La Redazione di Pensiero Divergente augura un Santo Natale a tutti i lettori che ci hanno seguito e supportato in questi primi mesi di attività. Grazie per esserci stati e grazie per averci fatto crescere parlando di noi, condividendo le nostre riflessioni, attraverso le vostre analisi, le vostre critiche costruttive o semplicemente con le vostre letture.

E’ un Natale diverso dal solito. Ma in questa occasione non si vuole indugiare su quanto non ci sia consentito fare. Tante volte ci si è scagliati contro la repressione delle libertà costituzionali, e si tornerà a farlo, ma non è questo il giorno. Oggi si vuole offrire una riflessione che vorremmo definire escatologica, basata sul Vangelo, che è la vera chiave della festa odierna .

Andiamo alle radici

Noi oggi siamo provati e umiliati da un Natale di divieti governativi, ma proviamo ad immaginare cosa sia stato per Maria e Giuseppe la notizia del Censimento romano. Il censimento era un ordine imperativo di una potenza occupante, severa e marziale come quella romana. Non ci si poteva sottrarre, e l’atto in sè significava che Roma voleva estendere la sua conoscenza su quei luoghi, apprendendo esattamente il numero delle persone sul territorio. Un censimento del genere è un’operazione mastodontica, che dava l’idea di un potere centrale invasivo e tentacolare e, cosa ancor peggiore, preludeva a una riorganizzazione dei tributi. Come se non bastasse non ci si poteva registrare ovunque, ma occorreva recarsi presso quello che noi oggi chiameremmo la “residenza” (un pò come facciamo noi oggi per votare). Pertanto Giuseppe e Maria dovevano spostarsi da Nazaret, Galilea, a Betlemme, Giudea, dove era originario Giuseppe. Si tratta di un viaggio di circa 150 km secondo gli stradari odierni. Considerando che la media umana a piedi è di massimo una trentina di chilometri al giorno, un tale viaggio costava minimo 5 giorni di cammino. Aggiungiamoci che Maria era incinta, negli ultimi giorni di gestazione per giunta, e che l’ordine di censirsi era irrinunciabile. Verosimilmente possiamo figurarci una prospettiva quantomeno difficile nei confronti del “governo” dell’epoca.

Probabilmente, fosse toccato a noi, ci saremmo scagliati contro il potere centrale, contro Dio e avremmo maledetto una sorte così avversa. Ma nulla di tutto ciò emerge dal racconto evangelico. La santa famiglia si mette in cammino, si piega all’ordine di Roma, confidando nella volontà del signore e nella provvidenza. Ma anche la fiducia nella provvidenza sarà probabilmente vacillata quando una volta arrivati a destinazione a Betlemme, nell’imminenza del parto, non si riusciva a trovare nè una locanda nè un albergo dove trovare conforto.

Proviamo di nuovo ad immedesimarci. Il sole è tramontato e nei momenti drammatici che precedono il parto, ci si trova in una città diversa dalla propria, senza amici o conoscenti a cui rivolgersi o su cui confidare, con tutti gli alloggi già occupati. Per una persona normale c’è un solo termine in grado di descrivere la situazione: disperazione. Non possiamo sapere cosa avvenne in quei momenti tra Maria e Giuseppe, non possiamo sapere cosa si dissero e cosa pensassero. Ma sappiamo come andò a finire. Il ritrovo di un alloggio di fortuna, un parto miracolosamente indolore, la visita dei pastori e un punto di svolta nella storia umana tale da modificare la stessa datazione del tempo. Un punto zero della storia, l’inizio di una nuova era di cui tutti noi siamo ancora parte.

Fosse stato un piano umano, fosse toccato a noi decidere come si sarebbe dovuto svolgere, probabilmente avremmo cercato di pianificare un parto in un luogo sicuro e confidenziale, circondati dalle premure di amici e parenti. Eppure il divino è intervenuto nelle vicende umane per raccontare una storia diversa, talmente potente da essere sconvolgente anche dopo 2000 anni. Il re dei re nasce in una stalla, rifiutato fin dai primi istanti di vita dalla società umana, che non trova a Maria un posto dove partorire. Eppure è proprio la stalla, nella sua povertà a rappresentare l’emblema del nuovo Re, venuto non per troni e per cavalcare cavalli in armatura pesante e paramenti fregiati, ma un Re venuto per gli ultimi, per i disperati, nato in una stalla, che si muove a dorso di mulo e accetterà la morte di croce.

E oggi?

