Quale filo rosso lega i manifestanti no green pass e i filoputiniani? Quale link c’è tra gli scettici sulla gestione pandemica e coloro che mettono in dubbio e contestualizzano a forza di “ma” e “però” la narrazione sull’Ucraina? La risposta potrebbe suggerircela addirittura il mitico Ivan Graziani

In Abruzzo c’è un’espressione dialettale molto precisa per descrivere chi si offende e si tira da parte, mettendo il muso. In tal caso si usa dire che l’offeso sia “andato in cascetta“.

Tale espressione trova le sue origini nell’800, quando i nobili pescaresi usavano girare per le campagne con la carrozza nei loro oziosi pomeriggi. Succedeva spesso che durante queste passeggiate, i giovani per intrattenersi finissero per sfottersi l’un l’altro, goliardicamente. Spesso gli scherzi diventavano pesanti, e poteva accadere che uno dei passeggeri, preso di mira dagli altri, si trovasse senza scampo e decidesse, offeso e risentito, di allontanarsi dalla vettura. Trovandosi però in aperta campagna e non potendo rimanere appiedato l’unica alternativa era andare sulla cassetta del vetturino, ossia la panca di legno esterna dalla quale si manovravano i cavalli. Ecco che dunque andare in cassetta, ovverosia in “cascetta” è divenuto sinonimo di offesa, di allontanamento volontario e scontroso.

Ebbene sembrerebbe che una buona fetta di italiani (pari circa al 20%, ma alcuni osservatori parlano anche di 40%) sia effettivamente del tutto andato in cascetta, da almeno un paio d’anni. Parliamo di gente che si è fieramente opposta al green pass, che perlopiù coincide con coloro che non hanno mai accettato l’idea di lockdown, e che ora trova ragioni e giustificazioni all’operato di Putin. Gente, che per dirla in breve, non crede più al mainstream.

Sembrerebbe proprio che questa gente non abbia mai mandato giù il lockdown iniziale, e se la sia presa talmente a male da essere definitivamente e irrimediabilmente andata in cascetta. Questa gente non ha voluto il vaccino, ha percepito il green pass come uno strumento di persecuzione, non intende condannare adeguatamente Putin. In sostanza sono andati in cascetta. Totalmente.

Ma davvero questa fascia di popolazione si è così brutalmente scollegata dalla realtà dei fatti? Davvero questi soggetti non sono più in grado di apprezzare gli input della società civile e assorbirli in modo adeguato?

Mi sono posto la domanda ascoltando Ivan Graziani, e il buon Ivan Graziani, da bravo abruzzese “forte e gentile“, mi ha riposto. Mi ha risposto a suo modo chiaramente, attraverso le strofe di una delle sue canzoni più mistiche e iconiche: “Fuoco sulla collina” composta nel 1979.

Ieri ho sognato un giardino
Nel sogno con me c’era un uomo
Lui mi girava le spalle
Solo perché non vedessi il suo viso.

Ti prego, lasciami andare
Ti prego, chiunque tu sia
Com’è che sei così cieco
Non vedi, c’è il fuoco sulla collina

E il fuoco proietta le ombre
Arrivano fino ai cancelli
L’eco rimanda i rumori
Non senti? Lassù si sta combattendo

Ivan Graziani colloca subito la storia all’interno di un sogno. Come a dire “occhio signori, qui entriamo nel campo delle allegorie e dei rimandi, ogni cosa ha un suo significato ma il significato è nascosto, suggerito dall’inconscio. Tutto è irreale ma suggestivo tanto da poterti influenzare al risveglio“. E prontamente ci viene esposto lo scenario di un giardino. Il giardino è il locus amenus per eccellenza (la palma nell’iconografia cristiana è il simbolo del paradiso), per gli antichi romani il giardino rappresentava la pace, il luogo sicuro dove la natura era serva dell’uomo e non viceversa.

Questa situazione di estrema serenità si trasforma facilmente in una situazione di insofferenza, di reclusione e di confino. In questo caso il locus amenus diventa ancora più claustrofobico a causa della presenza di un uomo e dei cancelli, simboli del controllo e della limitazione.

Il protagonista del sogno intravede uno scenario estremamente interessante e suggestivo fuori dal giardino, pericoloso ma attrattivo, e si prodiga per avvertire l’uomo/guardiano. In particolare l’io narrante vede del “fuoco“, il simbolo chiave sia del pericolo, sia della conoscenza, dell’emancipazione.

