante (magari in un altro articolo) verificare che i semi di questa concezione che abbiamo chiamata giudaico-cristiana, si sono sviluppati certamente in altre forme, anche nella cultura orientale tutta protesa alla contemplazione ed alla illuminazione.

Ora, constatata la profonda crisi del mondo occidentale presente a tutti i livelli, che ha portato l’uomo e la sua dignità ad un bivio inesorabile, crisi di valori, crisi di rapporti, crisi politica, crisi ecologica, crisi religiosa, sorge spontanea la domanda: se la concezione greco-romana della verità, ha portato il mondo alle ideologie, al relativismo, allo scontro ed alla violenza, non è forse il caso di riconsiderare e rivalutare la concezione giudaico-cristiana della verità, che porta al realismo?

O, ancora, per una vera rinascita dell’uomo, per un nuovo umanesimo, come tutti auspicano, non si deve ripartire dalla tradizione giudaico-cristiana della verità?          

Il realismo porta alla pace, in quanto bisogna riconoscere semplicemente il fatto, la verità non è una idea soggettiva ma un fatto oggettivo che va soltanto riconosciuto.      

Ed un fatto è tale per tutti.

Quindi cercare la verità non produce ragionamenti, non produce idee, cercare la verità vuol dire porsi in Relazione con qualche cosa che è al di fuori di me.

Nella concezione greco-romana occidentale la ricerca della verità porta al possesso delle cose e delle persone.

Nella concezione giudaico-cristiana la ricerca della verità porta alla relazione con le cose e le persone.

Queste diverse concezioni della vita non sono asettiche e prive di conseguenze concrete nella nostra vita, anzi.

Per esempio nella concezione greco-romana la bellezza è concepita come forma, come estetica ed è quindi sempre un’idea astratta.

Tutto ciò che non si confà a questa forma non è bello. Quindi non si è belli se non si è giovani, magri, performanti. In questa concezione di idea estetica per esempio una fotomodella è bella.

Nella concezione giudaico-cristiana la bellezza consiste nel riconoscere in un frammento il tutto, cioè nel riconoscere il segno che rimanda ad altro.

E’ bello ciò che rimanda all’assoluto, all’infinito. In questa concezione per esempio Madre Teresa di Calcutta è bella, con tutte le sue rughe e con la sua schiena curva, perchè in lei si vede il segno del Tutto.

Chiunque può verificare le conseguenze delle diverse concezioni della verità, negli ambiti in cui vive ed opera.

Nell’economia, la prima concezione (greco-latina) porta ai concetti di macroeconomia e di economia ideale, di pil, di indici, di tassi di interesse, di statistica e di assi cartesiani che sono totalmente staccati ed avulsi dalla economia vera, concreta, dalla vita delle persone reali.

La seconda concezione (giudaico-cristiana) porta al concetto di microeconomia, di economia reale, di sviluppo nella solidarietà, di attenzione alla persona reale ed alla famiglia, vera cellula di una realtà socio-economica reale.

Così chi si occupa di diritto e di giustizia sperimenta che la prima concezione porta ad un concetto di diritto e di giustizia ideale, statico, distaccato dai drammi veri del vivere, cosi che l’uomo della strada soffre e non  a torto, un senso profondo di ingiustizia.

Ed in questa concezione la legge cioè il diritto opprime l’uomo.

Nell’altra concezione invece non esiste un principio disincarnato di diritto o di giustizia, ma esiste l’uomo caso per caso, la giustizia quindi è la giustizia del caso concreto e la legge serve all’uomo per relazionarsi meglio.

Chi si occupa di medicina verifica che la prima concezione porta esattamente a dove siamo adesso cioè alla medicina e alla cura spersonalizzata dei protocolli e dei consensi informati, che tanti problemi sta dando ai pazienti.

La seconda concezione riporta alla centralità il paziente, al suo rapporto diretto con il medico, caso per caso, soggetto per soggetto, alla cosiddetta medicina territoriale di prossimità.

Al termine di questa nostra disamina dobbiamo chiederci, che deve fare ciascuno di noi per rimettere al centro la persona? Per un nuovo umanesimo che riguardi non più le masse o i consumatori, ma l’uomo “one by one”?

Dobbiamo ritornare al passato?  

Certamente no, il passato dobbiamo sempre tenerlo presente per non ricadere negli stessi errori, dobbiamo piuttosto ricominciare, per ritornare…

Per ritornare al futuro.

Michele Albergo

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