Ma come affrontare il natale ora che siamo nel 2020? Come celebrare degnamente questa festa nel periodo della mascherina obbligatoria, del distanziamento sociale, del coprifuoco e del lockdown? Una risposta esatta manca, ma possiamo cogliere l’esempio di Maria e Giuseppe, i quali hanno patito un male (il viaggio causa obbligo di censimento) confidando nel Signore, confidando che da un male attuale potesse venire del bene, potesse realizzarsi un piano che umanamente non si potesse ancora apprezzare. Pertanto, per una volta, non si invita alla protesta intellettuale, ma a vivere queste limitazioni (profondamente ingiuste e incostituzionali agli occhi di chi scrive) con affidamento a Dio, il quale può ricavare il bene anche da un male in apparenza soverchiante.

La Grande Guerra e la “Treve de Noel”

Si desidera segnalare una storia realmente accaduta nel 1914, passata alla Storia come la “tregua di Natale“, uno dei più grandi miracoli della storia moderna. Siamo nel pieno della Grande Guerra, nel fronte delle Fiandre, dove si confrontano le forze inglesi e le forze tedesche. La durezza degli scontri e l’alienazione dei soldati sono rappresentati in modo magistrale da due film che la redazione si sente di raccomandare fortemente: il recente “1917” di Sam Mendes, e il datato ma modernissimo “Orizzonti di Gloria” di Stanley Kubrick. In uno scenario duro e alienante come quello della guerra di trincea la notte del 24 dicembre 1914 avvenne ciò che è conosciuto in tedesco come Weihnachtsfrieden e in francese comeTrêve de Noël.

Il fenomeno, iniziò con la “decorazione natalizia” della frontiera tedesca da parte dei soldati. Un certo numero di candele venne posto sui bordi della trincea e decorazioni di vario tipo furono imbastite alla bell’e meglio sul filo spinato. Gli inglesi rimasero dapprima a guardare incuriositi, pensando a qualche tranello tedesco. Poi con il calare delle tenebre, dalla frontiera tedesca si iniziarono ad innalzare canti tradizionali natalizi. A quel punto la reazione inglese fu spontanea e inarrestabile. Si iniziò anche qui a cantare, a rispondere non più al fuoco, ma al canto, alla necessità di calore umano. Dopo commuoventi e concitati minuti di canto corale e unisono tra i due schieramenti, la guerra era scomparsa. Tutti i soldati si erano riscoperti uomini davanti alla grazia del Natale. Il resto è storia.

Dapprima qualche coraggioso e poi in massa, quasi tutti i soldati attraversarono la zona di nessuno tra le due frontiere e si recarono dal “nemico”” per abbracciarlo. Ci furono scambi di doni improvvisati, perlopiù consistenti in tabacco, cioccolato e fiaschette di vino. Ci furono racconti di amori lontani e nacquero amicizie. I momenti più toccanti di questo miracolo sono ben descritti nelle lettere redatte di quei soldati, che descrissero il fatto ai familiari e che sono ben riportate da molti testi (uno dei più recenti è “La tregua di Natale, lettere dal Fronte” di AA VV pubblicato nel 2015).

I canti e la reciproca compagnia continuarono fino all’alba. Fu la più grande tregua non dichiarata della Prima Guerra Mondiale. Le ostilità tra questi due rami di frontiera non ripresero l’indomani. Nessuno dei due schieramenti aveva più intenzione di combattere ora che si era riconosciuto umanamente nell’altro. Unico modo per riprendere le ostilità fu la sostituzione degli uomini di quel tratto di trincea.

E’ interessante notare come la stampa, in particolar modo in Germania, cercò di censurare quanto accaduto. Un simile episodio di fratellanza e unità rischiava di far crollare la sovrastruttura ideologica su cui si reggeva la guerra. Lo stesso accadde purtroppo anche in Italia, divisa tra neutralità e interventismo. Ma nonostante la censura dell’evento all’epoca dei fatti, è rimasto uno degli eventi più significativi all’interno di un secolo tra i più bui per l’umanità. Pertanto se ci è stata fratellanza e umanità anche tra le frontiere di un guerra mondiale, noi non dovremmo farci scoraggiare dal lockdown.

Si conclude questa breve riflessione sul significato del natale con le parole di Gesù Cristo, che trent’anni dopo la sua nascita iniziò a cambiare il mondo. Quello che segue fu uno dei discorsi che più di tutti segnò l’inizio di una nuova era, diversa da qualunque cosa fosse accaduta in precedenza nella storia. E il tutto iniziò oggi, duemilaventi anni fa.

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.” Dal Vangelo secondo Luca

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Comments to: Buon Natale Divergente!
  • 25 Dicembre 2020

    Difficile accostamento tra l\’evento base della religione cristiana e l\’attualità risolto in modo brillante e profondo

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