“Farò la strada del fiume
In un’ora sarò su al passo
Gli altri hanno già raggiunto la cima
Vedremo il fuoco sulla collina

E forse dopo canterò
A squarciagola canterò
A sedici anni correre senza fiato è dolce

A questo punto l’Io narrante è talmente gasato dal “fuoco sulla collina” che improvvisa un lessico quasi militare per descrivere la sua ideale sortita fuori dal giardino. Non a caso proprio in queste righe scopriamo che il narratore ha sedici anni, l’età in cui forse più spesso si sogna di andare fuori, di diventare qualcuno, di emanciparsi da se stesso e dalle proprie radici. Si preoccupa di restare indietro rispetto agli “altri“, i quali si teme che abbiano già raggiunto la “cima“, ossia la meta dell’evasione, il contatto col fuoco. Immaginare questo scenario mentre si è chiusi dentro un giardino con tanto di guardiano e cancelli è devastante. Per questo il narratore si spinge anche a immaginare un potente canto liberatorio veramente possibile solo fuori dal giardino.

Ma è a questo momento, al massimo dello spannung, che prende parola l’uomo, il guardiano, l’adulto in sostanza. Vediamo cosa dice.

“Illuso, romantico e fesso, lui mi rispose
I fuochi di cui stai parlando
Sono fari puntati sul campo
Dei trattori che stanno trebbiando

Altro che conoscenza, pericolo ed evasione. Il nostro Io narrante è vittima di sè stesso. Non viene neanche chiamato per nome ma con gli appellativi “illuso“, “romantico” e “fesso“. Tanta è la voglia di evasione che la fantasia gioca brutti scherzi, fa confondere l’ordinario con lo straordinario, il rumoreggiare di trattori con una battaglia e la luce di fari elettrici per fuoco selvaggio. Potremmo leggere questo svarione come metafora della voglia di molti giovani di emigrare dalla loro realtà provinciale per fuggire verso Milano, verso l’Estero, mete di una felicità spesso illusoria. Il nostro Io narrante dunque, bastonato dalle parole bonarie ma severe dell’uomo torna a riflettere tra se e se, riprendendo la strofa iniziale.

“Ieri ho sognato un giardino
Nel sogno con me c’era un uomo
Lui mi girava le spalle
Solo perché non vedessi il suo viso

Se fino a questo punto la lettura del brano risultava agevole anche se articolata, a mio avviso questa strofa finale rilancia alcune domande e lascia alcuni interrogativi aperti. Non si accenna più al fuoco, ci si riconcentra sul contesto iniziale: il giardino, l’Io narrante e l’uomo. Gli elementi fondamentali sono insieme sulla scena e convivono come portatori di realtà diverse. Noi spettatori prima ci siamo immedesimati col narratore, poi abbiamo convenuto con l’uomo presente nel giardino. Ma alla fine l’artista ci riporta su un punto essenziale. Noi di quest’uomo non vediamo il viso, ci dà le spalle. Come ha avuto modo di affermare Franco Nembrini (grande educatore e divulgatore della Divina Commedia) nella prefazione al suo commento al Paradiso di Dante : l’educazione è uno sguardo“. E pertanto ci si può fidare di una guida che non ti guarda negli occhi? Ci si può far illuminare de un padre che dà le spalle? L’uomo non si mette in gioco, rimane ancorato alla sua prospettiva della realtà, non si confronta davvero con il narratore, ma lo canzona con termini (illuso romantico e fesso) che sebbene non cattivi sono rivelatori di una visione del mondo antitetica, pragmatica, severa.

Ma quindi cosa c’è fuori dal giardino? Chi dei due protagonisti si illude?

Cosa c’è fuori dalla narrazione della nostra realtà, tornando ai nostri interrogativi iniziali?

Arrivati a questo punto non oso azzardare interpretazioni definitive del mitico brano di Ivan Graziani, che misterioso era e misterioso deve rimanere. Ma fatto sta che oggi nella nostra realtà c’è una frangia di “illusi, romantici e fessi” che vede il fuoco sulla collina, e che lo indica disperatamente agli altri. Ci sono soggetti che denunciano il nostro giardino, che vedono le ombre del fuoco proiettate sui cancelli, mentre l’altra frangia della popolazione rispetto a questi avvertimenti “gira le spalle” e “non mostra il suo viso“.

E’ probabile che “gli illusi romantici e fessi” siano andati in cascetta e non leggano più la realtà. E’ probabile che il fuoco non ci sia. Ma dovendo scegliere il proprio ruolo di esseri umani in questo tempo, domandiamoci ogni giorno se preferiamo essere dei “saggi girati di spalle” o piuttosto degli “illusi, romantici e fessi”.

Antonio Albergo

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