In questo articolo dal titolo e dall’immagine enigmatica, cercheremo di ripercorrere il pensiero di Sant’Agostino lungo “Le Confessioni”: uno dei testi chiave per tutto il pensiero occidentale.

Ed ecco, ormai ero sui trent’anni e rimanevo ancora impigliato nel medesimo fango, avido di godere delle cose presenti, fuggenti e dispersive, mentre continuavo a dire cose come le seguenti.

Ecco domani troverò il vero.

Ecco domani mi si mostrerà in maniera chiara e io lo possederò.

Ecco verrà Fausto e mi spiegherà ogni cosa

Quanti di noi si sono detti, almeno una volta, queste stesse cose.

Quanti di noi cercano una verità, una pienezza, che però gli sfugge tra le dita e si ritrovano a dire “forse ci riuscirò domani” o “forse devo ancora parlare con quel tale che può illuminarmi“?

In questa ricerca della verità, della felicità e fondamentalmente della propria identità, Sant’Agostino ci ha preceduto. E non solo ci ha preceduto, ma ci ha anche lasciato una testimonianza concreta e sincera: “Le Confessioni“.

Ma che tipo di testo sono le “Confessioni“? E’ un’autobiografia? Un testo poetico? Un testo filosofico? In realtà nessuna di queste cose. E’ un dialogo sincero di un’anima con il suo Creatore. Un dialogo in cui l’anima ripercorre la propria ricerca, fatta di cadute e di ispirazioni, di peccati e di assoluzioni. Ma per comprendere davvero l’opera di Agostino, dobbiamo prima cercare di capire Agostino, e per capire lui dobbiamo comprendere prima ancora la sua epoca.

Agostino nasce all’interno dell’Impero Romano, nell’odierna Algeria, nel 350 dopo Cristo circa. Siamo in un’epoca in cui il grande splendore di Roma è terminato, ma in cui l’Impero Romano d’Occidente ancora regge, sia politicamente sia militarmente. La sua famiglia aveva mezzi modesti ma sufficienti a condurre una vita agiata, tantochè Agostino si può permettere i migliori studi, prima nella città natale e poi addirittura a Cartagine.

Sappiamo che la madre di Agostino, Monica (a sua volta considerata santa dalla Chiesa Cattolica) era molto religiosa e Agostino riceve da lei i suoi primissimi insegnamenti spirituali. Insegnamenti che ben presto Agostino dimentica, nella vita mondana che un giovane di belle speranze poteva permettersi all’epoca. Come lui stesso ricorda: “Mia madre voleva, e ricordo bene nel mio intimo con quanta sollecitudine mi ammoniva, che io non fornicassi, e soprattutto che non commettessi adulteri con le mogli di altri. Ma questi mi sembravano ammonimenti di una piccola donna, ai quali mi sarei vergognato di dare ascolto“.

Dunque la prima parte della giovinezza di Agostino trascorre nella pura ricerca del piacere, il tutto con la nobile scusa dell’apprendimento dell’arte oratoria, che lo portava a frequentare le più illustri piazze dell’epoca. A poco a poco Agostino inizia ad unire alla ricerca dei piaceri edonistici e carnali anche una ricerca filosofica- sapienziale. In lui c’è una sincera ricerca del bello e della bellezza, che lo porta ad approfondire tutte le sfumature dell’animo umano, ivi inclusi i suoi vizi.

Ma tutto ciò che Agostino cercava, non lo cercava di certo nella fede cattolica. Quella in un certo senso la aveva scartata a priori. Cerchiamo di capire perchè.

Si è detto che Sant’Agostino nasce a metà del 300 dopo Cristo. Quindi quando lui inizia la sua ricerca sono passati circa cinquant’anni dal famoso “Editto di Costantino“.

L’imperatore ancora precedente, Diocleziano, si era distinto per una ferocissima persecuzione contro i cristiani, ai livelli di quella di Nerone. E invece subito dopo di lui arriva Costantino, che con il famoso editto di cui sopra rende la fede cristiana tollerata dall’Impero Romano. Con Costantino dunque i valori cristiani diventano compatibili con l’Impero Romano, dopo ben trecento anni di persecuzioni. In seguito il cristianesimo diverrà addirittura la religione ufficiale dell’impero, ma questo avverrà solo nel 380 sotto l’Imperatore Teodosio.

