Cat’s foot, iron claw
Neuro-surgeons scream for more
At paranoia’s poison door
Twenty-first century schizoid man

Blood rack, barbed wire
Politician’s funeral pyre
Innocents raped with napalm fire
Twenty-first century schizoid man

Death seed, blind man’s greed
Poets starving, children bleed
Nothing he’s got he really needs
Twenty-first century schizoid man

Quanto avete appena letto sono le tre strofe di cui si compone il graffiante brano “21st Century Schizoid Man” dei King Crimson, pezzo d’apertura del disco “In the court of creamson King”. Tale disco segnò la storia della musica dal momento che è ufficialmente riconosciuto come l’istituzione del rock progressivo, detto anche semplicemente progressive, o prog per gli affezionati. Era il 1969 e il panorama musicale cambiò irrimediabilmente dopo la diffusione dell’LP. Altre band come i Pink Floyd (già molto noti, per diversi pezzi psichedelici) o i Genesis (emergenti proprio allora), accordarono la loro produzione musicale sul modello tracciato dai King Crimson. E il progressive esplose in tutta la sua potenza e raffinatezza. Fu il genere musicale che dominò l’immaginario collettivo fino almeno al 1975, momento in cui iniziò a scemare o quantomeno a mutare in qualcosa di diverso. Le band più note che diedero il loro contributo al genere, oltre quelle già citate, sono gli Yes, i Gentle Giant,i Jethro  Tull, gli Emerson Lake and Palmer o i nostrani Banco del Mutuo Soccorso o la PFM.

Non è facile definire un genere musicale in poche righe, si rischia inevitabilmente di cadere in scolastiche classificazioni prive di sostanziale verità. Ma volendoci provare ugualmente si può azzardare che un brano di rock progressivo si distingue solitamente per tre elementi.

  • Presenza di sonorità tipiche della musica classica o sinfonica. Non è infrequente l’uso di violini (vedasi lark’s tongues in aspic) o flauti (thick as a brick). Non pochi affermano che il progressive è il risultato di una perfetta combinazione delle sonorità classiche con le moderne influenze rock. In realtà più che di sonorità come ho detto io, gli addetti ai lavori parlano più correttamente di strutture armoniche, ma in questa sede non approfondirei ulteriormente questo punto;
  • Lunghezza dei brani particolarmente sostenuta. Raramente un brano di rock progressivo è di lunghezza inferiore ai cinque minuti, e anzi, il simbolo per eccellenza del progressive sono le cd suite: brani abbastanza lunghi da coprire un intero lato dell’LP (“Tarkus” degli ELP è di 20 minuti; “Supper’s ready” dei Genesis, di 23 minuti, “Close to the Edge” degli Yes di “soli” 18 minuti, o l’insuperabile “thick as a brick” dei Jethro Tull lunga ben 43 minuti, tanto da occupare le due intere facciate dell’ LP).
  • Testi particolarmente complessi. A volte ermetici, spesso vere e proprie poesie musicate, quasi sempre con una trama complessa al centro. Riferimenti al mito, alla letteratura e finanche alla religione sono onnipresenti. L’attenzione alla trama è talmente elevata che altro simbolo del Rock progressivo è il “Concpet album”, ovvero un album in cui tutti i brani presi insieme vanno a raccontare un’unica lunga storia complessa, come una specie di film, o romanzo, intorno al quale ogni brano aggiunge una riflessione o un capitolo (caso emblematico è “The wall” dei pink Floyd, da cui non a caso è stato tratto anche un ottimo film, o anche “the lamb lies down on broadway” dei Genesis). A volte non si racconta una trama in senso proprio, ma si analizza  un concetto, filosofico, sociale o esistenziale, da qui la dizione “concept” (è il caso ad esempio di “Animals” dei Pink Floyd o del famosissimo “The dark side of the moon”)

Ebbene, se unite queste tre caratteristiche avrete grossomodo un esempio di brano progressive.

L’impatto non sarà facile (il prog fu a lungo considerato un genere da “intelletuali”) ma di spaventosa potenza immaginifica.

Il brano che presentiamo fu l’incipit di tutto, e non può non tornarmi alla mente in queste giornate del ventunesimo secolo. Ho sempre ascoltato questo LP rapito dalla musica (celestiale a volte) ma turbato dalle parole. I versi graffiavano e la musica consolava. Le parole mi ponevano innanzi agli occhi scenari che mai avrei voluto contemplare, visualizzavano una distruzione intrinseca all’uomo del ventunesimo secolo, che fondamentalmente tutti noi incarniamo. Il turbamento  che tale LP è in grado di suscitare in me, mi spinge ad apprezzare la band, ma a tenermene quanto più possibile a distanza. 

Oggi dopo averlo preso dallo scaffale preferisco rigirarmi tra le mani la maestosa copertina dell’album per lunghi suggestionanti minuti piuttosto che metterlo subito a girare sul piatto. “Siamo nel 21esimo secolo, siamo quindi noi gli schizoid man?”mi chiedo. “Certo che no mi rispondo”. Il progresso, la tecnica, la consapevolezza di sé, la cultura, sono tutti elementi che mai nella storia dell’umanità sono stati più diffusi di oggi. E quindi siamo migliori di ieri, pronti a tutte le avversità che questo secolo ci porrà innanzi……. “O forse no?” sembra chiedermi l’LP tra le mie mani. Ad un tratto mi sento come un passeggero di prima classe, a Liverpool, sulla plancia del Titanic, mentre saluto la gente sulla banchina del porto. Ben vestito, con la statua della libertà a pochi giorni di viaggio, l’orologio da taschino d’oro saldamente tra le mani, pienamente confidante nel destino e nella nave su sono imbarcato. Eppure con un brivido d’irrazionale irrequietezza che mi raggela la schiena sudata.

