Può aver senso oggi rileggere un testo che già abbiamo tutti ampliamente studiato, commentato e tradotto? A voi il piacere della scoperta.
Nella vita di ogni uomo ci sono diversi passaggi chiave.
Leggere l’Odissea penso che sia uno di questi. Ma andiamo con ordine.
Tutte le cose belle della vita accadono per caso, o apparentemente per caso. E fatto sta che, appunto per caso, a novembre entrai in possesso di due biglietti per andare a sentire al teatro Circus di Pescara Alessandro D’Avenia, che veniva a tenere uno dei suoi monologhi.
Non potei non accettare.
Durante il discorso, un D’Avenia vibrante d’emozione si lasciò sfuggire qualche parola sul libro a cui stava lavorando, ossia una rilettura dell’Odissea. Le sue parole commuoventi descrivevano un Odisseo completamente diverso da quello che io conoscevo. La cosa mi colpì profondamente.
Di recente infatti mi ero dedicato ad una rilettura della Divina Commedia e ricordavo un Ulisse ben diverso. Il mio Ulisse era insofferente ad Itaca. Un Ulisse che sente continuamente il richiamo ad andare via, che non riesce ad essere se stesso in una dinamica familiare. Questo è l’Ulisse che conoscevo e con il quale avevo anche sinceramente empatizzato per molti anni.
Non a caso Dante lo fa parlar così di se e del suo desiderio: “né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre, né ’l debito amore / lo qual dovea Penelopé far lieta/ vincer potero dentro a me l’ardore / ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, / e de li vizi umani e del valore” .
Questo era il mio Ulisse: un Ulisse che non può commuoversi o tirarsi indietro nè davanti alla dolcezza del giovane figlio, nè innanzi alla vecchiaia del padre, nè tantomeno per l’amore aperto di Penelope. Più forte è in lui l’ardore di diventare esperto del mondo, di guardare in faccia tutto il suo male e il suo bene.
Tornato a casa quella sera stessa, riaprii l’Inferno e rilessi il canto di Ulisse. Del personaggio di cui aveva parlato D’Avenia non c’era effettivamente alcuna traccia. Ma indagando più a fondo ho scoperto la prima cosa notevole. Ossia che Dante non aveva mai letto l’Odissea.
All’epoca il testo di Omero era considerato perduto, quasi leggendario, le avventure di Ulisse si tramandavano oralmente. Dante dunque si appropriò di un personaggio dai contorni sfocati e ne diede una propria chiave di lettura, di notevole valore drammatico. Ma l’Ulisse di Dante e l’Ulisse di Omero sono dunque personaggi nettamente distinti.
Decisi allora di recuperare direttamente l’Odissea e vedere cosa mi ero perso di quello che consideravo il mio personaggio letterario più affine.
A conclusione della lettura posso dire con certezza una cosa: se Dante avesse potuto leggere l’Odissea che ho letto io avrebbe parlato di Ulisse in modo molto diverso.
Ci sarebbero moltissimi elementi da tirare fuori, ma cercheremo di limitarci alla rianalisi divergente di tre punti fondamentali. Ossia 1) il vero focus del racconto; 2) il viaggio spirituale di Ulisse e 3) il punto di vista di Penelope.
Disclaimer: i nomi Odisseo (greco) e Ulisse (latino) sono usati indifferentemente per riferirsi allo stesso soggetto.
1) Il vero focus della narrazione. Di solito si considera l’Odissea come il racconto di un viaggio. E questo è un errore. E’ il racconto di un Ritorno. Tutti conosciamo le peripezie del buon Ulisse, in molti potrebbero citarle anche a memoria: il Ciclope, la Maga Circe, le sirene, Scilla e Cariddi…… Eppure tutto questo viaggio non occupa che 4 capitoli, su 24 totali.
Omero menziona queste traversie, ma non ci indugia. Il cuore della narrazione non è il viaggio in sè, non è quello ciò che interessa all’autore. Il cuore della vicenda è il ritorno.
Di fatti l’Odissea non è ambientata in mare, è ambientata ad Itaca. Ad Itaca si svolgono i primi capitoli, ad Itaca arriva il protagonista già poco prima della metà del testo.
