Il conflitto Russo-Ucraino spaventa l’Italia e il mondo, e possiamo leggere a tal proposito migliaia di analisi al giorno. Noi vorremmo invece porre attenzione al nostro Paese, alla sua maturità democratica e umana, e al modo in cui sta recependo quanto accade

E’ guerra. La notizia ormai di una settimana fa è dilagata come uno spettro per l’Europa. Per il momento è una guerra locale, ma potrebbe degenerare. Sicuramente è già mondiale a livello culturale, sociale ed economico, e gli effetti più crudi inizieremo ben presto a sperimentarli sulla nostra pelle.

Ci sono vari modi in cui potremmo tentare di analizzare quanto accade: potremmo ripercorrere la vicenda a partire dall’effettivo scoppio del conflitto, nel 2014; o addirittura potremmo risalire fino alle prime cause da ricercarsi negli anni della caduta politica dell’URSS. Ma non lo faremo. Non lo faremo contando che i nostri lettori abbiano già eseguito entrambi gli approfondimenti su canali ben più autorevoli del nostro. In tal senso ci limitiamo a segnalare dove eventualmente reperire ulteriori approfondimenti in merito e suggeriamo il nome di Stefano Tiozzo, giovane travel photographer italiano che ha vissuto a Mosca e che sta compiendo un ottimo servizio di documentazione sullo scenario socio politico della ex Unione Sovietica, essenziale per capire quanto accade.

Il punto di vista che vogliamo oggi attenzionare è il comportamento degli italiani e dei media italiani (dal momento che in larga misura i due elementi sono coincidenti). Sembra che negli ultimi tre anni circa l’Occidente tutto (e l’Italia in particolare) sia diventato infallibile in un gioco ben preciso: individuare, puntare e distruggere il colpevole di turno.

Abbiamo infatti assistito ad ondate di odio senza precedenti.

Il fenomeno delle shitstorm (“tempesta di merda” letteralmente) non è nato ieri naturalmente, ma segue l’uomo fin dalle sue origini. Era la cd “via crucis“, un’aggiunta alla condanna del reo, che oltre a sopportare la pena doveva sopportare anche l’esposizione al popolo, che da popolo si autodegradava a pubblico di uno spettacolo: lo squid game della punizione del colpevole.

Questa tradizione è stata propria di moltissime culture, utilissima al potere in quanto univa l’esigenza educativa (mostrando la punizione del colpevole), all’esigenza di offrire “panem et circenses” (spettacolarizzando la punizione). Il tutto a partire dai romani, che nella croce vedevano il mezzo perfetto per punire ed esibire al tempo stesso, passando allo strumento tecnico della gogna medioevale fino alle passerelle per arrivare alla ghigliottina durante la rivoluzione francese.

Questa tremenda tradizione sembrava terminata, almeno fino all’avvento e alla diffusione dei social su internet. Nei primi anni 10 del nostro nuovo millennio sono rifiorite, spontaneamente, le prime, novelle shitstorm, le nuove gogne mediatiche. Come si accennava, erano dapprima fenomeni spontanei, senza una vera coordinazione, e prendevano di mira la gente quasi a caso, bastava una frase fuori posto detta in Tv o un post considerato offensivo per avere tutti i propri canali social invasi da “merda“: offese, insulti, minacce…. Il tutto per giorni, in alcuni casi settimane. Per lo più tali vicende si concludevano con l’ostracizzazione definitiva della persona interessata dal web, non perchè ne venisse espulso, badiamo bene, ma perchè lo stesso ne fuggiva traumatizzato.

Non possiamo non citare il caso di Kelly Marie Tran, l’attrice che ha interpretato il personaggio di Rose nel film gli “Ultimi Jedi” della saga di Star Wars. Il suo personaggio, inviso ai fan per tutta una serie di ragioni che non approfondiremo in tal sede, ha portato a continue shitstorm sui profili dell’attrice, fino alla sua fuga da tutti i social. Solo così la protagonista di questa drammatica vicenda ha ripreso a vivere.

Un altro caso mi ha riguardato da più vicino. A cavallo tra il 2014 e il 2015 un mio compagno di studi alla Luiss Guido Carli di Roma era stato ospite in una serata di Ciao Darwin, il celebre programma allora di punta. A causa del suo atteggiamento e di alcune battute improprie, questo compagno di studi, di cui ometterò il nome, ha subito una tremenda shitstorm, che durò per giorni, lasciando me e moltissimi miei amici per la prima volta alle prese con questa nuova realtà. Era bastato sbagliare atteggiamento per tirarsi addosso tutto ciò. E non aveva offeso minoranze o sostenuto posizioni fuori dal coro, aveva assunto semplicemente un atteggiamento leggermente snob, giudicato da “figlio di papà” per meritarsi la valanga d’odio.

I lettori che sono arrivati fino a questo punto si staranno chiedendo cosa centri questa “digressione” con la guerra Russo-Ucraina a cui l’articolo sembrava dedicato.

