L’uomo è un animale sociale, ebbe a scrivere Aristotele nel IV secolo avanti Cristo, nella sua Politica. La tendenza ad aggregarsi, anzi il vero e proprio bisogno di socialità e di interazione contraddistingue l’uomo. Fa parte di lui in modo intrinseco.

Queste parole non mi hanno mai colpito tanto come in questi giorni. Passeggio per Roma in un mondo alienato. Pochi sguardi, nessuno sorriso. Solo passanti, volti coperti, anonimi. Ogni persona è un potenziale veicolo di virus. Pericolo. Tutto indica pericolo. E tutto questo movimento scandito da celerità e sospetto avviene sotto lo sguardo attento delle forze armate, che qui nella capitale si distinguono in ben sette corpi, a cui sia aggiunge ora anche l’esercito.

L’ultima decisione governativa è stata quella di imporre le mascherine anche all’aperto, norma che in Lazio era già in vigore dal 4 ottobre. Sarebbero molte le valutazioni da fare a tal proposito.

Si potrebbe dire che la mascherina è considerabile un trattamento sanitario obbligatorio e per questo non è imponibile con una decisione governativa, ma solo dalla legge parlamentare (come è stato appena riconosciuto dagli equivalenti dei Tar in Francia e Spagna)https://www.affaritaliani.it/esteri/mascherine-all-aperto-bocciate-da-strasburgo-pioggia-di-ricorsi-in-francia-692345.html.

Si potrebbe parlare dell’efficacia medica delle mascherine, dichiarata inutile negli spazi aperti sempre da più voci appartenenti al campo clinico, il cui unico scopo accertato sarebbe quello responsabilizzante e psicologico. https://www.secoloditalia.it/2020/10/la-microbiologa-gismondo-le-mascherine-allaperto-sono-inutili-e-controproducenti/

Si potrebbe osservare che la maggior parte delle mascherine ad uso civile non sono dotate della dichiarazione di conformità agli standard minimi europei, risultando così in modo oggettivo e ontologico inidonee alla limitazione del contagio.

Ebbene non parleremo di questi punti, che possono essere approfonditi altrove (i link proposti ne sono un esempio) nei molti luoghi di cultura sul web, dove persone più preparate di me muovono precise accuse e critiche oggettive. Quanto si vuole osservare con questo articolo è altro, e precisamente: se è vero che l’uomo è un animale sociale, allora cosa rimarrà quando si elimina la socialità?

Governo, telegiornali e giornali non fanno che alimentare la paura. La comunicazione governativa si è sempre retta in buona parte sulla paura di qualcosa. La paura compatta la cittadinanza e aiuta a sentirsi parte di qualcosa più grande, in nome del quale fare anche delle rinunce altrimenti inaccettabili. C’è stata la paura del blocco sovietico nel dopoguerra, la paura del terrorismo e dell’Islam a inizio millennio, la paura del diverso e dell’immigrato negli ultimi anni. E ora la paura del contagio. A nulla serve constatare che secondo le stime aggiornate al 10 ottobre 2020 più del 94% dei positivi è asintomatico. A nulla serve constatare che il restante 4% presenta sintomi che variano dalla semplice febbre a disturbi che richiedono ospedalizzazione (non sempre necessariamente intensiva). Inutile ragionare sul tasso di mortalità che al netto dei tamponi eseguiti risulta oscillare tra lo 0,4% e lo 0,7% a seconda delle stime (il che significa che probabilmente è più basso visto che lo si calcola sulla base dei positivi noti). Se poi fosse vero quello che l’ultima stima dell’OMS suggeriva, (https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/20_ottobre_07/coronavirus-oms-contagiato-10-cento-popolazione-mondiale-cd31d5dc-07f0-11eb-a1db-10b0d3200beb.shtml ) ossia che il 10% della popolazione mondiale ha già avuto il virus, allora la mortalità sarebbe pari allo 0,13% ossia inferiore addiruttura alla normale influenza del 2015. Ma dicevamo che tutto ciò è inutile. Paura e razionalità non dialogano.

La situazione è sicuramente da non sottovalutare ma non appare nemmeno tanto grave da giustificare significative restrizioni alla vita associata e alla libertà private. E invece, nel timore e nella paura, si accettano misure stranianti come quella di girare mascherati. Di salutarsi senza sorridersi. Di mantenere la “distanza sociale”, una delle espressioni più ossimoriche che io abbia mai sentito.

Cosa fa dell’uomo un essere rispettoso dell’altro? Il mantenersi lontano, per paura di un contagio? Il coprirsi accuratamente bocca e naso prima di avvicinarsi o di entrare? Il non sedersi vicino ad un altro sui mezzi pubblici? E’ questa la nuova via che impariamo a chiamare “rispetto” dell’altro?

No a mio avviso. Questo non è rispetto. Questa è il frutto della paura. Una Follia generata dal sonno della ragione. E quel che peggio è che è una follia legalizzata e dunque imposta. Imposta in modo tale da uniformare tutti, chi per paura del contagio, chi per paura della legge. Attraverso la paura si cambia la società. Durante il lockdown tante erano le paure e tante le incertezze. Non uscendo di casa e non avendo dati certi da consultare si finiva col vivere nell’ incertezza riguardo alle sorti degli “altri”, del “mondo esterno”. Oggi invece abbiamo qualche dato in più e possiamo guardarci intorno. E forse questa è una tortura ancora maggiore. Poter osservare con i nostri occhi una società prigioniera della propria distanza, forse mai davvero uscita dal lockdown.

Un caro amico mi ha confidato che fatica a non vedere negli estranei potenziali nemici. Un altro carissimo amico a sua volta mi ha confidato che a suo avviso una società “giusta” sarebbe una società in cui tutti si scaricherebbero l’applicazione di tracciamento “Immuni”. Ebbene che dire innanzi a tali affermazioni? Se la nostra percezione della realtà è arrivata al punto di pensare che una società giusta e altruista è una società tracciata, se si fatica a non vedere nemici nei passanti attorno a noi allora qual è il mondo che stiamo costruendo? Se si altera e stravolge il concetto di rispetto interpersonale scambiandolo con la distanza e il non avvicinamento allora cosa ci rimane? L’unica cosa che si può dire è che il concetto di umanità e di giustizia sta mutando, o forse è già mutato radicalmente.

Non so cosa stiamo costruendo, ma se questi sono i mattoni del nuovo decennio allora temo che Aristotele, dopo quasi duemilacinquecento anni inizi oggi ad avere torto. L’uomo del futuro non sarà un animale sociale. Sarà un animale socialmente distanziato.

Distanziato probabilmente dalla propria umanità.

Antonio Albergo

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Comments to: Se l’uomo cessa di essere un animale sociale
  • 11 Ottobre 2020

    Egregio Dott. Albergo, complimenti per la scelta degli argomenti da Lei scelti, sempre attuali e di elevato spessore. Mi viene in mente che un\’emergenza simile sia avvenuta anche durante i tempi di Marco Aurelio, con la peste antonina. In un mondo così vario è innegabile che ogni situazione possa essere interpretata in più di un modo. Quanto all\’uomo quale essere sociale si può pensare che in effetti ci si sta allontanando dalla socialità. D\’altra parte si può pensare che proprio per salvare la socialità bisogna essere disposti a fare dei sacrifici in questo periodo, tanto da appellarsi al detto \”il fine giustifica i mezzi\”. Che poi il vero fine sia questo e non un altro, lo si vedrà col tempo; che la competenza dei governanti di oggi non sia paragonabile a quella di chi ci ha preceduto – che ha dovuto gestire una crisi propagatasi in tre continenti – invece non è un mistero.

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