Questa per me è stata la prima grande sorpresa. Avevo sempre visto questa storia come una lunga serie di peripezie, che alla fine culminavano, come una sorta di Bonus, in un ritorno a casa giusto per dare quel senso di “e vissero felici e contenti“.
Probabilmente dello stesso mio avviso fu Dante, visto che al suo tempo si raccontavano più che altro le peripezie di Ulisse. Il voler tornare ad Itaca era più una giustificazione narrativa che il fulcro della vicenda. Probabilmente per questo Dante ne fece la lettura che tutti sappiamo.
Invece le pagine più cariche di dramma e sentimento sono proprio quelle in cui Ulisse, dopo essere finalmente approdato alle sue spiagge, si chiede come possa fare a recuperare la situazione. Infatti ormai è vicino geograficamente ma lontanissimo esistenzialmente.
2) La ricerca spirituale di Ulisse. La prima volta che il protagonista viene inquadrato lo vediamo su di uno scoglio dell’isola di Ogigia, mentre scruta il mare, ed immagina la sua vita ad Itaca, oltre l’orizzonte.
Un’immagine di una potenza a cui forse può avvicinarsi solo il celebre dipinto “Viandante sul mare di nebbia” di Friedrich. Calipso lo sta cercando e Omero dice che “lo trovò sulla riva, seduto: con gli occhi sempre bagnati di lacrime, consumava la vita, sospirando il ritorno“.
Attraverso le peripezie che tutti conosciamo, Odisseo riesce poi a ritornare ad Itaca, ma noi ora sappiamo che è solo in questo momento che inizia la vera avventura.
La situazione a casa è totalmente a suo sfavore. Molte cose sono cambiate, i cuori sono mutati, troppo a lungo è durata la sua ricerca. Non può scoprirsi subito, metterebbe a rischio anche la sua incolumità. Deve procedere con estrema cautela, comprendere di chi fidarsi e provare a leggere nei cuori.
Ma l’Ulisse che arriva ad Itaca non è solo un eroe che ha affrontato un viaggio avventuroso. Non è semplicemente un “grande bomber” arrivato a riprendersi ciò che vuole. E’ un uomo che attraverso tutto il suo viaggio è stato impegnato in una continua ricerca interiore.
Se nell’Iliade vediamo gli dei partecipare fisicamente agli scontri sul campo di battaglia e cambiare gli esiti dei duelli, qui il rapporto con gli dei è, passatemi il concetto, proto-cristiano. Le divinità non intervengono così prepotentemente come nell’Iliade. Tutti i personaggi che le cercano, Telemaco, Penelope, Ulisse, tentano un dialogo con loro, fatto di preghiere e lacrime, nel tentativo di capire quale sia la loro volontà.
Odisseo nei suoi momenti più tragici, quelli in cui non vede alcuna soluzione, prega. Prega déi invisibili, osserva la realtà per trarne insegnamento, e affida il suo ritorno alla provvidenza.
Questo emerge chiaramente in uno dei passaggi più drammatici della vicenda. Odisseo è già ad Itaca da qualche tempo, ma non si è ancora svelato a nessuno, sta valutando attentamente la situazione. Incontra però Telemaco, suo figlio, e decide di rivelarsi a lui.
Il momento è commuovente e intenso. Dopo i cari saluti, Odisseo lo interroga per prendere piena consapevolezza della situazione e gli chiede:
“Orsù, nomina i pretendenti, affinchè io sappia quanti e quali uomini sono. E dopo aver meditato in cuor mio deciderò se potremo affrontarli noi due soli senza l’aiuto di altri o se altri dobbiamo cercare” .
A lui rispose il saggio Telemaco “Padre mio, della tua grande fama ho sempre udito parlare, che eri un grande guerriero e un consigliere sapiente. Ma troppo audace è quello che hai detto, lo stupore mi vince. Non è possibile che due uomini soli si battano con forti e numerosi nemici. Non sono in dieci i Pretendenti e nemmeno in venti, ma molti di più. Cinquantadue di Dulichio, giovani scelti, con sei servitori ciascuno; ventiquattro da Same; venti figli dei Danai sono venuti da Zacinto; dodici da Itaca stessa, tutti dei più nobili. Con loro ci sono l’Araldo Medonte, il divino cantore e due servi, abilissimi a tagliare la carne. Se li affrontiamo tutti temo che per vendicare gli oltraggi pagherai un prezzo amaro, tremendo. Pensa dunque ad un difensore che ci possa aiutare con animo amico”.