Questa digressione è la nostra guerra Russo-Ucraina per quanto mi riguarda.

Abbiamo detto che le shitstorm erano fenomeni spontanei e incontrollabili. Tutto ciò è cessato da almeno tre anni. Adesso gestirle e veicolarle è il vero, nuovo trionfo dell’Occidente e della nostra cara Italia.

Abbiamo visto dipinti come “nemici” dapprima coloro che violavano il lockdown, magari per portare il cane a spasso o per la corsa mattutina, o semplicemente perchè sentivano il bisogno di camminare. Li abbiamo sentiti come nemici e come tali li abbiamo trattati.

Poi è stato il turno dei non vaccinati, (anzi è ancora il turno dei non vaccinati, non dimentichiamoci che costoro non possono ancora prendere mezzi pubblici e partecipare alla vita sociale).

Adesso è il turno dei Russi e di tutti coloro che non si mostrano sufficientemente contro i russi.

Ebbene signori questa via non è percorribile. Non possiamo vivere così. Queste reazioni, mi spingo a dirlo, sono dannose quanto la guerra stessa. Non voglio banalizzare o ridimensionare la gravità di questa guerra, che è enorme, ma voglio aprire gli occhi su quanto questa continua e necessaria demonizzazione del nemico di turno sia una delle grandi piaghe dell’Occidente, con cui non possiamo non fare i conti e che non possiamo lasciare in eredità ai nostri figli e nipoti.

Il modus è il seguente: i media narrando di un problema identificano il colpevole con molta chiarezza e precisione. Attacchi verbali e pregni d’odio di personalità in vista sono tollerati e anzi incoraggiati. E a tutto ciò segue inevitabilmente l’odio social, la shitstorm perfetta, canalizzata e indirizzata verso la categoria prescelta. Il fertilissimo terreno che così si ottiene (concimato splendidamente dalla shit di cui sopra) si converte in repressione giuridica e politica, con discriminazioni che variano di caso in caso.

Questo è il clima che fa ben pensare alla Bicocca di Milano di sospendere il corso di approfondimento su Dostoevskij e di fare così la cosa giusta. Grazie a Dio, viste le polemiche per un gesto così assurdo e offensivo per la cultura, l’univeristà è stata costretta a fare dietro front e a scusarsi.

Mi rendo conto che citare Orwell è diventato controproducente oggigiorno, dal momento che è talmente attuale da essere divenuto innominabile, ma siamo davvero davanti alla trasposizione nella nostra realtà dei “due minuti d’odio“. Il mondo futuro e immaginario di Orwell era diviso in tre macro schieramenti: Oceania, Eurasia ed Etasia alternativamente in guerra tra loro. Quotidianamente nelle maggiori città di questi paesi, su appositi maxischermi, venivano proiettate immagini del nemico di turno (a volte è l’Etasia a volte l’Oceania) contro cui il popolo poteva sfogarsi appunto per due minuti. Tale cerimonia assurgeva a rituale collettivo di sfogo, che dissetava e placava il popolo, tenendolo al contempo vigile e fedele al proprio schieramento. “Se hai rabbia questi sono i tuoi nemici, se hai energie odia costoro“.

Avviandosi alla conclusione possiamo ricapitolare quanto detto come segue:

la Russia ha aggredito l’Ucraina e questo fatto è sicuramente da condannare. Sebbene lo stesso possa essere circostanziato (ad esempio possono essere messe in luce le continue provocazioni della Nato e dell’UE che hanno messo a Putin il dito sul grilletto) non si può negare che quanto la Russia stia compiendo sia fondamentalmente sbagliato, anche perchè a farne le spese è direttamente il popolo ucraino.

Ma se continuiamo con questa campagna di odio indiscriminato su tutti i livelli (culturali, letterari, sportivi e sociali) contro “il russo” rischiamo che a farne le spese sia anche un altro popolo: quello russo appunto, che invece, proprio come il popolo ucraino, avrebbe bisogno solo del nostro sostegno e della nostra comprensione profonda.

E’ facile puntare un dito. E’facile stigmatizzare come nemici. E’ facile fare a gara a chi meglio esclude la Russia dai nostri circuiti (gara al momento vinta con l’esclusione della Russia dalle competizioni per il gatto più bello).

Se l’odio è il vero motore della guerra, nonchè il suo elemento peggiore, allora noi italiani siamo già in guerra. E dalle guerre non si esce mai nè vincitori nè puliti.

Antonio Albergo

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Comments to: Guerra e non-pace
  • […] Tutto ciò è comprensibile, anzi doveroso a mio giudizio. Non agire in questo modo significherebbe disinteressarsi della Storia, ossia di se stessi, dal momento che noi ci sviluppiamo nella Storia, ne siamo un elemento essenziale seppur infinitesimale. Ogni nostra idea, visione e sentimento contribuisce a formarla. A tal proposito consigliamo la nostra ultima riflessione in merito che è possibile trovare qui. […]

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