Scrivo quest’articolo domenica 24 maggio. E’ quasi sera, sono sul balconcino di casa con il pc davanti e distrattamente guardo la Maiella davanti a me (troppo lontana per distinguerla, ma abbastanza vicina per immaginarla). Sono particolarmente lieto. Non tanto per il caldo estivo, che si inizia a percepire ben oltre il tramonto, nè tanto per l’odore di gelsomino che mi arriva alle narici anche quassù. Il motivo è l’essere tornato dopo quasi tre mesi a vivere la santa messa domenicale nel mio quartiere. La parrocchia di San Giuseppe si trova in un modesto quartiere di Pescara, non esattamente centrale, ma a suo modo ricco di bar, negozietti, salumerie e barbieri dal sapore antico, a cui per lungo tempo è stato affibbiato l’appellativo “popolare”. Vivendo a Roma per buona parte dell’anno ho sempre trovato intrigante considerare questo piccolo quartiere una sorta di Garbatella di Pescara. La via principale è la Via del Circuito, nome che ho sempre trovato affascinante, quasi da millemiglia nostrana, da street americana. Il cuore del quartiere è però la Chiesa, situata nella piazza più ampia e verde dell’intera zona. Il nome della parrocchia coincide con il nome stesso del quartiere: San Giuseppe. Con la sua struttura ottagonale, si staglia con l’imponenza di una novella “Castel del Monte“, ma basta varcare la soglia che si scorge l’accoglienza tipica di ogni focolaio cattolico, come si può osservare dalla foto in evidenza. Entrando non si può non rimanere colpiti. Dietro l’altare non vi è il solito crocifisso, ma un’ immagine che considero di una bellezza e di una potenza disarmante. Gesù è un ragazzo, sui dieci, undici anni ed è con suo padre in una bottega familiare. Stringe in mano strumenti da artigiano, è dunque al lavoro, impara l’arte del falegname. I due sono vicini, San Giuseppe con il camice da lavoro, da buon padre e maestro offre al figlio un delicato abbraccio poggiandogli la mano sulla spalla. L’atmosfera è impregnata della letizia di un’ ordinaria giornata in famiglia, ma la decisione degli sguardi emana anche qualcos’altro: la consapevolezza che quella vita, così bella nella sua semplicità non durerà per sempre. Sullo sfondo della scena si apre una porta dopo la quale si intravede una lunga strada che si perde all’orizzonte. Sarà camminando lungo strade come quelle, tra la Giudea, la Galilea e la Samaria che quel ragazzo, tra i trenta e i trentatrè anni, cambierà per sempre la storia umana, tanto che ancora oggi distinguiamo un avanti Cristo e un dopo Cristo, che ci si creda o meno, che si accolga il suo messaggio nella propria vita oppure no.

Subito sotto il dipinto, l’ostensorio dorato, contenente l’eucarestia, è contornato da cherubini alati che emergono dal muro stesso. Sorrido ogni volta nel vederli. Ricordo che quando ero poco più che un bambino mi emozionavo nel vederli perchè mi riportavano la mente ai cherubini d’oro che sostenevano l’arca dell’alleanza nel bel film d’avventura “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta” che vedevo almeno un paio di volte a settimana. Sognavo di essere io il protagonista e di ritrovare (nel modo più avventuroso possibile) l'”Arca Perduta” proprio su quell’altare: d’altra parte la presenza dei cherubini deponeva chiaramente in tal senso. Fui molto divertito quando in età matura scoprii alcune teorie teologiche secondo cui l’ostia nell’ostensorio per il cristianesimo odierno è paragonabile alla presenza divina contenuta nell’arca dell’alleanza per l’ebraismo arcaico. “Allora ci avevo visto giusto da bambino” pensai ridendo sotto i baffi qualche anno fa nel leggere la notizia.

Aneddoti personali a parte, oggi sono tornato in questo luogo di culto, non tanto sulla scia dei ricordi o per la bellezza artistica (che forse colgo solo io, probabilmente un tecnico dell’arte mi riderebbe in faccia), ma da fedele. Senza finalmente il timore di un’irruzione delle forze dell’ordine, come è accaduto più volte (il caso clamoroso fu quello dell’ormai celebre Don Dino, famoso solo perchè c’è un video che lo testimonia, ma la stessa cosa è successa decine di altre volte solo che non ci sono video a mostrarcelo). I fedeli erano tutti opportunamente distanziati, tutti rigorosamente con la mascherina, gel di sicurezza presente alle entrate e anche personale apposito per indicare dove non passare e dove non sedersi. “Perchè solo oggi?” era la domanda che mi ponevo guardando attorno a me. “Ho visto molta più gente pericolosamente vicina nei supermercati o in fila per le botteghe di quartiere….. è davvero possibile che per l’accesso a certi luoghi si sia trovata una soluzione di compromesso e per altri no? Non si poteva applicare la stessa strategia ad ogni luogo di una certa metratura?“.