Rispose a lui il paziente Odisseo “Io ti dirò, e tu ascolta e comprendi: dimmi se potranno bastarci la divina Atena e suo padre Zeus o se a qualcun altro devo pensare“.
Questo è l’Odisseo di Omero.
Telemaco giustamente espone la situazione senza imbellirla: impossibile uscirne.
Invece Ulisse sa che non è impossibile. E’difficile, ma non impossibile.
Inoltre il protagonista non risponde al figlio con una spacconata del tipo “amich! guarda che io ho preso Troia con un cavallo di legno“; oppure “lo zi, guarda che so cecat lu ciclope“. Avrebbe ben potuto dare risposte simili, anche a buon diritto. Invece questo Odisseo è ben consapevole dell’ampiezza del problema, non intende minimizzarlo e non conta solo sulla sua forza o astuzia.
Lui veramente mette in campo Atena e Zeus. Sa che gli dei, la Provvidenza diremmo noi, lo hanno accompagnato lungo tutto il suo percorso e se ora lo hanno portato lì, in quella situazione disperata è perchè può affrontarla. Deve affrontarla.
Non sa ancora come farà, e non conta solo su se stesso. Quello che sa è che può confidare negli dei. Non in senso fisico, ma davvero in senso provvidenziale. Questo è quanto ha imparato nel corso della sua lunga ricerca.
Ed è con questa consapevolezza nel cuore che, nei capitoli successivi, si presenterà al cospetto dell’amata Penelope.
3) Il punto di vista di Penelope. Il cuore di una donna è un mistero per tutti gli uomini, dall’alba dei tempi fino alla fine del mondo, anche per coloro che la amano, e per alcuni aspetti, anche per lei stessa.
E tra tutti i personaggi che la narrazione comune rischia di banalizzare, quello che ne esce peggio temo sia proprio Penelope. Infatti di lei abbiamo un’immagine idilliaca, senza macchia. E’ semplicemente colei che ha atteso Ulisse, per 20 anni, a dispetto di tutto e tutti.
Invece non è proprio così, e il suo personaggio ha delle sfaccettature che solo un fine conoscitore dell’animo umano poteva dipingere.
Al momento della partenza per la guerra, Ulisse aveva ricevuto vaticini da un oracolo. Sapeva che lo aspettava un lungo tempo di prove dall’esito incerto, e amando con sincerità la sua amata, la aveva lasciata libera.
Questo il suo ultimo discorso: “Moglie mia, io non credo che gli achei dalle belle armature ritorneranno tutti salvi da Troia: dicono che i Troiani siano forti guerrieri, abili con le lance e a scagliare frecce. Per questo io non so se gli dei mi faranno tornare o se sarò ucciso lì. Tu qui abbi cura di tutto. Bada al padre e alla madre come fai ora, e anche di più mentre sono lontano. Ma quando vedrai spuntare la barba sul volto del figlio sposati con chi vuoi e lascia questa tua casa.”
Fondamentalmente Odisseo la scioglie dalle promesse nunziali. Non vuole una donna infelice, ma una donna libera che può fare le sue scelte. Solo questa è la donna che Odisseo avrebbe potuto amare con sincerità se mai fosse tornato.
E quando inizia la narrazione, il loro figlio Telemaco è ormai adulto. Penelope è sciolta dal sacro legame e per lei si è aperta una nuova fase.
E quando finalmente Ulisse stesso le si ripresenterà davanti per la prima volta, dopo tutto il suo percorso, lei non lo riconosce.
E’ vero che Ulisse in quella circostanza si era travestito da mendicante ed era stato via a lungo, ma se Penelope lo avesse davvero desiderato giorno e notte come è possibile che non lo abbia riconosciuto?