Siamo nei giorni del Covid. Una Pandemia drammatica, che ad oggi in Italia è costata più di trentamila morti Le risposte dei governi di tutto il mondo sono state tardive, confuse, a volte estremamente dure, a volte inesistenti.

In Italia una forma particolarmente dura di lockdown ha portato i cittadini italiani a non poter uscire di casa senza un valido motivo (scritto e comprovato) per più di due mesi. Il tutto con l’alto fine di salvare vite umane e tutelare la stabilità delle infrastrutture sanitarie. Fine assolutamente nobile e perseguibile.

Ma fino a che prezzo?” mi domando tra me e me, e finalmente inizio l’ascolto poggiando con attenzione il disco sul piatto. “E se la salvezza di una città dipendesse dallo scoprire dov è nascosta una bomba, e ci fosse in carcere un terrorista che ne conosce l’ubicazione?” La mia fantasia inizia a viaggiare “In ballo ci sarebbero migliaia di vite. Dall’altro lato l’incolumità personale del terrorista. Applicando una logica similare (anche se non del tutto identica) dovremmo torturalo per conoscere la verità. Senza ucciderlo per carità. Magari con qualche tortura moderna non disabilitante.” Raggelo al ragionamento, mentre la testina metallica solca il vinile, come un vascello settecentesco solcherebbe un mare in tempesta. Abbiamo iniziato (o ricominciato?) nel 2020 ad eliminare o comprimere diritti in nome di un “bene superiore”. Ed è una tendenza umana comprensibile da un lato: tra due mali, un uomo ragionevole sceglie il minore. Eppure ogni volta che a livello statale è stato applicato questo ragionamento la Storia ci insegna che si sono aperte le porte della tragedia. Non a caso si è arrivati alle Costituzioni a metà 1800, proprio per delimitare, nero su bianco, quali fossero i diritti fondamentali, insopprimibili, indipendentemente del “bene superiore” che la storia futura avrebbe perseguito di volta in volta. Sopprimere diritti perché l’urgenza, lo Stato, le necessità lo richiedono mi sembra una negazione di quanto la storia europea tenta di insegnarci.

E dunque cosa fare? In cosa crediamo in questi casi  noi uomini del ventunesimo secolo non schizoidi?” Ripenso alla mia formazione, al liceo classico, agli esami all’università, alla pratica giuridica tra tribunali e studi notarili in cui sono impegnato oggi…e mi chiedo cosa sarebbe accaduto se si fosse posta, un anno fa, a tutti gli studenti che affrontavano l’esame orale della maturità, come ultima domanda prima della stretta di mano finale, la seguente domanda: “Cosa pensi che uno stato come il nostro. dovrebbe fare in caso avvenisse una grande calamità come una guerra nucleare, un cataclisma o una pandemia? Dovrebbe imporre a tutti i cittadini di non uscire più di casa per tutelarli, e a tal fine eliminare i diritti civili come la libertà di movimento? Oppure pensi che lo Stato dovrebbe, anche in una fase di crisi totale, mantenere fermi i diritti dei cittadini? Si deve annichilire una popolazione per salvarla? O rischiare finanche la sopravvivenza in nome dei diritti che ci connotano, che ci definiscono? Libertà o sicurezza? Cosa veramente ci contraddistingue se un domani dovessimo irrimediabilmente scegliere una delle due?”.

Sarebbe stato un esperimento interessante. Non credo che molti avrebbero consigliato di agire nel primo modo. Eppure oggi lo incarniamo, quasi alla perfezione. E cosa è cambiato? La paura? L’attualità del pericolo? Oggi abbiamo indubbiamente una concreta paura di morire o di veder morire i nostri cari. Ed è questo che ci porta a dare una risposta diversa alla stessa domanda?

Mi si potrebbe obiettare che un conto è fare un discorso in tempo di pace, un conto è affrontarne le conseguenze in tempo di crisi. Ma allora certi valori non sono fatti per durare? Certe libertà non sono iscritte proprio per fronteggiare i tempi di crisi?

Non ho risposte, solo domande, incertezze, timori. Vi lascio con la traduzione del brano e con un’ultima considerazione. Ho sempre sperato che la nera profezia dei King crimson sul ventunesimo secolo fosse solo una trovata poetica. Inizio a temere di starmi sbagliando.

“La zampa del gatto, artiglio di ferro
I neurochirurghi urlano a lungo
Alla velenosa porta della paranoia
Uomo schizoide del ventunesimo secolo

Un tormento di sangue, filo spinato
Un rogo di politici
Innocenti stuprati con il fuoco del napalm
Uomo schizoide del ventunesimo secolo

Il seme della morte, la cupidigia dell’uomo cieco
Poeti affamati, bambini sanguinanti
Non ha realmente bisogno di nulla di ciò che ha
Uomo schizoide del ventunesimo secolo”
.

Comments to: L’uomo schizoide del XXI secolo

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