Dunque per Agostino il cristianesimo era una religione ampiamente sdoganata. I cristiani di appena una generazione prima avevano dovuto vivere la stessa fede come ricercati e professarla come martiri. Essere ordinati Sacerdoti equivaleva ad essere spie sotto copertura in territorio nemico e diventare Vescovo era una sicura condanna a morte.

Ma ecco che invece nella generazione di Agostino, tutto ciò era solo un lontano ricordo. Iniziavano a morire di vecchiaia gli ultimi uomini che avevano sperimentato sulla loro pelle le persecuzioni di Diocleziano, e la fede si era normalizzata. Essere sacerdote iniziava a diventare un mestiere come un altro. Inoltre ora che di cristianesimo si poteva parlare pubblicamente, iniziavano a fiorire eresie di ogni tipo, con la conseguenza che vi erano mille cristianesimi, tutti però senza personalità e la vera Chiesa di Cristo, Luce delle Genti, era offuscata da mille fiaccole. Inoltre i culti dell’antica Roma, seppur continuati ad essere praticati dalle più alte classi sociali romane avevano perso il loro mordente: erano ormai più delle tecniche esoteriche che veri e propri culti in grado di offrire verità e salvezza.

Dunque la generazione di Agostino è una generazione peculiare, forse unica della storia, quella che vede il tramonto degli dei pagani da un lato, l’affermarsi del cristianesimo dall’altro, rimanendo però nel mezzo.

Il mondo che circonda Agostino inizia ad essere lentamente permeato da valori cristiani, portati avanti sinceramente da fedeli quali sua madre Monica, ma il mondo economico, politico e sociale in cui cresce è ancora imbevuto dei valori della Roma Antica: culto della violenza e del sesso, con feste pubbliche corredate da orge e giochi gladiatori. Agostino cresce così in un mondo sull’orlo tra due universi incompatibili tra loro. E questo stare nel mezzo non gli rende affatto appetibile la fede cattolica.

Fosse vissuto sotto Domiziano, Agostino, a mio avviso, con il suo carattere e la sua sincerità d’animo sarebbe stato o il più feroce dei persecutori o il più nobile dei martiri. In un tempo forte si sarebbe sicuramente schierato con decisone, senza esitazioni. Ma lui vive un tempo di transizione, nel quale la sua ricerca risulta più lunga e travagliata.

Evitando il Cristianesimo Agostino segue la corrente filosfico-religiosa più alla moda allora, il manicheismo, dedicandovi nove anni della sua vita. Nel frattempo diventa un brillante retore e insegnante di retorica, e il suo lavoro lo porta a Milano, seguito dalla madre Monica rimasta vedova.

Qui per lavoro riesce a fare la conoscenza di una delle grandi personalità della sua epoca, Ambrogio, vescovo di Milano (venerato anch’egli come santo dalla Chiesa). Esperto e appassionato di retorica, Agostino rimane illuminato dalle prediche pubbliche di Ambrogio, non tanto per il contenuto, che ignora, ma per la forma. Agostino inizia a dunque a frequentare Ambrogio non da fedele, ma da professionista, per imparare da lui. A tal proposito Agostino dice: “Quell’uomo di Dio mi accolse paternamente e, da buon vescovo, gradì la mia venuta. E io incominciai ad amarlo, in un primo momentio non come maestro di verità, che io non speravo di trovare nella Tua Chiesa, ma come uomo che mostrava benevolenza su di me“.

Quando nella vita di ognuno di noi può davvero esserci una svolta? Quando si legge un libro significativo? Certamente quello può dare grandi chiavi di lettura sulla realtà, ma difficile che produca una svolta esistenziale. Allora quando si ha un’idea geniale? Non proprio, l’idea va poi messa in pratica e si deve scontrare con i fatti. L’unica vera svolta possibile nella realtà umana è quella dell’incontro. Solo l’incontro con un’altra persona, fisica, con cui dialogare, entrare in contatto, può aprire strade fino a poco prima non percorribili.

Quanti di noi hanno amato una materia perchè leggevano la passione negli occhi di chi era chiamato ad insegnargliela? E quanto è vero anche il caso opposto? Quanto si può finire con l’odiare una religione intera solo perchè se ne sono conosciuti cattivi esponenti? E quante conversioni può generare anche una sola opera buona?

Anche Agostino fa questa eperienza di incontro: “Per quanto io non mi preoccupassi di imparare le cose che egli diceva, ma solo di ascoltare come le diceva, entravano nella mia anima, insieme alle parole che mi piacevano anche i contenuti che trascuravo. Non riuscivo infatti a separare le une dagli altri. E così mentre aprivo il cuore per accogliere le belle parole che diceva, entrava insieme ad esse anche la verità che diceva, però a poco a poco.