Non ha senso, anche perchè, per esempio, la vecchia serva Euriclea appena lo vede dice “Molti stranieri provati dalla sventura sono giunti in questa casa, ma nessuno, dico nessuno, così somigliante ad Odisseo a vedersi nel corpo, nella voce e nel passo come te.“
Com’è dunque possibile che un’anziana serva appena lo vede arrivare lo sgami subito mentre la sua amata Penelope, che lo interroga a lungo, non intuisca la sua presenza?
La risposta ce la dà Penelope stessa, in un momento precedente del libro. Un viandante le aveva detto che confidava nel ritorno di Odisseo, al che lei aveva risposto amara “Se ciò che dici si compisse straniero! Ecco invece come sarà, così io penso nel cuore: Odisseo non tornerà.”
E’ evidente che Penelope, nel suo cuore, ha escluso questa possibilità.
Ha indurito il suo cuore, per proteggersi da una ferita forse troppo grande per alimentarla con false speranze.
Per questo può vedere, addirittura dialogare a lungo con Ulisse senza realmente riuscire a sentire quello che lui rappresenta per lei.
Quando ami una persona, la conosci e la sai riconoscere.
Evidentemente Penelope in quel momento aveva deciso di non amare Ulisse e questo le impediva di riconoscerlo come il suo amato.
Lo spannung della vicenda, l’apice del dramma, viene raggiunto nel capitolo XX “La Vigilia“, ossia la notte precedente al gran finale.
Quella notte Odisseo, ancora travestito da mendicante, rimane a dormire come ospite nel salone della sua casa. Tutti sono ignari della sua identità, salvo come si è detto, suo figlio Telemaco e la anziana serva.
In quella giornata Odisseo ha finalmente rivisto la sua amata, che non lo ha riconosciuto e ha avuto un primo confronto con i proci.
Il sonno è dunque il più amaro: “Come un uomo volta e rivolta sulla fiamma ardente una salsiccia piena di grasso e sangue, impaziente che sia presto arrostita, così da una parte all’altra si volgeva Odisseo“.
Ha finalmente fatto ritorno a casa e proprio adesso le probabilità di riuscita sono prossime allo zero. Cosa può fare davanti al fatto che la sua Penelope non lo riconosce e davanti a così tanti avversari? Si strugge interrogando gli dei: che senso ha avuto tutto il suo percorso, il suo viaggio, la sua ricerca, se ora che aveva ritrovato la sua amata non poteva riaverla? Perchè gli dei lo avevano condotto dopo tanta strada a quel punto così doloroso?
E’ una notte di angoscia senza soluzioni.
Intanto al piano di sopra, nel talamo nunziale, Penelope vive una notte molto simile. Ha atteso troppo. L’indomani prenderà una scelta irrevocabile. Sceglierà un altro uomo che prenderà definitivamente il posto di Odisseo nella sua vita. Ma è una decisione che non può prendere senza un grave dolore e pensa: “si sopporta il dolore quando di giorno uno piange col cuore oppresso di pena, ma di notte lo vince il sonno, il sonno che fa scordare ogni cosa, buona o cattiva. Ma a me gli dei inviano anche sogni crudeli: perchè questa notte ha dormito accanto a me uno simile a lui, a lui com’era quando partì con l’armata; e io ero felice perchè non pensavo che fosse un sogno ma realtà“.
I due amati sono contemporaneamente alle prese con dubbi e strazi, ma infine sorge il sole.
Il tempo d’attesa è terminato.
Il tempo della verità è finalmente giunto.
Il resto è storia, da più di duemila anni.
Rimane da considerare però che Penelope non riconoscerà l’amato nemmeno quando lui vincerà la celebre sfida dell’arco ed affronterà e sconfiggerà i Proci. Per lei rimane null’altro che un viandante coraggioso che le ha risolto un problema. Non riconosce Ulisse neppure in questo caso.
Ed in effetti come avrebbe potuto riconoscere l’uomo che aveva tanto amato attraverso uno spaccato di violenza? Non poteva. Non in quel modo.