Probabilmente sì, probabilmente no……. taske force, vescovi, CEI e politici hanno provato senza risultati a ragionarci sopra, ben prima di me, per cui non entro in questa polemica, rimanendo così con il senso d’insoddisfazione che solo le occasioni perdute sanno regalare. Di certo però un messaggio da parte dello Stato è passato: “La messa è una cosa che può aspettare. La si può sentire anche in televisione. Basta pregare a casa. Non fate chiasso su questo punto per cortesia, fate gli adulti, fate i responsabili che ne va della salute di tutti“.

Un mio carissimo amico, lontano dalla fede cristiana, in una telefonata per risentirci mi ha chiesto “Ma perchè tutto questo rumore per la chiusura delle chiese? Scusa ma per un cristiano pregare in un luogo o pregare in un altro non è la stessa cosa?“. In quell’istante compresi qualcosa che in realtà è nell’aria da diverso tempo e che avevo notato già in molte altre occasioni senza focalizzarla: cioè che il cristianesimo è considerato sempre più come una religione puramente spirituale. E questo inizia ad essere pensato non solo da atei o agnostici, ma anche da alcuni cristiani. Infatti per il cristiano non esiste l’obbligo di pregare in una data posizione ad una data ora. Si può teoricamente pregare anche in bagno. Precetti “fisici” non ve ne sono. La vera fede è quella interiore. Più o meno il ragionamento che passa è questo.

Ebbene tutto ciò non è proprio corretto, o quantomeno lo è solo in una piccola parte. In realtà il cristianesimo è una religione “Sacramentale“, cioè basata sui sacramenti, ossia momenti fisici e concreti dove il divino interviene direttamente nella realtà umana. I sacramenti sono il battesimo, la cresima, la confessione, la comunione, l’ordinazione sacerdotale o il matrimonio a seconda dei casi e l’unzione degli infermi. In questi momenti non è il sacerdote ad intervenire, ma Dio stesso. Per il cristiano nella Confessione l’interlocutore non è il confessore, ma è lo Spirito Santo. Durante la messa di questa domenica ad un certo momento, mi sono inginocchiato, insieme agli astanti, davanti ad un pezzo di pane e ad un bricco di vino. In quel momento per me però erano qualcosa di più di semplici pane e vino, erano una Presenza, reale, concreta, divina e fisica allo stesso tempo. Sembra una roba da pazzi a descriverla così, ma è esattamente come vanno le cose ad ogni celebrazione eucaristica. E tra il prendere la comunione e il non prenderla vi è un abisso: non comunicarsi in alcuni casi è un obbligo, poterlo fare invece è la più grande esperienza della grazia divina che un cristiano può compiere su questa terra. Poter pregare in ginocchio innanzi a ciò che si crede essere il Motore Immobile della realtà è diverso dal farlo a casa sul divano. Confessare i propri peccati, e sentirsi confortare e poi perdonare dalla voce dello Spirito Santo in un confessionale non è lo stesso che pentirsi tra sè e sè in un muto dialogo interiore con la nostra proiezione di dio. Gli esempi potrebbero continuare ulteriormente……

Credo che la fede cristiana sia di quanto più Concreto e Fisico possa esistere. Anzi probabilmente è il credo meno teorico in assoluto. Non importa quello in cui credi e cosa dichiari di essere, conta ciò che fai, contano le tue opere. E per compierle secondo la volontà di Dio occorre vivere i sacramenti. Una vita da vero cristiano richiederebbe una confessione al mese, un’eucarestia quotidiana, uno spazio di preghiera ogni giorno, e una lettura personale periodica del vangelo, da affiancare alle altre letture di studio o di piacere. Senza questi passi, è difficile potersi definire davvero praticanti. Io stesso mi definisco non un “cattolico” quando me lo chiedono, ma un “peccatore cattolico”, perchè avverto che la mia vita è ben lontana dal rappresentare un accettabile modello cristiano……

In conclusione, la Chiesa cattolica, per la prima volta dopo quasi 1700 anni, è stata costretta a chiudere i battenti e a celebrare la Pasqua a porte chiuse. Questa cosa non accadeva dalla fine delle persecuzioni romane. E per un cristiano andare o non andare fisicamente a messa a vivere i sacramenti, non è la stessa cosa.

Uscendo dalla Chiesa di San Giuseppe, a fine liturgia, mi immergo nel piacevole sole di inizio estate, e contemplo il verde del quartiere. Lieto di essere tornato alla vera celebrazione cristiana, mi domando se questi tre mesi si sarebbero potuti affrontare diversamente, e forse più cristianamente……

Antonio Albergo

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