Passo dopo passo, grazie all’amicizia con ambrogio, Agostino inizia a riscoprire, o meglio a scoprire davvero per la prima volta, il vero contenuto della fede cattolica. Tutto quello che credeva di sapere su Cristo si rese conto che era solo fumo; la bellezza della rivelazione cristiana iniziava solo allora a toccarlo nell’intimo.

Ma troppo Agostino era ancora legato alla vita pagana e mondana tanto da dire “La dottrina cattolica, pertanto, mi appariva non vinta, però non risultava ancora vincitrice“.

In questo momento così delicato della storia di Agostino si inserisce la Macrostoria con i suoi eventi. Siamo a Milano nel 386, Agostino ha 33 anni, è un affermato professionista dell’oratoria e si trova sull’orlo della sua conversione. In quel frangente qualcosa di grosso accade nella città. L’imperatrice Giustina sposa le tesi dell’arianesimo, una delle più potenti eresie dell’epoca, e decide che una delle più note basiliche di Milano fosse ufficialmente deputata alla fede ariana, così legittimandola a livello imperiale.

Ambrogio allora, forte della sua autorità di Vescovo, in difesa della Vera Dottrina della Chiesa Cattolica decide a sua volta di occupare questa basilica, sfidando l’Impero e le guardie imperiali, per impedirne la confisca.

Fu una piccola cornice di persecuzione in un tempo altrimenti votato alla pace. Ambrogio resisteva da giorni, nell’occupazione della basilica, aiutato dai fedeli più coraggiosi (in primis da Monica, la madre di Agostino).

Agostino non ci racconta il suo ruolo in quelle giornate difficili. Si limita a dire di se che “Anche se ero ancora freddo al calore dello Spirito, ero tuttavia scosso dallo sbigottimento e dal turbamento della città“.

Sicuramente vicino come ormai era alla fede cattolica avrà avuto un ruolo di rilievo in quelle giornate, tantopiù che il capitano dell’occupazione era il suo mentore Ambrogio e sua madre era in prima fila a costo della vita.

In quelle notti di occupazione, con fuori dalla basilica la folla ariana e la guardia imperiale, Ambrogio, per tener desto il popolo che era con lui, pensò di far pregare Inni e Salmi cantando, usanza che si è tramandata da quelle giornate decisive fino ad oggi.

E’ mia immaginazione che quei giorni di strenua occupazione siano stati fondamentali per il percorso di Agostino, vissuti tra canti di speranza e disperazione, con la fede dolce e umile di sua madre da un lato e la fede virile e forte di Ambrogio dall’altro. Come si concluse quella memorabile vicenda non sto qui a raccontarlo, per non allungare troppo il brodo. Il lettore curioso saprà scoprirne a propria cura il miracoloso finale.

Ad ogni modo, la continua ricerca di Agostino prosegue implacabile. Ormai si è reso conto delle menzogne del Manicheismo, parimenti ha scartato l’Astrologia, il Paganesimo e l’Epicureismo.

E’ rimasto solo il cristianesimo davanti a lui. Il problema è che il cristianesimo, se vissuto veramente, è una fede radicale. E questo Agostino lo sa bene. Dirsi cristiano vuol dire applicare il Vangelo alla propria vita, vuol dire seguire e imitare Cristo, in un percorso fatto di amore e altruismo, che può includere anche la croce e il sommo sacrificio di sè.

Agostino sa bene queste cose e la sua coerenza gli impone di non professarsi cristiano finchè non sarà pronto a vivere davvero in quel modo. “Ormai io avevo trovato la perla preziosa, e avrei dovuto comprarla, dopo aver venduto tutto quello che possedevo. Eppure esitavo a farlo.” Inizia così la fase più dura del suo discernimento: Agostino ha individuato il Bello e il Vero. Ma ora deve fare il salto definitivo per raggiungerlo e lasciare alle spalle la sua vecchia vita.

Una sera Agostino la passa nel suo studio con i suoi amici cristiani a conversare sulla bellezza della conversione. Terminata l’intensissima chiacchierata rimane solo con il suo fraterno amico Alipio. Agostino è ormai sulla soglia esistenziale della sua nuova vita. “Allora in quella grande rissa della mia casa interiore (…) nel mio cuore, sconvolto nel viso e nella mente, piombo su Alipio e gli dico quanto segue –Noi cosa vogliamo fare? -“.

