Domenica l’ho rivisto per bene, dal sellino della mia bicicletta, mentre gironzolavo per la campagna. L’ho rivisto come non mi accadeva da due mesi e passa: Sua Maestà Rupestre il Monte Rosa. Il Grande Ghiacciaio. Il Re delle Alpi Pennine. Una volta il grande Sebastiano Vassalli scrisse che il Monte Rosa è “dimora degli Dei e ombelico del mondo”. Per forza! A vederlo lassù, assiso su quello scranno di granito, tutto corazzato di nevi come un paladino, tutto tinteggiato dai bagliori rossastri del tardo pomeriggio, non puoi che scorgerci un’eternità fattasi roccia. Mentre noi quaggiù in pianura affrontiamo l’ennesimo sconvolgimento del Caso, questa volta una pestilenza; e invece lui rimane impassibile! Ma come potrebbe fare altrimenti colui che ha visto, ai propri piedi, Caio Mario marciare sui Cimbri e spazzarli via dalla Storia, o i lanzichenecchi di Ludovico il Moro difendersi dalle insidie di La Trèmoille, o quella battaglia di Novara che costò l’esilio di Carlo Alberto, il povero Re Tentenna? Questa nuova peste, poi, non ha ancora trovato il suo Manzoni, forse perché nell’era dei social la pandemia è diventata un caleidoscopio mediatico che abbraccia di tutto, dai tweet nevrotici del presidente USA ai video su Tik-Tok della generazione Z, passando attraverso il sensazionalismo dei grandi giornali e le triviali crisi d’astinenza (visiva) di qualche influencer. O forse è perché il capitalismo, bestia iper-adattabile, si è affrettato a sbranare questo povero virus, a trasformarlo in prodotto/risorsa da vendere ad un mercato le cui volte, ahimè, stanno crollando; non senza generare certe scorie come quelle pubblicità stomacanti, a tema Covid-19, che in sostanza ci rimbambiscono con il mantra “andrà tutto bene, ma intanto compra…” (metteteci il prodotto che meglio credete, funziona per tutti). 

Mentre faccio lo slalom tra signore attempate e branchi di famiglie, realizzo che In una manciata di settimane il sistema economico che anche io perpetro, come imprenditore, si è impossessato della malattia, l’ha metabolizzata e l’ha rigurgitata agli acquirenti con un entusiasmo da capogiro. Ed è, quella nel 2020, una peste che è ormai post-moderna: non ha una narrazione unificante ed edificante, non ha un Dio “ultore” che somministra il male per punirci e poi ce lo toglie in segno di grazia, ma a costo di indicibili lutti; non si spiega per via di una brutta congiunzione, una disdetta astrale (un “disastrum”, appunto; e siamo pure in anno bisesto!) che abbia fatto delirare la ruota della Fortuna; non imperversa sotto gli auspici della Provvidenza, che un tempo  guidava l’uomo di fede, i varî Renzo e Lucia, anche se un po’ acciaccati e amareggiati, attraverso le tribolazioni della vita. No: ci restano i complotti da osteria, i decreti-legge da telenovela e le interviste ai virologi. Questa è la nostra fede. Questa e’ la cornice e al tempo stesso il corpo narrativo del nostro personalissimo Decamerone.

Mi guardo attorno, cercando di alzarmi sul telaio della bici. C’è lo scacchiere d’acqua del mio “mare a quadretti”, le garze e gli aironi nelle risaie a caccia di raganelle, la Cupola di San Gaudenzio che staglia sull’orizzonte, come una gemma di pietra sulla corona delle Alpi. Sono moltissimi i concittadini che oggi stanno facendo jogging, vanno in bici e a passeggio, si siedono sulle panchine, fumano una sigaretta e, finalmente, si concedono qualche timida pacca sulle spalle, strette di mano che sembrano sberle, o addirittura abbracci, se la persona è particolarmente valorosa (o incosciente). Il DPCM del 4 maggio ha risvegliato una grande voglia di socialità vera, come di fatica e sudore, forse retaggio ancestrale dei nostri antenati della savana, che abbiamo surrogato nel ciclismo e nelle corse al parco. Lo si fa in barba alle varie gride del comune, della regione o nazionali; lo si fa in barba alla fifa nera per la malattia; pure in barba ai virologi e al telegenico premier Conte. Per ora va bene così. Per ora… e se poi risaliranno i contagi? Chi lo sa… Mia madre dice sempre che il futuro è in grembo agli Dèi, quindi dovrebbe aver fissato la sua sede legale/operativa proprio in vetta al Monte Rosa. Magari è per questo che non lo scorgiamo ancora, nascosto tra i ghiacci e le poiane… 

A questo punto della mia breve scampagnata per le risaie, tra le visioni alpestri e quelle umane, mi è rimasta in cuore una doppietta di domande che sparo in conclusione, e che magari si stanno ponendo un po’ tutti: premesso che il nostro modo di vivere occidentale, capitalista, consumista o come salcacchio lo cataloghiamo, ci impedirà di cambiare ad ogni costo (perché in un certo senso è sistema totalitario) quello che vedo consumarsi per le vie della mia città è uno sfogo oppure il primo vagito di un paradigm shift, uno slittamento nei nostri paradigmi culturali? E soprattutto, visto che la mobilità è stata la vittima più illustre del Covid-19, come cambierà dopo la pandemia il nostro approccio allo spazio comune, al patrimonio di tutti? Seenza contare che l’uso di quest’ultimo si è saldato con tematiche ambientaliste/ecologiste. Magari dopo quarant’anni di retorica sull’ambiente, sempre a metà tra l’apocalittico e il fricchettone, dopo l’ascesa messianico-profetica di una Greta Thunberg, ci siamo accorti che il mondo è cambiato veramente e che le pandemie hanno a che fare con il modo in cui viviamo, inteso come stile di vita e cittadinanza attiva. Il Monte Rosa, che guarda con sussiego dal suo trono, pare averlo sempre saputo, quasi fosse un concetto eterno racchiuso nel granito. Che furfante…  

Che poi, tutto bellissimo, ma a furia di ponderare questi alti concetti dal sellino della mia bici mi fanno davvero male queste sacre terga da pseudo-ciclista. Anduma a cà. Maestà, vi porgo i miei omaggi e, se i Vostri Dei capricciosi e beffardi lo concederanno, a presto rivederci!

Comments to: Un omaggio al re

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