L’anziana serva corre a chiamarla nelle sue stanze e la avverte che per chiari segni è evidente che il mendicante altro non è che Ulisse, il suo Ulisse. Dura è la risposta di Penelope “Nutrice, non è facile che tu comprenda i disegni degli dei che vivono eterni, anche se sei molto saggia“. Come a dire “Guarda che io ho osservato a lungo i segni del cielo, più a lungo di chiunque altro. Non mi interessano ulteriori fatti, i segni che dovevo vedere li ho visti e altrove ho rivolto il mio cuore e le mie speranze.”
Eppure, in fondo al suo animo, riavverte il desiderio di rivedere quel viandante, per un’ultima volta.
“Lui sedeva appoggiato ad un’alta colonna con gli occhi bassi e aspettava che gli parlasse la nobile sposa, dopo averlo veduto. Ma lei a lungo taceva, col cuore turbato: ora guardandolo in faccia credeva di riconoscerlo, ora le sembrava uno sconosciuto.“
Non è la vista che fa difetto a Penelope, ma la chiusura del suo cuore. Nel dubbio lei sceglie di non accettarlo nel suo Talamo. E allora, in questo momento, Odisseo decide di riraccontarle con amore quando costruì con le sue mani quel letto per lei. Durante quella intensa narrazione “a lei si sciolsero le ginocchia e il cuore, e gli corse incontro piangendo“.
E’ la memoria che permette il riconoscimento. Non il primo incontro dopo la lunga distanza, nè il primo confronto, nè un evento eccezionale.
E’ la narrazione comune della bellezza che si è sinceramente condivisa che apre prima gli occhi e poi il cuore a Penelope, la quale finalmente può esclamare “Sempre mi tremava il cuore nel petto, che non capitasse qualcuno ad ingannarmi. Ma adesso che hai descritto in questo modo il nostro letto hai convinto il mio cuore, anche se molto ostinato“.
Dunque cosa portarci a casa dopo questa rilettura?
In primis direi la consapevolezza della profonda conoscenza dell’animo umano di Omero, vista la descrizione così nitida e credibile di due persone che si sono amate per lungo tempo e che si ritrovano dopo una grande separazione e molte traversie.
In secundis possiamo dire con certezza che questo Ulisse, al contrario della visione di Dante, morì ad Itaca, accanto alla sua Penelope. Una volta che, grazie agli dei, è riuscito a riscoprire lei e a ritrovare il proprio ruolo nel mondo, non vi era alcun altro ardore che avrebbe potuto soddisfare.
In copertina abbiamo avuto la possibilità e l’onore di esibire “Le sirene e Ulisse” dell’artista pescarese Cog, 2021, tecnica mista su tela, 30 x 40 cm.
Classe ’94, diplomato al liceo classico di Pescara Gabriele D’Annunzio, Laureato in Giurisprudenza alla Luiss di Roma e ora praticante notaio. Appassionato di cinema e viaggi, si divide tra la gestione di PensieroDivergente e lo studio notarile.
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Show comments Hide commentsSi discute sul periodo in cui sia vissuto Omero. Leggendo le storie di Erodoto mi sono imbattuto in un passo in cui lo stesso parla di Omero ed Esiodo come vissuti circa 400 anni prima dello storico. Considerato che Erodoto è nato intorno al 490/480 a.c. ci si può rendere conto di come sia un evento straordinario che un libro di 12000 versi sia arrivato integro ai giorni nostri. È evidente che capolavori poetici del genere non passano inosservati e ancora fanno parte della nostra cultura. In genere quando commento un articolo esprimo la mia visione dei fatti con lo scopo di accrescere un confronto costruttivo; tuttavia oggi è diverso. Con il presente commento voglio riconoscere il debito che ho verso questo grandissimo poeta; debito intellettuale ed emotivo che non potrò mai ripagare. Inoltre esprimo la mia sincera gratitudine verso l\’autore di questo articolo di pensiero divergente per avermi dato l\’opportunità di apprezzare in un diverso modo questa opera immortale.
Simone Balestrieri
[…] arrendere alla bellezza tanto cercata. Torniamo in un certo senso alla vicenda dell’Odissea, recensita il mese scorso. Anche in quel caso il vero fulcro di tutta la vicenda era la conversione del cuore di Penelope; […]