In questa semplice frase si nasconde tutto il dramma umano, di Agostino e nostro. Davanti a certi fatti della nostra vita, davanti a certe situazioni, siamo chiamati a prendere posizione. Siamo chiamati chiederci sinceramente “ma noi cosa vogliamo fare?“. Questa è la domanda, questo è il grido che Agostino lancia prima della sua crisi spirituale finale.

Fuori di se dal combattimento interiore Agostino esce allora dallo studio dove sedeva con Alipio e si nasconde nel giardino interno della Domus. Lo struggimento interiore provato in quel momento paralizzava Agostino, in bilico tra due possibilità di vita totalizzanti: cristiana o pagana.

Ma quando, da un’arcana profondità, una elevata considerazione fece emergere e radunò al cospetto del mio cuore la mia miseria tutta quanta, scoppiò una grande tempesta, che portò ad un grande rovescio di lacrime. (…) Io mi gettai a terra sotto un albero di fico e, non so come, sciolsi le briglie alle lacrime, che proruppero dai miei occhi a fiumi, sacrificio a Te gradito. (…) Io mi sentivo ancora vincolato dalle mie iniquità. Lanciavo grida pietose (…) e piangevo con contrizione amarissima del mio cuore. Ed ecco dalla casa vicina sento una voce, non so se di un fanciullo o di una fanciulla, che diceva cantando, e ripeteva più volte: –Prendi, leggi, prendi, leggi-. Mutai subito aspetto e iniziai a pensare in modo assai intenso se in qualche loro gioco i ragazzi ripetessero qualcosa del genere, ma non mi tornava alla mente di averla mai sentita. Dopo aver represso l’impeto delle lacrime, mi alzai, interpretando quella voce come un comando divino di aprire il Libro e di leggere il primo capoverso che avrei trovato. (…) E così lo presi, l’aprii e lessi in silenzio il passo sul quale per primo caddero i miei occhi: – Non nelle gozzoviglie, non nelle alcove e nelle impudicizie, non nella discordia e nell’invidia, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non assecondate la carne nelle sue passioni– Non volli leggere più avanti e non ce n’era bisogno. Appena ebbi finito di leggere questo passo, infatti, si dissiparono tutte le tenebre del dubbio, come se nel cuore fosse entrata la luce della certezza“.

Più di dieci anni di ricerca della bellezza e della verità trovano infine compimento in quella notte, in cui Agostino abbraccia intimamente il cristianesimo. Da quel momento si distinse nella fede come pochi altri uomini nella storia della Chiesa. Ma la grandezza che verrà, deriva dalla fatica della sua ricerca. Agostino ci ha messo la faccia, sempre, e il suo più grande pregio fu la sincerità con se stesso. La sincerità davanti ai suoi limiti, ai suoi dubbi, ai suoi peccati. E proprio in questa sua sincerità, nei suoi limiti, dubbi e peccati che ha scoperto Dio. Ma lui lo ha sempre cercato.

Il giorno in cui scrivo queste parole è il due marzo, e il vangelo di oggi, di Matteo, dice proprio questo: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.
Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!

Chiedete e vi sarà dato! Cercate e troverete! Ma è proprio la storia di Sant’Agostino! E qual è invece la nostra storia? Cosa cerchiamo? Cosa chiediamo? A cosa orientiamo la nostra vita?

Agostino ha votato la sua ad una sincera ricerca che è culminata nella conversione del suo cuore. La più grande avventura umana è proprio questa, sapersi lasciar stupire, sapersi arrendere alla bellezza tanto cercata. Torniamo in un certo senso alla vicenda dell’Odissea, recensita il mese scorso. Anche in quel caso il vero fulcro di tutta la vicenda era la conversione del cuore di Penelope; era quella l’unica e vera avventura di Ulisse, il resto non era che contorno.

L’unica vera avventura umana è la conversione del proprio cuore. Ma chiaramente ciò può avvenire solo se abbiamo il coraggio di cercare, cosa che può comportare messe in crisi e la perdita di molte certezze. In questo le ricerche di Ulisse e Agostino possiamo vederle come gemelle, nonostante le notevoli differenze: la ricerca di Ulisse è letteratura, quella di Agostino è storia, la prima è rivolta a riscoprire l’amore umano, la seconda l’amore divino, ma in entrambi i casi non importa la durezza del cammino o la lunghezza della via. In entrambi i casi ciò che conta è la sincerità della ricerca.

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